«La lezione (politica, religiosa e morale) del coronavirus» di Antonio Socci

La vicenda del coronavirus ci dà diverse lezioni. La prima dovrebbe impararla il regime comunista cinese. Ad impartirla è stato – secoli fa – il grande Blaise Pascal in un suo pensiero sull’estrema fragilità del potere umano che pur si considera onnipotente.

Scriveva Pascal: “Cromwell stava per devastare tutta la cristianità: la famiglia reale sarebbe stata perduta, mentre la famiglia di lui sarebbe stata per sempre potente, se un granellino di sabbia non gli si fosse ficcato nell’uretere. Roma stessa stava per tremare di fronte a lui; ma appena quella pietruzza si è andata a conficcare là, egli è morto, la sua famiglia è decaduta, tutto è tornato in pace e il re è stato rimesso sul trono”.

La riflessione pascaliana sottolinea le minuscole dimensioni di quel granellino di sabbia, capace però di abbattere i sogni di gloria di un despota che si riteneva avesse il mondo ai suoi piedi. Una considerazione analoga si può applicare alla Cina comunista, un totalitarismo che si è imposto e consolidato, nei decenni, facendo milioni di vittime.

La Cina di Xi Jinping, grazie all’Occidente, è diventata la prima economia mondiale e ora impone i suoi voleri e i suoi interessi geopolitici in tutti i continenti. Il suo dittatore ha avanzato pretese imperiali e addirittura ha sottomesso a sé le religioni quasi mettendosi al posto di Dio.

Ma è bastato un microscopico virus, di dimensioni impercettibili, perché quella grande potenza venisse destabilizzata, se non messa in ginocchio.

Nella storia ci sono città e civiltà umane, floride e potenti, di colpo annientate dalla potenza della natura. Come ricorda Leopardi nella “Ginestra” contemplando i luoghi dove sorgevano Pompei ed Ercolano: “or tutto intorno/ una ruina involve”.

Il poeta invita a meditare chi s’illude sulla potenza umana: “A queste piagge/ venga colui che d’esaltar con lode/ il nostro stato ha in uso, e vegga quanto/ è il gener nostro in cura/ all’amante natura. E la possanza/ qui con giusta misura/ anco estimar potrà dell’uman seme”.

La riflessione leopardiana sulla natura matrigna, che “può con moti/ poco men lievi ancor subitamente/ annichilare in tutto” sarebbe specialmente preziosa oggi che l’ideologia ecologista si sta prepotentemente trasformando in una religione che adora la Natura come buona e incorrotta e depreca la presenza umana come minaccia alla stessa innocente Madre Terra.

E’ la stessa chiesa bergogliana ad aver aperto le porte a questa idea: si ricorda l’incredibile rito per la Pachamama (la Madre Terra) tenuto in Vaticano e addirittura in San Pietro durante il recente Sinodo sull’Amazzonia.

Del resto – come osserva José Antonio Ureta – nella stessa Esortazione post-sinodale, papa Bergoglio, “citando abbondantemente la sua enciclica Laudato Si’ – ribadisce la sua cosmovisione ‘teilhardiana’ e New Age di un universo in cui ‘tutto è collegato’ (n° 41) e tesse le lodi al misticismo indigeno che porta gli aborigeni non solo a contemplare la natura, ma a sentirvisi così intimamente legati da ritenerla una madre (n° 55). Del resto, la Madre Terra viene ben due volte citata nell’Esortazione (n° 42)”.

E’ il caso di ricordare che per la vera dottrina cattolica il titolo di Madre spetta alla Madonna e alla Chiesa. Lo stesso Cantico di san Francesco è una lode al Signore, non alla “Madre Terra”. Anzi, il santo non parla di “Madre Terra”, ma di “sorella madre terra”, perché – se ci dà di che nutrirci e in questo è materna – è sorella in quanto decaduta e minata come noi dal male e dalla morte (“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, / la quale ne sustenta e governa”).

In qualche modo in san Francesco già troviamo la natura leopardiana come madre e (sorella) matrigna, madre perché è stata creata “buona” da Dio, sorella matrigna perché anch’essa corrotta dal male come noi (il peccato originale). Del resto basta vedere gli orrori che avvengono nel mondo animale, con la quotidiana e feroce lotta per la sopravvivenza, per comprenderlo.

Così – come madre matrigna – l’ha sempre conosciuta la storia umana. L’umanità, che dalla natura ha tratto nutrimento, è stata sempre minacciata e devastata non solo da eruzioni vulcaniche, inondazioni, terremoti, intemperie e bestie feroci, ma anche e soprattutto è stata funestata da epidemie che hanno fatto stragi immense.

La più famosa e terribile del Novecento, la spagnola (che forse arrivò anch’essa dall’oriente) nel 1918 ha fatto decine di milioni di vittime. Molto più della Prima guerra mondiale.

Quindi il coronavirus dovrebbe indurci ad abbandonare la visione idilliaca della Natura che oggi porta a un’irrazionale venerazione della Madre Terra.

A ben vedere tutte le patologie che portano alla morte gli esseri umani sono “natura” e la storia della medicina non è che una strenua lotta contro la nostra dolorosa sorte naturale.

La stessa civiltà è il tentativo di rendere “ a misura d’uomo” la natura (per esempio difendendoci dal caldo, dal freddo, dalla penuria e dalla fatica). Pure i (continui) cambiamenti climatici (oggi tanto chiacchierati) seno sempre stati d’origine naturale (perlopiù causati dal sole).

Perciò, se è vero – ed è giusto ripeterlo – che l’uomo non deve devastare il suo ambiente, è anche vero che l’umanità deve difendersi dalle mortali aggressioni della natura e difendere la natura medesima dal suo caos devastatore.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 16 febbraio 2020

 

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