In questi giorni di aprile un sole benevolo ha accompagnato gli ultimi interventi di ristrutturazione in un monastero unico nella cristianità per collocazione e carisma. Unico in quel che sarà, ma anche unico in ciò che è stato nella sua breve ma antica storia.Il monastero Mater Ecclesiae è qui, quasi al centro del minuscolo territorio vaticano.
Dinnanzi, un raro esemplare di Erythrina crista-galli, il cosiddetto albero del corallo originario di Argentina, Uruguay, Brasile e Paraguay, con le sue inconfondibili infiorescenze rosso vivo.
«Scopo specifico di questa comunità è il ministero della preghiera, dell’adorazione, della lode e della riparazione. Per essere così preghiera orante nel silenzio e nella solitudine, a sostegno del Santo Padre». Così si legge negli statuti di fondazione del monastero, pensato e voluto da Giovanni Paolo II, a mezza costa del colle vaticano, nella parte che digrada verso la basilica, tra l’odierno viale dell’Osservatorio e le antiche mura leonine.
Era il 13 maggio 1994: quel giorno la neonata comunità femminile di vita contemplativa assumeva su di sé un compito nuovo ma al contempo antico. In forma inedita, infatti, il Mater Ecclesiae si inseriva nella lunga tradizione di donne che, sin dal Calvario, hanno sostenuto, pregando, il cammino di Gesù, prima, e poi dei successori di Pietro.
Dal 1994 al 2012 si sono succeduti nel monastero vaticano quattro tra i più noti ordini claustrali: clarisse, carmelitane scalze, benedettine e visitandine. E se ciascuno ha portato il proprio spirito e tradizioni, lo ha fatto però osservando regole e costituzioni in diretta dipendenza dal Papa.
Nei suoi diciotto anni di vita, dal monastero è così brillata la ricchezza e la varietà della Chiesa, la sua autentica cattolicità. Visitate quotidianamente da cardinali, vescovi, religiosi e laici, negli anni le religiose hanno raccontato la profondità di un’esperienza ineguagliata di Chiesa, vicinanza al Pontefice e condivisione comunitaria.
Quando Papa Ratzinger venne da noi per la prima volta – raccontò nel 2008 la priora benedettina madre Maria Sofia Cichetti al nostro collega Nicola Gori – ci chiese «con molta umiltà e con sofferenza paterna di pregare in particolare per lui, perché, disse, “la croce del Papato è talvolta pesante e quindi da solo non ce la faccio a portarla”».
Cinque anni dopo Benedetto XVI ha deciso di assumere direttamente sulle proprie spalle quella «missione specifica». E da quello stesso monastero dove tanto si è pregato per lui, sarà lui a pregare per il suo successore e per la Chiesa tutta.
A Pietro che secondo il vangelo di Matteo (19, 27-29) gli chiede cosa ne avremo, noi che «abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito», Gesù risponde: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà la vita eterna».