Il Card. John Dew, Arcivescovo di Wellington (Nuova Zelanda), ha partorito una nuova creatura liturgica da inserire nella Messa: la Lectio divina, ossia un rito che arbitrariamente sostituisce la proclamazione del Vangelo dal parte del Sacerdote o del Diacono prescritta dalle Rubriche del Missale Romanum. Ne dà oggi notizia LifeSite News (qui). Le modalità di questo monstrum sono come al solito all’insegna del più squallido sentimentalismo di matrice ereticale. Il lettore, rigorosamente laico, guida l’assemblea con una lettura del Vangelo; le Letture dell’Antico e del Nuovo Testamento, così come il Salmo responsoriale, vengono omesse.
“Il lettore inviterà la congregazione a chiudere gli occhi e ad ascoltare con raccoglimento mentre il Vangelo viene letto. […] Durante la lettura, ogni persona ascolterà una parola, un’immagine o una frase che la colpisce in qualche modo“.
Segue poi una pausa di silenzio di 30 secondi. Poi il lettore ricomincia la lettura, seguita da un’altra pausa.
Ovviamente la cosa non ha potuto non suscitare reazioni tra i liturgisti. Il dottor Peter Kwasniewski, professore di Filosofia e Musica e membro fondatore del Wyoming Catholic College ha ossservato:
“Quello che questo vescovo ha ordinato è completamente contrario all’Istruzione Generale del Messale Romano, documento normativo per tutte le celebrazioni della Messa nella Forma Ordinaria del Rito Romano“.
Questa è chiaramente una delle tante mostruosità che il rito riformato subisce, in nome della creatività raccomandata dai suoi registi. E’ indicativo che il Card. Dew – rugiada, in italiano – affermi che questa innovazione arbitraria sia stata suggerita proprio da Bergoglio.
Curiosamente, gli ideatori della Lectio divina sono gli stessi che, per cinquant’anni, ci hanno rintronato accusando il Rito Romano di porre scarso rilievo sulla Sacra Scrittura, ed esaltando nel Novus Ordo l’aggiunta di letture dell’Antico e Nuovo Testamento.
Chi conosce la liturgia cattolica sa bene che tutto il corpus liturgico tridentino è un capolavoro di rimandi biblici che non solo sono pedagogicamente più efficaci delle prolisse pericopi del nuovo rito, ma che non si limitano all’Epistola e al Vangelo, bensì spaziano dall’Introito a tutte le parti del Proprium, estendendosi mirabilmente al Breviario ed allo stesso spazio liturgico: le chiese antiche, nei loro mosaici ed affreschi, nelle pale d’altare e nelle immagini sacre, richiamano i fatti dell’Antica Legge, le Profezie messianiche, le parabole evangeliche, le scene degli Atti e dell’Apocalisse, cosicché il fedele poteva vedere ad esempio il Giudizio universale raffigurato nel mosaico absidale, mentre il Diacono cantava il passo di San Matteo:
“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria” (Mt XXV, 31)
Se un impoverimento della conoscenza della Sacra Scrittura vi è stato, questo lo si deve alla pseudoriforma conciliare, copiata pedissequamente sul modello dell’omologa rivoluzione liturgica operata dai protestanti.
Ma è significativo che proprio chi perora la conoscenza della Scrittura come presunta conquista del Vaticano II oggi si faccia promotore di un’iniziativa che cancella quei passi della Bibbia che devono servire a comprendere ed inquadrare il brano evangelico nella Messa.
Le ragioni, a ben vedere, sono chiarissime: l’eliminazione delle letture vetero e neotestamentarie decontestualizza il Vangelo, lo priva della necessaria mediazione della Chiesa a cominciare dall’interpretazione degli Apostoli ed apre la celebrazione a quel nefastissimo libero esame che è elemento distintivo tanto dell’eresia luterana quanto della sua diretta erede conciliare.
Non solo: la proclamazione liturgica del Vangelo è atto eminentemente rituale e ministeriale, di cui il Diacono – o, in sua assenza, il Sacerdote – è ministro proprio.
L’orientamento verso il nord liturgico del pulpito – luogo simbolico delle tenebre verso cui la Novella dev’esser annunciata -, l’uso delle candele accese ai fianchi del Vangelo, la sua incensazione, il bacio con il quale viene venerato l’Evangeliario, le preghiere preparatorie e la benedizione che ne precedono il canto, l’invocazione che lo segue sono tutti segni di un’azione liturgica che non può, per sua natura, esser affidata ai laici.
Si tenga presente che la forma paradigmatica, il modello originale della Messa è il Pontificale, non la Messa letta né la Messa cantata, che di quello sono riduzioni rese necessarie dalle circostanze storiche e dalle contingenze.
Sbaglia chi crede che le cerimonie e i riti della Messa Pontificale siano delle aggiunte medievali, e che la forma originale sia quella semplice della Messa letta.
E’ vero il contrario, e nel caso specifico il canto solenne del Vangelo, nelle melodie ad esso proprie che la Chiesa ha stabilito e codificato, sono uno degli elementi che caratterizzano nei gesti e nei simboli la ricchezza della Liturgia Romana.
Il rito riformato, nella sua smania di abbassarsi allo squallore ereticale del Calvinismo, ha perso il senso della vera solennità, sostituendo formule e riti antichissimi con aggiunte arbitrarie, ad esempio facendo cantare dopo la proclamazione del Vangelo un’acclamazione, che mai nella Chiesa si era avuta prima, e che fa il paio con l’acclamazione che segue la Consacrazione, anch’essa aggiunta dai novatori nella Messa, prendendola a prestito dalla Cena luterana.
Non a caso le due liturgie riformate pongono sullo stesso piano la cosiddetta liturgia della Parola e la liturgia eucaristica, mentre la liturgia cattolica considera la prima parte didattica e preparatoria al sacrificio.
Si comprende quindi che affidare ad un laico la lettura del Vangelo significa de-ritualizzare questo aspetto centrale della Messa, de-sacralizzarlo anzi direi privarlo della sua valenza di Sacramentale, dal momento che non essendo più proclamato dal Diacono, il testo perde anche la propria efficacia speciale, che ha solo e soltanto nella Messa.
Una cosa infatti è leggere il Vangelo, altra è proclamarlo in canto nell’ambito della celebrazione.
Nella peggior tradizione protestante, si pensa di poter fare a meno non solo dell’interpretazione della Sacra Scrittura da parte della Chiesa, quasi il testo si commenti da sé e possa esser comprensibile a chiunque – secondo il libero esame, appunto – ma si osa addirittura censurare quella prima interpretazione che della Scrittura ci viene dagli Apostoli, le cui Epistole lette nella Messa sono quasi sempre legate al passo del Vangelo del giorno.
Si aprono ora due scenari possibili.
Il primo, che ritengo poco probabile, sia che questa invenzione della Lectio divina – che nulla ha a che vedere con quella monastica – sia estesa, se non per legge, almeno per prassi nelle celebrazioni.
Il secondo, a mio avviso più probabile, è che essa sia ufficializzata in una forma rituale a sé stante, senza la celebrazione della Messa o anche solo con la “liturgia della Parola” seguita dalla Comunione, magari accompagnata da una qualche forma narrativa che, sotto il pretesto di preparare i fedeli, non consacri le Specie, ma si limiti al racconto dell’Ultima Cena. Per la qual cosa, come ognun vede, il Sacerdote ordinato è superfluo.
Questa trovata consentirebbe quell’ospitalità ecumenica che si auspica da più parti, col vantaggio – non indifferente agli occhi del clero progressista – di non dover nemmeno modificare la Messa, potendo semplicemente metterla da parte per preferirle un rito più semplice, comodamente affidabile ai laici (anche donne) e che non porrebbe nessun problema di partecipazione agli acattolici.
Un’altra via, insomma, per raggiungere quell’abolizione dell’eterno sacrificio che il Profeta Daniele ha annunciato come elemento distintivo del regno dell’Anticristo.
(articolo di Cesare Baronio
originariamente pubblicato sul
blog Opportune Importune)
Fonte: Chiesa e posto concilio