I casi di Covid-19 sono saliti a poco più di 50 milioni, i morti sono 1,25 milioni. L’Africa si conferma il continente meno colpito. Per un raffronto, l’Europa il 9 novembre ha superato i 13 milioni di contagi, l’Africa ne ha registrati 1,3 milioni. Più che il numero dei casi è indicativo quello dei decessi: 311.336 in Europa, 30.616 in Africa, due terzi dei quali in un solo stato, il Sudafrica. Anche mettendo in conto che, per una serie di motivi, siano morti di coronavirus molti più africani di quelli dichiarati, è chiaro che almeno finora gli scenari apocalittici annunciati non si sono avverati.
C’è addirittura un paese, il Tanzania, che sostiene di essere libero dal Covid-19 dal 29 aprile, giorno in cui le autorità sanitarie hanno comunicato all’Oms l’ultimo bollettino che ha portato a 509 i casi e a 21 i morti.
Tre settimane dopo Paul Makonda, il commissario regionale della più grande città del paese, Dar es Salaam, ha invitato la popolazione a scendere per strada domenica 24 maggio per festeggiare la fine dell’epidemia e ha chiesto ai negozianti di stoffe e abbigliamento di mettere le loro merci in saldo per permettere alla gente di indossare abiti nuovi per l’occasione.
Pochi giorni dopo il presidente della repubblica, John Magufuli, ha dichiarato ufficialmente che l’epidemia era finita grazie alle preghiere dalla popolazione e ha invitato tutti i cittadini a unirsi in preghiera per tre giorni per rendere grazie a Dio. Lo ha fatto in una chiesa della capitale, Dodoma, domenica 7 giugno: “voglio ringraziare i tanzaniani di ogni fede e credo – ha detto – abbiamo pregato e digiunato per chiedere a Dio di salvarci dalla pandemia che ha colpito il nostro paese e il mondo intero. Dio ha risposto alle nostre preghiere. Credo, e sono sicuro che lo credono molti tanzaniani, che il coronavirus è stato eliminato da Dio”.
Le sue parole sono state accolte con applausi e grida di gioia. Il presidente si è anche congratulato con sacerdoti e fedeli per il fatto che non indossavano né guanti né mascherine per proteggersi dal virus.
Nei giorni precedenti l’ambasciata Usa a Dar es Salaam aveva detto che gli ospedali cittadini erano sommersi di ammalati e che il rischio di contagio era estremamente elevato, ma il presidente Magafuli aveva assicurato che secondo il ministero della sanità in tutta la città i ricoverati per coronavirus erano solo quattro.
Amnesty International aveva protestato dicendo che medici e personale sanitario avevano paura di parlare dell’epidemia e della reale situazione sanitaria temendo ritorsioni e così pure i mass media, vittime di leggi repressive della libertà di espressione.
Nei giorni successivi il Centro africano di controllo e prevenzione delle malattie ha sollecitato il governo tanzaniano a riprendere la pubblicazione dei dati relativi alla pandemia. Anche l’Oms ha manifestato viva preoccupazione per il comportamento del governo. Il presidente ha risposto che la crisi sanitaria era stata esagerata e ha esortato la gente a partecipare alle cerimonie religiose nelle chiese e nelle moschee dicendo che le preghiere potevano vincere il virus.
Elisha Osati, il presidente dell’associazione medica tanzaniana, ha dato ragione al governo sostenendo che gli ospedali del paese stavano lavorando normalmente e che la maggioranza dei ricoverati per Covid-19 mostravano sintomi leggeri.
Dopo il primo caso di coronavirus registrato il 16 marzo, il governo ha disposto solo la chiusura delle scuole, che hanno riaperto a giugno, la sospensione delle manifestazioni sportive e la chiusura delle frontiere.
Ai mezzi pubblici è stato ordinato di trasportare meno passeggeri, ai bar e ai ristoranti di limitare il numero degli avventori. Mercati, negozi, attività produttive, tutti gli ambienti di lavoro e i luoghi di culto sono rimasti aperti. “Abbiamo una quantità di malattie virali, tra cui l’Aids e il morbillo – il presidente ha replicato alle critiche – la nostra economia viene per prima, non si deve fermare, la vita deve continuare. Gli altri paesi africani verranno da noi a comprare cibo nei prossimi anni, mentre patiranno le conseguenze di aver fermato le loro economie”.
A distanza di sei mesi i fatti sembrano dare ragione al presidente. Per il 2020 la Banca Africana di Sviluppo prevede per il paese una crescita del Pil tra il 2,6 e il 3,6 per cento, circa la metà di quanto previsto prima dell’emergenza pandemia, ma pur sempre un andamento molto positivo.
Per quanto riguarda la situazione sanitaria, è vero che i mass media sono controllati, soggetti a regole che ne limitano la libertà di espressione, ma il Tanzania non è un paese isolato e chiuso. Ci vivono e lavorano migliaia di missionari, cooperanti e funzionari Onu.
Se fosse nella morsa del Covid-19, ce ne dovrebbe essere evidenza: non si fanno più funerali del solito, gli ospedali lavorano normalmente, i medici intervistati lo hanno più volte confermato.
In carica dal 2015, Magufuli si è ricandidato alle presidenziali del 28 ottobre e ha vinto conquistando un secondo mandato con l’84% dei voti.
L’opposizione come sempre ha contestato i risultati, ha denunciato brogli, probabilmente a ragione, ma poi ha rinunciato ai ricorsi e John Magufuli ha prestato giuramento il 5 novembre. Alla cerimonia svoltasi in uno stadio di Dodoma gremito di folla hanno partecipato delegazioni di 12 paesi, dell’Unione Africana e della Comunità di sviluppo dell’Africa australe di cui il paese fa parte.
Ad aprile il presidente, dubbioso sulla attendibilità dei test Covid, aveva ordinato di eseguirli su degli animali e dei vegetali. Sembra che una papaya, una quaglia e una capra fossero risultate positive.
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