Servendo “fedelmente la verità della fede”, i teologi “possono partecipare allo slancio evangelizzatore della Chiesa”: è uno dei passaggi chiave del discorso che Benedetto XVI ha rivolto, stamani, ai membri della Commissione teologica internazionale, ricevuti in Vaticano in occasione della sessione plenaria. Il Papa si è soffermato in particolare sul tema del sensum fidei, il sentire dei fedeli che – ha detto – non può essere in contrasto con il Magistero della Chiesa.
Quindi, ha ribadito che mai si può giustificare la violenza in nome di Dio. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto da mons. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e nuovo presidente della Commissione teologica.
Qual è il “codice genetico della teologia cattolica”? Benedetto XVI ha sviluppato il suo intervento muovendo da questo interrogativo, affrontato anche nei lavori della Commissione teologica. Il Papa ha osservato come innanzitutto la teologia non vada confusa “addirittura con le scienze religiose” e che essa è “inscindibilmente confessionale e razionale”. Quindi, ha messo l’accento sull’attenzione che i teologi devono riservare al sensus fidelium, il sentire comune dei fedeli. Questo dono, ha osservato, “costituisce nel credente una sorta di istinto soprannaturale che ha una connaturalità vitale con lo stesso oggetto della fede”. Esso, ha aggiunto, “è un criterio per discernere se una verità appartenga o no al deposito vivente della tradizione apostolica”. E tuttavia, ha avvertito, “è particolarmente importante precisare i criteri che permettono di distinguere il sensus fidelium autentico dalle sue contraffazioni”:
“In realtà, esso non è una sorta di opinione pubblica ecclesiale, e non è pensabile poterlo menzionare per contestare gli insegnamenti del Magistero, poiché il sensus fidei non può svilupparsi autenticamente nel credente se non nella misura in cui egli partecipa pienamente alla vita della Chiesa, e ciò esige l’adesione responsabile al suo Magistero”.
Questo senso della fede dei credenti, ha aggiunto, porta a “reagire con vigore anche contro il pregiudizio secondo cui le religioni, ed in particolare le religioni monoteiste, sarebbero intrinsecamente portatrici di violenza”. E ciò, “a causa della pretesa che esse avanzano dell’esistenza di una verità universale”. Alcuni, ha avvertito, ritengono invece che “il politeismo dei valori” sarebbe garanzia di “tolleranza” e “pace civile” e “sarebbe conforme allo spirito di una società democratica pluralistica”. Un’affermazione non vera, giacché, ha ricordato, “il Signore attesta un rifiuto radicale di ogni forma di odio e violenza a favore del primato” dell’amore:
“Se dunque nella storia vi sono state o vi sono forme di violenza operate nel nome di Dio, queste non sono da attribuire al monoteismo, ma a cause storiche, principalmente agli errori degli uomini”.
“Piuttosto – ha soggiunto – è proprio l’oblio di Dio ad immergere le società umane in una forma di relativismo, che genera ineluttabilmente la violenza”:
“Quando si nega la possibilità per tutti di riferirsi ad una verità oggettiva, il dialogo viene reso impossibile e la violenza, dichiarata o nascosta, diventa la regola dei rapporti umani. Senza l’apertura al trascendente, che permette di trovare delle risposte agli interrogativi sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, senza questa apertura, l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace”.
Se dunque la “rottura del rapporto degli uomini con Dio”, ha constatato, “porta con sé uno squilibrio profondo nella relazione tra gli uomini” allora la riconciliazione con Dio, operata da Cristo “nostra pace” è “la sorgente fondamentale dell’unità e della fraternità”. Il Papa ha quindi concluso il suo intervento pregando la Vergine Immacolata, “modello di chi ascolta e medita la Parola di Dio” affinché ottenga ai teologi la grazia di “servire sempre gioiosamente l’intelligenza delle fede a favore di tutta la Chiesa”.
Alessandro Gisotti
Fonte: Radio Vaticana