Secondo il Cardinale Reinhard Marx, i vescovi tedeschi hanno di recente preparato delle linee guida che contemplano la possibilità di ammettere alla Santa Comunione dei protestanti che sono sposati con un coniuge cattolico. L’unico prerequisito irrinunciabile sarebbe che questi protestanti affermino la fede della Chiesa Cattolica. (Alcune notizie recenti riportano che la Congregazione per la Dottrina della Fede, con il consenso del Papa, ha respinto la proposta dei vescovi tedeschi. Tuttavia i vescovi tedeschi negano che le cose siano andate così).
Il Cardinale Marx ha aggiunto che aprire a questa possibilità non comporterebbe un cambiamento dottrinale, ma semplicemente modificherebbe l’approccio pastorale. In ogni caso, questa nuova procedura “pastorale” non avrebbe implicazioni dottrinali? È sufficiente affermare la fede della Chiesa Cattolica per poter ricevere l’Eucarestia, oppure è necessario appartenere realmente alla Chiesa Cattolica?
Per la fede cattolica, il legame tra Chiesa ed Eucarestia è costitutivo.
Pertanto, in linea di principio, possono ricevere la comunione sacramentale solamente quei battezzati che sono in piena comunione ecclesiale con “l’unica Chiesa di Cristo… in questo mondo costituita e organizzata come società, [che] sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui” (Lumen Gentium n. 8).
Chiunque mette in discussione questa verità rivelata nella teoria o la ignora in pratica entra in aperto contrasto con la fede cattolica. Cercherò di mostrare il legame che esiste tra la comunione sacramentale da un lato e la comunione ecclesiale dall’altro, e lo farò dalla prospettiva della Rivelazione, così come viene fedelmente e integralmente custodita nella Chiesa Cattolica, senza discutere le controverse linee guida della Conferenza Episcopale Tedesca.
Capita spesso che oggi la teologia venga subordinata all’ideologia e alle politiche ecclesiastiche. Anziché scambiarsi argomentazioni in un dibattito aperto, si getta discredito sulle persone.
Ogni problematica viene incentrata sulle persone, e così viene neutralizzata. Anche se qualcuno conosce la Sacra Scrittura a memoria, ha studiato i Padri della Chiesa e dimostra di essere uno specialista nella filosofia e nella scienza moderne, per gettare discredito su di lui è sufficiente che qualche isolato giornalista o teologo dilettante lo chiami “conservatore” e tutta la sua conoscenza verrà ridotta a nulla, così come quando il vino migliore diventa imbevibile allorché si mischia con una goccia di veleno.
Ogni vescovo di nuova nomina viene analizzato nella sua prima conferenza stampa e viene etichettato come conservatore o liberale – qualunque cosa questo significhi – a seconda che si esprima pro o contro l’ordinazione delle donne, pro o contro la benedizione delle coppie omosessuali, pro o contro il celibato sacerdotale e pro o contro la Santa Comunione per i divorziati risposati. Non interessano altre questioni e non contano argomentazioni differenziate.
Allora insinuazioni di personali tendenze ideologiche prendono il posto di una discussione oggettiva. Quanti prediligono una più flessibile connessione tra la comunione ecclesiale e la comunione dei sacramenti – apparentemente per facilitare alle persone di oggi l’accesso alla fede – accusano immediatamente quelli che li criticano di essere ottusi e di avere un’adesione rigida e farisaica a quei dogmi che il cristiano secolarizzato non è più in grado di comprendere.
Siamo testimoni di un clima anche dogmatico che ha degli effetti negativi sulla comprensione dei sacramenti. I sacramenti non vengono più considerati come i segni visibili istituiti da Cristo e celebrati nella Chiesa, che producono la grazia invisibile in coloro che sono ben disposti.
I sacramenti sono diventati mezzi psicologici e sociali di sostegno per facilitare le nostre esperienze mistiche interiore con un “Cristo” plasmato nella nostra coscienza a nostra immagine e somiglianza. Certamente la grazia dei sacramenti non è un premio per una buona condotta morale, ma ancor meno è una giustificazione di una condotta immorale di una vita vissuta contro i comandamenti di Dio.
Quando si ha a che fare con la relazione tra grazia e moralità, non siamo di fronte a un “o-o”, ma ad un “e-e”, così come leggiamo nei documenti del Concilio Vaticano Secondo: “il carattere sacro e organico della comunità sacerdotale viene attuato per mezzo dei sacramenti e delle virtù” (Lumen Gentium n. 11).
Oggi molte persone sono incapaci di inserirsi veramente nella liturgia perché non riescono a far risalire la vita della Chiesa e i dogmi al fatto dell’Incarnazione, ma invece considerano il cristianesimo semplicemente una variazione storica di un generale sentimento religioso indotto da una trascendenza generica.
La natura, l’azione e l’effetto dei sacramenti vengono rivelati solo nella luce dell’Incarnazione e della reale mediazione storica della salvezza nella Croce e Risurrezione di Cristo, il Verbo incarnato di Dio.
Da questa prospettiva si percepisce immediatamente che la forma mentis di quanti dicono “questo sarebbe dogmaticamente corretto, ma non funziona per la cura pastorale” è completamente non-cattolica. Cristo maestro di verità, che è Dio, e che realizza in noi la conoscenza e l’amore di lui, è allo stesso tempo il Buon Pastore e il “Pastore delle nostre anime” (1 Pt 2, 25), che ha dato la sua vita per noi sulla Croce.
Perciò non ci può essere una doppia verità nell’insegnamento cattolico. Ciò che è dogmaticamente sbagliato avrà effetti nocivi sul lavoro pastorale, nella misura in cui quest’ultimo sarà guidato da falsi principi, mettendo in pericolo la salvezza delle anime.
Nella nostra epoca di mezzi di comunicazione sociale, di comunicazione digitale e di mainstreaming totalitario, ciò che è di primaria importanza non è se il papa o i vescovi raggiungono le persone, ma piuttosto che attraverso i loro messaggi Cristo raggiunga le persone, Cristo che è la verità e la vita di Dio.
Perciò l’unico e indivisibile magistero della Chiesa, il papa e i vescovi in unione con lui, hanno la grave responsabilità di fare in modo che nessun segno ambiguo o insegnamento incerto provenga da loro, confondendo i fedeli o cullandoli in un falso senso di sicurezza.
Per il papa e i vescovi, fa parte del loro rischio del mestiere trovarsi in situazioni in cui gli opinion leaders e i potenti di questo mondo li accusano di avere perso i contatti con la realtà, di essere ostili alla vita, o fermi al medioevo. I profeti furono perseguitati.
Gesù aveva avvertito i suoi discepoli che le genti avrebbero “detto ogni sorta di male” contro di loro, mentendo, a causa della vera fede (cf. Mt 5,11).
Perché allora i vescovi, in quanto successori degli Apostoli, pensano che la ragione della persecuzione e della diffamazione si trovi semplicemente in una errata politica mediatica, che potrebbe essere facilmente corretta da migliori capacità comunicative?
Nell’epoca del relativismo dogmatico, che rapidamente si trasforma in una persecuzione verbale e violenta dei testimoni della verità rivelata, c’è bisogno di chiarezza nel pensiero teologico e del coraggio dei martiri per poter dare testimonianza alla verità, come Gesù di fronte a Pilato.
La preoccupazione della Chiesa è di seguire Cristo nella verità di Dio, e non il potere del mondo.
Ma noi vogliamo testimoniare la fede cattolica ed esserne esempi viventi in un modo che ci permetta di camminare insieme con i cristiani delle chiese ortodosse e di altre denominazioni sulla via della piena unità della Chiesa, come il suo fondatore Gesù Cristo lo desidera.
Quando istituì l’Eucaristia, Gesù non diede risposte dettagliate a tutte le singole problematiche che sarebbero sorte nella riflessione successiva.
Ma tutte le dichiarazioni dogmatiche della Chiesa si fondano sulla natura di questo sacramento così come Gesù l’ha istituito. Chiunque voglia ricevere sacramentalmente il Corpo e il Sangue di Cristo deve essere già inserito nel corpo di Cristo, che è la Chiesa, attraverso la confessione della fede e il battesimo sacramentale.
Quindi non esiste una comunione con Cristo mistica, individualistica ed emotiva che possa essere pensata a prescindere dal battesimo e dall’appartenenza alla Chiesa. D’altra parte, Cristo è sempre il Capo del suo corpo, e il suo corpo è la Chiesa.
Non può esistere alcuna comunione mistica e individualistica con Cristo basata sul sentimento, prescindendo dall’appartenenza al corpo ecclesiale di Cristo.
È sempre stato chiaro a tutti i cattolici che per ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo nell’Eucaristia in modo legittimo e fecondo, è necessario essere in piena comunione con il corpo ecclesiale di Cristo nella professione del Credo, nei sacramenti e nella costituzione gerarchica della Chiesa visibile.
Inoltre, i fedeli devono essere nello stato di grazia santificante – cioè essi devono essere sinceramente pentiti di ogni peccato mortale e averlo confessato, risolvendo fermamente di non peccare ancora.
Ordinariamente è nell’assoluzione sacramentale che i fedeli sono liberati da colpe gravi che li separano radicalmente da Dio e dalla Chiesa.
Quando i papi e i concili scomunicavano gli eretici e gli scismatici, essi escludevano questi fedeli battezzati dalla Comunione eucaristica fino a quando si fossero convertiti e riconciliati con Dio e con la Chiesa; e viceversa anche gli eterodossi, che si considerano ortodossi, negano la comunione ecclesiale ai cattolici, rifiutando loro la Comunione eucaristica.
Fu solo con la Concordia di Leuenberg tra le chiese europee riformate, nel 1973, che i Luterani e i Riformati autorizzarono i loro membri a partecipare alle rispettive celebrazioni della Cena del Signore e a permettere al proprio clero di pregare nelle reciproche congregazioni.
Comunque fino a questo momento, essi si tennero ancorati al principio che risale alla Chiesa dei primi secoli, cioè al principio che la comunione nei sacramenti non può essere separata dalla comunione ecclesiale.
E per la verità non tutte le comunità ecclesiali che provenivano dalla Riforma hanno aderito alla Concordia di Leuenberg.
Secondo alcuni, questo accordo finì per risolvere la controversia sulla presenza reale di Cristo nella Cena del Signore in un modo troppo vicino alla prospettiva calvinista, non giungendo ad una vera unità di fede su questo tema.
Ci sono certamente stati progressi significativi nel dialogo della Chiesa Cattolica con le diverse comunità protestanti.
Ciò nonostante, la Chiesa Cattolica non può allontanarsi dagli insegnamenti essenziali della fede che riguardano la sua missione e i sacramenti che essa dispensa. Se lo facesse, diventerebbe infedele a Cristo.
Non è sufficiente per un cristiano non cattolico accettare in maniera selettiva alcuni insegnamenti della Chiesa e respingerne altri o considerarli non importanti.
Nell’insegnamento sull’Eucaristia, esiste un accordo pressoché completo tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse (la Presenza Reale, il carattere sacrificale della Messa, la necessità del sacerdozio ordinato, senza il quale non c’è Eucaristia).
Esiste invece un accordo parziale tra la Chiesa Cattolica e alcune comunità protestanti, specialmente quelle luterane.
Per i cattolici, i sacramenti non sono semplicemente i segni della giustificazione del peccatore, che è già avvenuta grazie alla sola fede.
Invece essi sono segni che realizzano ciò che significano. Sì, ci possono essere delle circostanze in cui sacramenti della grazia non possono essere amministrati come segni visibili, e nondimeno Dio comunica la grazia dei sacramenti a coloro che confidano in lui nella fede, speranza e carità.
Ma egli opera così per la salvezza degli uomini senza con ciò rendere meno importante la visibile, sacramentale mediazione della salvezza, che si basa sull’Incarnazione ed è conforme alla natura umana.
Allorché si interpreta la fame spirituale di Dio e della grazia divina da parte degli uomini in termini psicologici anziché teologici, si profila il pericolo di confondere i sacramenti cristiani con la magia pagana.
A motivo della fede e della grazia soprannaturali, l’Eucaristia è un “farmaco di immortalità” (Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini); non è un rimedio per esperienze e traumi psico-drammatici. In questo caso è importante utilizzare gli aiuti naturali della medicina e della terapia.
È impossibile che l’Eucaristia ristabilisca fisicamente, per così dire, la comunione ecclesiale perduta, senza quell’unione soprannaturale che deriva da una comune confessione di fede, di sacramenti e di visibile unità con il papa e con i vescovi.
Alcuni affermano, con apparente generosità, che le cose non dovrebbero essere interpretate in modo così restrittivo e che in ultima analisi la decisione di ricevere la Santa Comunione dovrebbe essere lasciata ai pii sentimenti e alla buona volontà delle persone.
In realtà, questo richiamo ai sentimenti soggettivi che scavalcano la disciplina sacramentale mostra una noncuranza per la fede così com’è stata rivelata da Dio e affidata alla Chiesa Cattolica.
Quando singole conferenze episcopali cercano di risolvere le difficoltà mediante l’esercizio del potere, rinunciando di sforzarsi a pervenire ad una conoscenza più profonda della fede cattolica, ed emanando un diktat autoritario, presumendo tacitamente l’approvazione del papa, allora il magistero della Chiesa sta danneggiando se stesso.
Infatti la sua autorità non si fonda su un potere amministrativo, ma sulla “parola di Dio, scritta o trasmessa”.
Il magistero “non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio” (Dei Verbum n. 10).
Dio ha stabilito soltanto un solo magistero nella Chiesa Cattolica. Alcuni ritengono che nella Chiesa possano esserci delle diversità e delle divergenze in materia di fede e nell’amministrazione dei sacramenti.
È stato anche proposto che le conferenze episcopali o i singoli vescovi abbiano un magistero per conto proprio per mezzo del quale interpretare la Rivelazione a pieno titolo, in modo dogmaticamente vincolante senza legami con il papa e l’episcopato universale.
Questa proposta rivela non solo una preoccupante mancanza di formazione teologica, ma anche un enorme attacco all’unità della Chiesa in Cristo.
Per la Chiesa universale e il collegio dei vescovi, il papa è il principio dell’unità della fede e il fondamento della comunione nei sacramenti. I singoli vescovi hanno un ruolo analogo per le loro chiese locali (cf. Lumen Gentium 18; 22).
Essi non devono essere la causa della frammentazione della Chiesa universale in chiese nazionali autocefale. Il principio secolare di decentralizzazione politica del potere può essere applicato alla Chiesa solo per analogia e solo per quanto attiene questioni logistiche dell’amministrazione ecclesiastica.
Sicuramente non può essere applicato alla verità che unisce tutti i credenti in Dio, i quali continuano ad essere “perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (Atti 2, 42).
Nonostante ciò, in situazioni estreme di pericolo di morte, quando ad essere in gioco è l’immediata preparazione del credente al suo giudizio particolare e alla vita eterna, la Chiesa non può negare un aiuto pastorale ai cristiani non cattolici battezzati, quando seriamente lo richiedono.
Evidentemente questo può avvenire solo nel rispetto della fede del credente. In effetti, molti cristiani non cattolici non sono stati responsabili dell’eresia e non sono andati fuori dalla Chiesa Cattolica per propria iniziativa.
A motivo del battesimo e di molti altri elementi che costituiscono la Chiesa, i cristiani delle comunità ecclesiali che provengono dalla Riforma hanno un vero legame con la Chiesa Cattolica.
Esiste in effetti una comunione, sebbene non sia una piena comunione (Unitatis Redintegratio n.3).
Quando i cristiani non cattolici in situazioni di grave necessità che pesa sulla loro salvezza eterna – situazioni che non devono essere confuse con situazioni sociali o psicologiche difficili – richiedono un sacerdote cattolico per il perdono sacramentale dei loro peccati e per la Santa Comunione come viatico, cioè come nutrimento per il loro ultimo viaggio, allora questi sacramenti della grazia possono essere loro dati.
Non sono richieste altre condizioni se non che essi affermino la fede della Chiesa relativamente a questi sacramenti, almeno implicitamente. Infatti, a motivo della loro fede, speranza e carità, Dio concede loro la grazia dei sacramenti. Deve essere evitata qualsiasi apparenza di relativismo.
In ogni caso, non si devono arbitrariamente estendere concetti come “grave necessità” (Codex Iuris Canonici, can. 844 §4) al punto di arrivare ad una unione sacramentale de facto della Chiesa Cattolica con le comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con essa.
La legge canonica dev’essere interpretata alla luce della fede rivelata e, nella misura in cui si tratta di una legge meramente ecclesiastica, deve essere anche rettificata nella stessa luce.
Per converso, è impossibile che disposizioni canoniche positive meramente umane arrivino ad inficiare la fede.
Una divergenza tra la dottrina della fede e la sua pratica non è possibile, se vogliamo rimanere cattolici. In ultima analisi, l’obiettivo non è l’intercomunione tra le chiese visibili che continuano a rimanere separate, ma piuttosto l’unità visibile della Chiesa che è rappresentata e realizzata nell’unità della fede, dei sacramenti e del riconoscimento dell’ufficio di insegnamento e di governo del papa e dei vescovi (Unitatis Redintegratio n. 4).
Sebbene un matrimonio misto possa diventare una grande sfida per gli sposi e per i loro figli, può essere, nello stesso tempo, un’opportunità dal punto di vista ecumenico. Sicuramente, comunque, esso non presenta una situazione di “grave e urgente necessità”, che richiederebbe l’amministrazione dei sacramenti della Chiesa Cattolica alla parte non cattolica per la salvezza della sua anima.
Se i cristiani protestanti giungono all’intima convinzione che nella loro coscienza confermano l’intera fede cattolica e la sua forma ecclesiale, allora essi devono anche cercare la piena visibile comunione con la Chiesa Cattolica.
Per quanto riguarda le Chiese Ortodosse, la questione è diversa sia dogmaticamente che praticamente, in quanto essi hanno la stessa comprensione dei cattolici della Chiesa come realtà sacramentale.
Hanno sacramenti validi, il sacerdozio sacramentale e la valida ordinazione dei vescovi, che sono i veri e legittimi successori degli Apostoli.
Perciò, fermo restando che “una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli” e venga evitato l’errore dell’indifferentismo, e “sia fisicamente o moralmente impossibile accedere al ministro cattolico”, un fedele cattolico può chiedere a un sacerdote ortodosso il sacramento della Penitenza, l’Unzione dei malati, e l’Eucaristia (Codex Iuris Canonici, can. 844 §2).
Per quanto riguarda le disposizioni della Chiesa Cattolica, un sacerdote cattolico può legittimamente dare i sacramenti a cristiani ortodossi alla sola condizione che “li richiedano spontaneamente e siano ben disposti” (Codex Iuris Canonici, can. 844 §3).
Gli ortodossi, al contrario, sono più riservati nelle loro relazioni con la Chiesa Cattolica.
La ragione è che nella loro dottrina dei sacramenti, essi non sempre hanno tratto, o almeno non sistematicamente, le conclusioni della Chiesa Cattolica dalle fondamentali decisioni anti-donatiste del quarto e del quinto secolo.
Seguendo queste decisioni, la Chiesa Cattolica crede che anche un sacerdote eretico o scismatico, o uno che non sta vivendo una vita moralmente irreprensibile, possa amministrare validamente i sacramenti, purché sia validamente ordinato e che celebri i sacramenti secondo l’intenzione della Chiesa.
Riguardo alla competenza delle conferenze episcopali in materia dottrinale, non si deve limitare la questione alla loro competenza legale, canonica. È di estrema importanza ricordare che né i vescovi né il papa hanno alcun potere di interferire nella sostanza dei sacramenti (Concilio di Trento, Dottrina e cannoni sulla comunione sotto le due specie e la comunione dei fanciulli, DH 1728), o tacitamente di iniziare processi per introdurre errori e confusione nella pratica sacramentale, mettendo così in pericolo la salvezza delle anime.
L’ecumenismo deve avere lo scopo di risolvere differenze dottrinali nella sostanza della questione.
Non può limitarsi a trovare formule di compromesso, che sono ultimamente insostenibili. Addossando la colpa della divisione della cristianità occidentale alla teologia accademica, si finisce solo col favorire l’indifferenza nelle questioni di fede.
La conseguenza sarebbe allora quella di un nichilismo ecclesiologico, che apre un baratro che alla fine inghiotte la Chiesa.
Esiste però un’alternativa che è importante tenere ferma: “la chiesa del Dio vivente…è colonna e sostegno della verità” (1 Tim 3, 15).
* Ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
(Traduzione di Luisella Scrosati)
L’originale è stato pubblicato in inglese su “First Things”