Verso la fine del 384 giungeva a Milano un giovane manicheo, Agostino d’Ippona. Ne ripartiva nel 387, da cristiano. Cos’era avvenuto in quei tre anni? Agostino era stato conquistato dalla vita ecclesiale di Milano e dal pastore che con zelo ineguagliabile la guidava, Aurelio Ambrogio.
Agostino a Milano s’imbatte in una Chiesa piena: videbam ecclesiam plenam et alius sic ibat alius autem sic (vedevo una Chiesa piena che nella sua pienezza consentiva ai suoi membri itinerari diversi), scriverà nelle sue celebri e sempre attuali “Confessioni”. È a contatto con questa “pienezza” che Agostino rimane affascinato ed è spinto ad abbracciare la fede in Cristo.
S’imbatte, anzitutto, in un popolo santamente fiero di essere la Chiesa di Dio, un popolo che si raduna in preghiera a cantare gl’immortali inni composti dal suo Pastore, nella certezza che quelle melodie e quelle parole non sarebbero rimaste inascoltate. Un popolo propenso alla carità verso i poveri, ma non meno incline alla magnificenza delle chiese; aperto al matrimonio e alla verginità, ma fermo e intransigente su qualsiasi deviazione morale.
Ma è soprattutto al Vescovo di questa Chiesa “piena” che Agostino deve la sua conversione. Eppure questo pastore, Ambrogio, non dialoga con Agostino. Egli propone il Vangelo con la forza persuasiva di chi sa di possedere la Verità. “La Chiesa è colonna e sostegno della verità” – dice –; “La verità è vita, salvezza e letizia per l’uomo”; “Nella Chiesa c’è gioia, nell’eresia e nel paganesimo ci sono pianto e tristezza”. Il giovane manicheo d’Ippona sapeva bene quanto vere fossero quelle parole! E Ambrogio incalza: “Quando c’è in gioco la verità, è in gioco la nostra sorte, perciò non si può venire a nessun compromesso”.
Queste ultime parole del Vescovo di Milano erano con perfetta coerenza tradotte in pratica, in quella “Ecclesia plena”. A chi, con mente relativista, sosteneva – anche allora! – che ognuno ha la sua strada per andare a Dio, Ambrogio chiede: “E se Dio, invece, avesse scelto Lui la strada per cui noi dobbiamo andare a Lui?”. Egli ci ha mandato il Suo Figlio, e Questi – attraverso la sua Sposa immacolata, la Chiesa – è l’unica via attraverso cui noi possiamo andare a Lui. “Extra ecclesia nulla salus”, aveva asserito pochi anni prima, con una chiarezza che non si prestra ad obiezioni, san Cipriano. E Ambrogio conclude: “Quanti padroni finiscono per avere coloro che si rifiutano di sottomettersi all’unico vero Signore”. Il popolo milanese era certo di tutto ciò. La Chiesa era “piena” anche e soprattutto per questa persuasione adamantina.
La Chiesa che affascina Agostino è, dunque, una Chiesa senza compromessi, che non rincorre il mondo né attenua il rigore del suo insegnamento, ma – al contrario – sfida l’uomo con l’annuncio rivoluzionario del Vangelo, certa com’è della verità di cui è depositaria, della bellezza della sua dottrina, del fascino divino del suo Signore.
È una Chiesa “piena” perché non aperta al dialogo sterile e inconcludente, che rischia di relativizzare e vanificare il suo annuncio evangelico. Agostino arriva alla fede attraverso il contatto con “questa” Chiesa. Non una Chiesa dialogante e aperturista, ma una Chiesa santamente inflessibile, perché fondata sull’unica Verità che salva.
La Chiesa che è oggi sotto i nostri occhi appare molto diversa: da un cinquantennio ormai vediamo una Chiesa in continuo dialogo col mondo, aperta ad ogni genere di novità . Essa però non persuade nessuno, a differenza della Chiesa ferma e rigorosa di Ambrogio che conquistava i cuori, e cuori come quello di Agostino d’Ippona!
Il vescovo Ambrogio non avrebbe tollerato le iniziative ecumeniche e interreligiose che ai nostri giorni si moltiplicano come per magia, con l’eloquente risultato che le nostre chiese, lungi dall’esser piene, sono sempre più vuote. Tali iniziative sarebbero verosimilmente incorse in severe censure canoniche da parte di Ambrogio per il semplice fatto che il compromesso non appartiene alla Chiesa: “Quando c’è in gioco la verità – aveva detto –, è in gioco la nostra sorte, perciò non si può venire a nessun compromesso”. Ambrogio sapeva bene che la Chiesa dal suo divin Fondatore ha ricevuto il mandato di annunciare la “verità tutta intera” (Gv 16,13), non di dialogare con il mondo: “Il vostro linguaggio sia sì sì, no no. Il resto viene dal maligno” (Mt 5,37). Anche il dialogo, dunque, e il compromesso che inesorabilmente ne consegue.
Ma, nonostante le miserie di cui Essa tollera d’esser rivestita dai suoi membri, la Chiesa è e rimane la Sposa santa e immacolata dell’Agnello. Sulle orme del popolo ambrosiano che nel IV secolo conquistò Agostino, occorre allora riscoprire la bellezza della nostra appartenenza a Cristo e la santa fierezza di avere una tal Madre. Deve apparir chiaro ai nostri interlocutori, per dirla ancora con Ambrogio, che la Chiesa ha già il “suo incantatore”, il Signore Gesù, e non ha bisogno d’altro.
Anastasia Domini
Fonte: Corrispondenza Romana