“Sono acerbe parole queste ch’io scrivo, lo so. Ma anche so che per un popolo che ha nome dell’Italia non è vita (…) non avere né un’idea né un valore politico, non rappresentare nulla, non contar nulla, essere in Europa quello che è il matto nel gioco de’ tarocchi: peggio (…), essere un cameriere che chiede la mancia a quelli che si levano satolli dal famoso banchetto delle nazioni, e quasi sempre, con la scusa del mal garbo, la mancia gli è scontata in ischiaffi”.
Fa impressione rileggere queste righe che Giosuè Carducci scrisse nel 1882, nella prefazione a “Giambi ed Epodi”.
Perché sembra la tristissima cronaca dei nostri giorni, quella che si ripresenta adesso con la nuova legge di bilancio (con l’Italia in cerca di mance per il deficit), quella che ha sempre caratterizzato l’Italia a guida Pd, sottomessa al “partito straniero” e trattata come un cameriere che chiede mance e si prende schiaffi.
Quella che esulta perché hanno assegnato un importante posto di commissario europeo a Gentiloni senza avvedersi che non ci è stato regalato nulla (essendo nostro diritto) e soprattutto senza capire che Ursula von der Leyen, ha “commissariato” il commissario con il vicepresidente all’economia, il falco Dombrovskis. Il quale rappresenta un Paese, la Lettonia, che è l’ultimo arrivato e che ha meno abitanti della Calabria.
Cionondimeno sarà Dombrovskis che darà gli ordini e Gentiloni ubbidirà. Loro lo sanno quanto è “europeista” (cioè ubbidiente) Gentiloni. Per questo lo hanno voluto.
Solo un Paese sottomesso come l’Italia a guida Pd poteva avere un premier – appunto Gentiloni – che il 7 febbraio 2018 arrivò a Berlino per un incontro bilaterale con la Merkel e fu lasciato fuori dalla porta dalla cancelliera tedesca che poi gli farà sapere di tornare dopo una settimana perché ha da fare.
E’ la stessa Merkel che si è permessa di telefonare al Pd – durante la crisi di governo – per dire che doveva essere fatto ad ogni costo il ConteBis con il M5S (del resto pesante è stata anche l’intromissione di Trump, di Macron e perfino del Vaticano).
Quale Paese che ha un minimo di dignità e di indipendenza può permettere che siano gli stranieri a determinare il suo governo per impedire agli italiani di votare? E quale sistema mediatico esulta di fronte a una così chiara ingerenza straniera acclamando questa “Europa che ha steso una cortina di ferro contro la destra sovranista”?
Chi non ricorda, d’altronde, l’umiliazione inflitta al nostro Paese da Sarkozy e dalla Merkel nel 2011 al tempo del governo Berlusconi (dopo la quale arrivò Monti)?
Per non dire dell’umiliazione alla nostra dignità nazionale inflitta da Giuseppe Conte quando, premier di un governo fra Lega e M5S, durante un vertice internazionale, s’intratteneva servilmente a colloquio (in anglopugliese) con la Merkel per sottolineare la propria affidabilità (“Angela non ti preoccupare, sono molto determinato”), per screditare Salvini (“è contro tutti”, intendendo Francia e Germania) e chiedere consiglio e aiuto contro di lui, cioè contro quella Lega i cui voti permettevano a lui – non votato da nessuno – di recarsi a quei vertici internazionali.
Dove, per mandato del governo gialloverde, avrebbe dovuto fare l’esatto contrario, ovvero, difendere energicamente e con dignità i nostri interessi nazionali. Ed è lo stesso Conte che in Senato ha pomposamente preteso di impartire lezioni professorali di lealtà e di serietà istituzionale.
Fra l’altro chiedere l’aiuto straniero contro i propri nemici interni (e Salvini non sapeva che Conte, che a lui doveva Palazzo Chigi, lo considerasse nemico) è storicamente la tragedia italiana. Da secoli.
Cominciò, com’è noto, Ludovico il Moro, signore di Milano, che per contrastare le mire di Ferrante, re di Napoli, chiamò in Italia, in suo aiuto, il re di Francia Carlo VIII.
Quello invase la penisola col suo esercito nel 1494 e aprì la strada a tutti gli altri eserciti stranieri (l’Europa sì, cioè i barbari invasori) che approfittarono delle divisioni fra i regni italiani per saccheggiare lo splendido Belpaese.
Il Sismondi, nella sua “Storia delle repubbliche italiane”, scrive: “Alla fine del secolo XV i signori delle nazioni francese, tedesca e spagnola furono tentati dall’opulenza meravigliosa dell’Italia, dove il saccheggio di una sola città prometteva loro a volte più ricchezze di quante ne potessero strappare a milioni di sudditi. Con i più vani pretesti essi invasero l’Italia che, per quaranta anni di guerra, fu di volta in volta devastata da tutti i popoli che poterono penetrarvi. Le esazioni di questi nuovi barbari fecero infine scomparire l’opulenza che li aveva tentati”.
Gli italiani essendo governati da regnanti mediocri e divisi risposero col genio e inventarono il Rinascimento, il Barocco e il Classicismo, diventando la capitale culturale e spirituale del mondo in quei tre secoli in cui venivano sottomessi e invasi.
E anche quando si arrivò finalmente a concepire l’unità d’Italia, nell’Ottocento, quei regnanti non si misero d’accordo per costruire una confederazione italiana (la cosa più ovvia e suggerita da grandi menti), ma uno dichiarò guerra agli altri e li conquistò militarmente ancora una volta grazie all’aiuto straniero.
Così le potenze straniere diventarono decisive e condizionarono pesantemente il Regno d’Italia determinando la sua tragica entrata in guerra nel primo conflitto (“un’inutile strage”) e quindi il fascismo che prima ci tolse la libertà e poi ci asservì ai tedeschi che tornarono ad invaderci.
Nel dopoguerra, pur a sovranità limitata per aver perso la guerra e con il più grosso Pc d’occidente agli ordini di Mosca, la classe dirigente, da De Gasperi a Mattei e Moro, riuscì a dare all’Italia margini di indipendenza che poi non ha più avuto.
Il grande errore fu la rinuncia alla piena sovranità monetaria, che è “uno dei poteri fondamentali di uno Stato” (Luciano Gallino), il primo dei “beni pubblici”.
Anzitutto col “divorzio” fra Bankitalia e Tesoro del 1981, dopo il quale “decollarono il debito pubblico e la disoccupazione e si fermò il potere d’acquisto delle famiglie” (Alberto Bagnai, “Il tramonto dell’euro”).
Poi con l’adesione a Maastricht e all’euro con cui ci asservimmo del tutto a quell’Unione Europea che era diventata una “grande Germania”. Così abbiamo smantellato la nostra economia, il nostro benessere e la nostra piena sovranità politica.
Il resto è cronaca. E al di là dell’avvilente trasformismo di queste settimane (fenomeno vecchio delle élite italiche su cui sempre Carducci scrisse parole di fuoco) la grande questione di oggi e del futuro prossimo è la seguente: il conflitto fra “partito straniero” e “partito italiano”.
E’ possibile per l’Italia avere una classe di governo che finalmente si batta per i nostri interessi nazionali, per la nostra indipendenza, il nostro benessere e la nostra libertà?
Antonio Socci
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