Finirà così: che verranno a prenderci mentre preghiamo con le candele accese al buio mentre le porte della chiesa sono sprangate. È una visione tropo pessimistica? Può darsi, ma almeno è giustificata. Se la vita di fede è in crisi non lo è meno il vissuto cristiano mostrato dai cattolici. Ne consegue che oggi a vergognarsi di Gesù Cristo sono ormai tanti, perché è più facile e sicuramente meno problematico quando hai a che fare con la polizia del pensiero che si è incaricata di punire, tramite il giornalismo militante, chi è troppo cristiano.
Perché qui non è un problema di libertà religiosa, ma di temperatura della fede: deve essere tiepida, né troppo accalorata, che guasta i manovratori, né troppo fredda, sennò il buonismo ne risentirebbe. Ci vuole una fede alla monsignor Cipolla, neo vescovo di Padova che per il dialogo con i musulmani sarebbe disposto a gettare alle ortiche le tradizioni cattoliche. Non ci vuole certo la fede di quei vescovi e preti che difendono dottrina, consuetudini, tradizione e magistero.
Due casi emblematici che hanno come protagonisti due vescovi. Sono accaduti entrambi in Emilia Romagna, regione dove è più facile contare su forze politiche e sociali laiciste e anticattoliche, che alla bisogna portano acqua al progetto di riduzione della fede a accessorio neutrale. L’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri è stato preso in castagna mentre parlava al telefono sul Frecciarossa con un non meglio precisato interlocutore.
Che cosa ha fatto? Sembra che abbia espresso delle sue valutazioni personali sull’operato di questo Papa. Sembra, perché non c’è una registrazione, e l’interessato ha smentito.
Però è bastata la presenza di un giornalista in treno, o di un delatore che ha poi riferito al giornalista, per sbattere Negri in prima pagina sul Fatto Quotidiano, il quale ci ha sapientemente costruito una notizia per screditarlo agli occhi dei fedeli e del mainstream.
«Ecco il vescovo che vuole la morte di Bergoglio». Frase assassina, per la verità, che Negri non ha mai detto e che non riportata neanche nell’articolo. E in ogni caso, qualsiasi opinione personale avesse espresso in un contesto privato, sarebbe stata messa nero su bianco come se avesse scritto una lettera pastorale ai fedeli.
Lui ha reagito anzitutto parlando al suo popolo, da pastore: «Cari fedeli, tranquilli: se ho qualche cosa dire al Papa, gliela dirò attraverso le forme e i modi che mi sono concessi dall’essere io un successore degli apostoli, con fedeltà al Pontefice e rispetto della sana Dottrina». Il problema, e in pochi lo hanno notato è un altro: è giornalismo questo?
Carpire all’insaputa dell’interessato delle frase che lui ha pronunciato in privato e poi pubblicarle senza verifiche, chiarimenti, avvertimenti, non è giornalismo, ma è una rapina a mano armata del pensiero.
Le norme deontologiche del nostro mestiere sono molto chiare circa la mancata osservanza della regola aurea che impone ad ogni giornalista di identificarsi di fronte a qualunque interlocutore.
Ma queste regole sono state bellamente bypassate nel nome di un falso diritto di cronaca. Al di là delle considerazioni su che cosa è giornalismo e che cosa non lo è, resta un dato di fatto: un vescovo è stato umiliato nel suo privato mentre parlava.
Avrà detto cose sconvenienti? Fastidiose? Impopolari? Chi può saperlo? Quel che resta è che un successore degli apostoli deve stare attento anche a come parla in privato.
Se non avessimo letto 1984 di Orwell penseremmo a uno scherzo. In realtà siamo già all’avverarsi di questa profezia: occhio che la delazione è sempre in agguato e la polizia del pensiero è pronta a fartela pagare.
Secondo episodio, non meno grave. Il settimanale l’Espresso ha infiltrato un cronista in una riunione a Torino dell’associazione “Courage”, che, nata negli Stati Uniti, è sbarcata anche in Italia per offrire sostegno spirituale agli omosessuali che vogliono cercare una vita più ordinata e più casta.
L’operazione è stata fatta con grande sprezzo delle regole: il cronista si finge omosessuale, chiede di partecipare, ascolta, racconta una storia inventata, carpisce le reazioni degli interlocutori e poi le pubblica sul giornale per dimostrare la tesi che questa associazione, ospitata in tre diocesi italiane, Roma, Torino e Reggio Emilia e presto Milano, è omofoba e omofoba è la Chiesa che li ospita.
La cosa non ha lasciato insensibile il vescovo di Reggio Emilia Massimo Camisasca che è intervenuto con l’autorevolezza del pastore per dire che il fingersi giornalista per rubare uno scoop è sbagliato, ma anche per chiarire che quei percorsi, che la Diocesi ospita mettendo un sacerdote come assistente, sono di tipo spirituale e volti alla scoperta della castità sessuale anche per gli omosessuale. Apriti cielo. Partiti, non solo di sinistra, associazioni laiciste, sindacati, gli immancabili partigiani e persino il sindaco di Reggio Emilia sono intervenuti per dire la loro. Il leit motiv è sempre quello: quanto è omofoba la Chiesa. E quanto sbaglia Camisasca a ospitare in una struttura protetta, privata, queste persone che invece dovrebbero vivere la loro sessualità in maniera più aperta e meno bigotta e oscurantista.
Tutti, ripeto, tutti, hanno fatto finta di non leggere la prima riga del comunicato di Camisasca: «Alcune persone con tendenza omosessuale si sono rivolte a me chiedendomi aiuto». La mossa del vescovo di Reggio parte dunque da una richiesta di aiuto. Questo non si è voluto vedere: d’altra parte è impensabile ammettere che chi ha una vita disordinata con tendenza omosessuale a un certo punto possa arrivare a chiedere aiuto semplicemente perché sta male. No, la società ci dice che l’omosessualità è un valore da promuovere, dunque se stai male, canta che ti passa. Oppure arrangiati.
Ovviamente, solo alcuni temerari hanno espresso solidarietà pubblica al vescovo di Reggio Emilia. Noi lo facciamo qui, in questa denuncia che ci riguarda come giornalisti impegnati nel raccontare la vita della Chiesa utilizzando come strumenti la nostra coscienza e le regole del rispetto umano.
Come dimostra questo episodio, che ha umiliato un vescovo nel suo esercizio pastorale di guida spirituale attenta alla fede dei suoi fedeli, tutti i suoi fedeli, anche quelli omosessuali, è espressamente vietato entrare in questioni che afferiscono la sessualità. Pena lo sputtanamento generale.
Una volta, i cattocomunisti avevano imposto la linea che le questioni di fede erano un dato meramente privato, quello che accadeva in pubblico doveva avere come unico metro di paragone la Costituzione repubblicana.
Ci sono carriere politiche ed ecclesiastiche che hanno preso il volo con queste regole d’ingaggio. Ma questa deriva oggi è troppo naif, serve uno scatto ulteriore. Serve un’invasione nel privato perché il pericolo è troppo elevato.
Così, se da un lato celebriamo il Giubileo della Misericordia senza che un giornale pronunci la parola peccato, dall’altro assistiamo all’invasione della privacy per scopi rieducativi.
Vietato dire cose sconvenienti nel chiuso delle stanze perché vi verremo a stanare anche lì. E non useremo come la Stasi le cimici nascoste sotto i lampadari, ma useremo come forza d’urto la stampa, che attraverso versioni mediatiche consolidate, ma mai verificate, saprà correggere questi pastori così poco inclini a rispettare il padrone del vapore.
É un clima che va denunciato, perché se anche i vescovi devono sentirsi spiati in casa loro, allora vuol dire che non solo il fumo di Satana è entrato, ma anche le sue orecchie.
Fonte: La NBQ