Wainer Molteni ha 42 anni: una vita normale e un curriculum eccellente alle spalle, con il dottorato in Criminologia, il master a Quantico in Virginia al centro di addestramento dell’Fbi. Poi il ritorno in Italia, l’assunzione in un’azienda che poco dopo chiude per bancarotta e la morte dei suoi genitori.
All’improvviso si ritrova ad essere un senza tetto e conosce l’inferno della strada, della disoccupazione, della povertà che racconta nel suo libro “Io sono nessuno” edito da Dalai.
Oggi Wainer è ancora un clochard e svolge consulenze presso la giunta Pisapia a Milano per il recupero sociale dei senza fissa dimora. Una storia esemplare di speranza e solidarietà che ci tocca tutti. Cecilia Seppia ha raccolto la testimonianza di Wainer Molteni
R. – Ad un tratto succede che il lavoro sicuro che svolgevo da quattro anni, finisce perché l’azienda per la quale lavoravo e dove ero direttore del personale, ha chiuso per bancarotta fraudolenta e quindi non ho avuto il tempo di reinserirmi o comunque trovare una soluzione al problema. E così, mi sono trovato per strada.
D. – Non c’è stato nessuno a cui chiedere aiuto?
R. – La mia famiglia, a livello di sangue, non esisteva più, i miei genitori erano morti ed io ero figlio unico di figli unici. Faccio parte di una delle nuove generazioni che rappresentano una problematica: mi sono quindi trovato da solo … avevo, sì, gli amici a cui potermi rivolgere o simili, ma non mi sembrava giusto che il mio problema diventasse anche il problema di altri – un po’ per orgoglio, un po’ per carattere … Ho voluto farcela da solo …
D. – Perché la scelta di lavorare in questa azienda di supermercati? Avevi un curriculum eccezionale: il dottorato alla Scuola Normale di Pisa, il Master addirittura a Quantico, il Centro di ricerca dell’Fbi … Perché una scelta del genere?
R. – Siamo sempre lì: per la sicurezza. Io, in quel tempo, come è stato per tutto il periodo dei miei studi, facevo il disc-jockey, ero conosciuto, lavoravo senza problemi, mi chiamavano in ogni parte d’Europa e anche fuori; ma non lo consideravo un lavoro vero e proprio su cui basare il futuro della mia vita. Quindi, anche su consiglio di mia nonna, di persone ‘posate’, ‘normali’, ho deciso di accettare un lavoro che lì per lì mi aveva dato anche sicurezza, ma poi si è rivelato tutt’altro che sicuro.
D. – Nel tuo libro racconti anche delle mense a cui andavi per mangiare, i dormitori che ti hanno accolto per la notte, i luoghi della povertà …
R. – Sì: esatto. C’è comunque un sistema assistenzialistico – almeno per quanto riguarda la città di Milano – sicuramente al di fuori di ogni aspettativa. Oggi come oggi, esiste tantissimo assistenzialismo di “prima soglia” che mantiene i senzatetto in condizioni sicuramente le più dignitose possibili, ma comunque nella condizione di senzatetto, comunque di persone in stato di disagio; solo in rarissimi casi viene loro permesso di fare il salto e di auto-reinserirsi. C’è da tenere presente che oggi i nuovi poveri non chiedono la carità; oggi come oggi i nuovi poveri chiedono un’occasione per poter dimostrare che non sono merce avariata, ma persone normali con cuore, testa, cervello e anima e vogliono assolutamente dimostrare al mondo che qualcosa riescono a fare anche loro.
D. – Waimer, ci racconti una giornata-tipo che vive chi, appunto, si trova in questa situazione?
R. – Ecco: una giornata-tipo di un senzatetto è un po’ uno specchio della vita del senzatetto. Ci si sveglia la mattina presto, altrimenti arrivano i vigili o comunque, anche se dormi in dormitorio te ne devi andare entro una certa ora; cominci a girovagare: ci sono i tuoi appuntamenti fissi per la sopravvivenza, che diventano un vero e proprio lavoro e non ti permettono di fare o pensare altro. Hai un orario per non morire di freddo, quindi ti rifugi nei posti caldi – come le biblioteche o posti del genere; hai, quindi, un orario per la mensa, un orario per il guardaroba, un orario per la doccia, hai un orario anche soltanto per andare a prendere i cartoni puliti da stendere, su cui dormirai la notte … E’ una vita scandita da orari. Il messaggio che vorrei passasse è anche questo: che la vita di strada non prevede libertà!
D. – “Io sono nessuno”, una frase dai toni veramente forti, che è il titolo del tuo libro: qual è il messaggio che hai affidato a questo volume?
R. – Il messaggio che ho affidato a questo volume sicuramente vuole essere un messaggio di speranza, cioè la speranza di potercela fare nonostante le avversità della vita. Il messaggio di speranza, però, dev’essere comunque legato alla voglia di farcela, e “Io sono nessuno” è un titolo collegato soprattutto ad un paradosso, che purtroppo esiste, in Italia, e che è quello della scadenza dei documenti. Tu, cittadino italiano, nel momento in cui ti scadono i documenti, sei un clandestino nella tua città e non hai nessun diritto: né politico – perché non puoi votare – né economico, perché non puoi neanche essere assunto legalmente da un’azienda, e soprattutto non avendo la possibilità di rifarti i documenti e non avendo una residenza, perdi anche il diritto sanitario. Quindi, siamo al paradosso!
Fonte: Radio Vaticana