Questa breve riflessione parte dal caso di due signore americane, madre e figlia, quest’ultima riuscita dopo tanto tempo e varie difficoltà a rimanere incinta del marito all’età di 29 anni. Purtroppo, poco tempo dopo la lieta notizia era stato diagnosticato un cancro uterino alla giovane madre, che si era trovata quindi di fronte alla dura scelta se portare a termine la gravidanza, mettendo a rischio la propria vita, oppure procedere con le cure e rinunciare per sempre ad avere un figlio.
Naturalmente, con grande altruismo, scelse se stessa: ha ucciso il figlio che portava in grembo e si è sottoposta ad isterectomia. Senonché, come è tipico dell’atomo individualista che è l’uomo moderno, volendo la botte piena e la moglie ubriaca, ha deciso di avere comunque un bambino.
Il triangolo (procreativo) non l’avevamo considerato…
A questo punto, la soluzione più immediata sarebbe stata quella di adottare uno dei tanti orfani che languiscono in brefotrofi o istituti, dando a questo bambino tutto l’amore di una famiglia, come ha suggerito Ilaria in un suo recente articolo. Invece no, il figlio deve essere per forza del proprio stesso sangue, come se non fosse l’amore materno, ma la discendenza di sangue, l’elemento determinante. La natura, con le sue leggi, si oppone? Ma allora tanto peggio per la natura! I due sposi hanno optato così per la fecondazione artificiale: i medici avevano già provveduto a congelare due dei suoi ovuli, e uno di questi è stato fecondato in vitro con lo sperma del marito.
Qui si presentava un altro problema: non potendo la madre partorire, c’era bisogno di un grembo altrui che si prestasse ad essere impiantato e a portare a termine la gravidanza (di un figlio non suo). La cosa non è difficile da farsi, ma può rivelarsi costosa; d’altronde, ormai si è formato un vero e proprio racket degli uteri in affitto, specie in India. A questo punto però la nonna si è offerta di mettere a disposizione il proprio, proponendosi di diventare la madre uterina di sua nipote. Nonostante l’età non troppo avanzata (53 anni portati bene), ha potuto affrontare e portare a termine la gravidanza, sia pure con una bella dose di ormoni e un cesareo. Così è nata la piccola Elle, frutto di un vero e proprio “triangolo procreativo” tra madre, padre e nonna.
Le affermazioni dei tre genitori, riportate dal Daily Mail, parlano in maniera sdolcinata di amore famigliare e di altruismo disinteressato. La figlia afferma: «Questa è la continuazione di tutto quello che lei ha fatto per me per tutta la sua vita, ovvero assicurarsi che io avessi la migliore vita possibile» (leggi: “mia madre ha sempre assecondato le mie frivolezze”). La mamma-nonna rilancia: «Quando guardo loro due tenere quella bambina e guardarla in faccia, è come se lei fosse tutto quello che io avrei potuto immaginare di volere per loro – meglio di quanto avrei potuto immaginare» (traduci: “mia nipote è solo il culmine dei capricci di mia figlia”). In realtà, è l’ennesima prova di come, dietro la patina del sentimentalismo, si nascondano solo egoismo e individualismo.
Non c’è qui lo spazio per trattare nel dettaglio di come, a partire dal romanticismo letterario e filosofico, si sia diffuso questo individualismo passionale e volontaristico, che spazia dal titanismo superomistico di Byron fino al sentimentalismo borghese dei Baci Perugina; di come lo stesso matrimonio da serio impegno sociale sia diventato la formalizzazione più o meno temporanea di un legame affettivo più o meno effimero; di come la retorica sui diritti e i desideri dei singoli individui abbia ammorbato ogni aspetto della vita sociale e intellettuale, ponendo le basi per il consumismo più sfrenato e per l’abolizione di quei doveri e quei legami che rendono una vita degna di essere vissuta.
Il principio morale kantiano del guardare all’uomo come un fine e non come un mezzo, è stato quindi rovesciato ampiamente. Infatti, tutta la storia di Emily Jordan rivela un continuo perseguimento dei propri fini egoistici: prima uccidendo il proprio figlio pur di salvarsi la vita, poi sfruttando di buon grado la madre come utero surrogato per un altro figlio (come se fossero giocattoli intercambiabili e non esseri umani) concepito in provetta con i propri geni, quasi come fosse un homunculus alchemico in funzione dei genitori, e non una nuova persona, da accogliere nella propria famiglia.
Ora, che differenza avrebbe fatto se ad essere impiantato e partorito in un grembo affittato fosse stato un bambino selezionato geneticamente per avere determinati caratteri, oppure frutto del seme (o dell’ovulo) di uno sconosciuto? Che senso avrebbe stupirsi se a volere questo figlio su misura sia una coppia sterile oppure due uomini o due donne, o un single? Grazie anche a persone come queste donne, la maternità risulta sempre più ridotta ad una sorta di “mercato degli schiavi”, tra bambini indesiderati che vengono abortiti, e bambini troppo desiderati che non sono concepiti più con un atto d’amore, ma con una fredda procedura biomedica, ossia, in entrambi i casi, semplici oggetti, poco più che bambolotti nelle mani dei genitori (carnali o putativi non importa), le ennesime vittime di un sistema che mercifica e distrugge la vita e la natura umana.Questa è la realtà, a spregio delle belle parole di entrambe.
Fonte: Campari e De Maistre