Alle nozze di Cana, Maria, già chiamata da Gesù col termine «Donna» (Giovanni, 2, 4), dice ai servitori: «Qualunque cosa vi dica, fatela» (ivi, v. 5), e, grazie al suo intervento, Gesù inizia i suoi segni e l’epifania della sua gloria. L’opera della Vergine gloriosa, che rappresenta la riuscita perfetta ed esemplare della redenzione, non intralcia e non oscura la signoria del Figlio; essa è invece tutta al suo servizio. Maria nella Chiesa è l’“ancella” esemplare del Vangelo, prossima a ogni credente, anzi a ogni uomo, perché divenga discepolo di Cristo.
La sua condizione celeste l’ha resa vicina. Per l’immaginazione l’essere nella gloria potrebbe far pensare alla lontananza da quanto esiste ancora nel tempo; è vero l’opposto: la gloria include il tempo, lo sovrasta e insieme lo abbraccia. Le apparizioni della Vergine sono come l’affacciarsi e l’insinuarsi singolare e in qualche misura visibile della sua gloria dentro i nostri confini, segnati dallo spazio e avvolti dal tempo: confini paragonabili a un velo sottile che in quel caso si apre al mondo celeste, cioè al mondo del Signore risorto e dei suoi santi.
La gloria del cielo è sottratta alle successioni cronologiche e non c’è limite che la contragga; anzi, essa già attrae il nostro mondo terreno, infinitamente meno vero e consistente, e si rivelerà alla fine dei secoli. Per questo diciamo che Maria, assunta nella gloria, ci è quaggiù maternamente vicina, ed è possibile volgere a lei una tacita preghiera o anche soltanto uno sguardo affettuoso, che fa scaturire la gioia e il pianto.
E qui viene in mente La Vierge au midi, la più incantevole e toccante delle poesie di Paul Claudel dedicate a Maria: «È mezzogiorno. Vedo la chiesa aperta. Bisogna entrare. / Madre di Gesù Cristo, non vengo a pregare. / Non ho nulla da offrire e nulla domandare. / Vengo solo, o Madre, per guardarvi. / Guardarvi, piangere di gioia, sapere / che io sono vostro figlio e che voi siete lì. / Solo per un momento mentre tutto si ferma / Mezzogiorno! / Essere con voi, Maria, in questo luogo dove voi siete. / Non dire nulla, guardare il vostro viso, / Lasciare cantare il cuore nel suo linguaggio».
In questo suo sguardo intenso e prolungato, il poeta soprattutto contempla la bellezza di Maria. Lo rapisce il suo candore di creatura incontaminata, plasmata in grazia dalle mani del Creatore. Egli ringrazia la Vergine: «Perché siete bella, perché siete immacolata, / la donna nella Grazia finalmente ridonata». La ringrazia perché essa è «La creatura nel suo onore dell’inizio e nel suo ultimo dispiegarsi, / qual è uscita da Dio il mattino del suo splendore originale»; perché è «La donna, l’Eden dell’antica tenerezza dimenticata / il cui sguardo trova subito il cuore e fa piangere le lacrime accumulate».
In questa ammirazione di Maria «ineffabilmente intatta», innalzata al cielo e divenuta compagna sulla terra, le parole diventano superflue e restano spente. Subentra al loro posto un quieto silenzio, colmo di dolcezza e rigato di pianto, che son poi i sentimenti che più si confanno dinanzi a tutti i misteri della salvezza.