Il vescovo sia un pastore vicino alla gente, non spadroneggi né abbia la psicologia del prìncipe, ma ami la povertà esteriore e interiore: è l’esortazione rivolta da Papa Francesco, ieri pomeriggio a Rio de Janeiro, al Comitato di coordinamento del Celam, il Consiglio episcopale Latinoamericano, che ha in programma una riunione dal 29 luglio al 2 agosto prossimi, sempre a Rio.
Papa Francesco ha auspicato una “rivoluzione della tenerezza” nella Chiesa.
Rinnovamento interno della Chiesa e dialogo con il mondo attuale. Sono le due “sfide” che la missione continentale in America Latina e Caraibi è chiamata a raccogliere. Papa Francesco le ha indicate al comitato di coordinamento del Celam con gli occhi rivolti alla Conferenza di Aparecida aperta nel 2007 da Benedetto XVI.
Premessa per un rinnovamento interno della Chiesa è la conversione dei pastori, ambito nel quale – rileva il Pontefice – “siamo un po’ in ritardo”:
Esta conversión implica creer en la Buena Nueva …
“Questa conversione implica credere nella Buona Novella, credere in Gesù Cristo portatore del Regno di Dio, nella sua irruzione nel mondo, nella sua presenza vittoriosa sul male, credere nell’assistenza e guida dello Spirito Santo, credere nella Chiesa, Corpo di Cristo e prolungatrice del dinamismo dell’Incarnazione”.
Il Papa suggerisce ai pastori un esame di coscienza, chiede loro di non essere semplici amministratori, di condurre una “pastorale della misericordia” che punti a recuperare chi si è allontanato, di coinvolgere i fedeli laici superando qualsiasi tentazione di manipolazione o indebita sottomissione.
Dialogare con il mondo attuale – seconda sfida per la missione continentale – vuol dire, secondo il Santo Padre, prestare ascolto alle domande esistenziali dell’uomo di oggi, conoscerne il linguaggio, operare un “cambiamento fecondo” con l’aiuto del Vangelo, del Magistero e della Dottrina Sociale della Chiesa. “Gli scenari e gli aeropaghi sono i più svariati, in una stessa città – spiega il Pontefice – esistono vari immaginari collettivi che configurano ‘diverse città’”:
Si nos mantenemos solamente en los parámetros de ‘la cultura de siempre’…
“Se noi rimaniamo solamente nei parametri de ‘la cultura di sempre’, in fondo una cultura di base rurale, il risultato finirà con l’annullare la forza dello Spirito Santo. Dio sta in tutte le parti: bisogna saperlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma di ogni cultura; e ogni realtà, ogni lingua, ha un ritmo diverso”.
Papa Francesco suggerisce poi “lucidità e astuzia evangelica” di fronte ad alcune tentazioni alle quali è sottoposta la missionarietà. Tra queste cita varie ideologizzazioni del Vangelo: il riduzionismo socializzante, dal liberismo di mercato alle categorizzazioni marxiste; ideologizzazione psicologica che riduce l’incontro con Gesù a una dinamica di autoconoscenza; la proposta gnostica, tipica di gruppi di elites, i cosiddetti “cattolici illuminati”, la proposta pelagiana, che di fronte ai mali della Chiesa cerca di restaurare il passato perduto.
E ancora, altre tentazioni da cui guardarsi nella missione sono il clericalismo, molto diffuso in America Latina e causa di mancanza di maturità di buona parte del laicato latinoamericano ed infine il funzionalismo che riduce la Chiesa ad una Ong:
La Iglesia es institución pero cuando se erige en ‘centro’ se funcionaliza…
“La Chiesa è istituzione, ma quando si erige in ‘centro’ si funzionalizza e un poco alla volta si trasforma in una Ong. Da ‘Istituzione’ si trasforma in ‘Opera’. Smette di essere Sposa per finire con l’essere Amministratrice; da Serva si trasforma in ‘Controllore’”.
La missionarietà – aggiunge il Pontefice – è il cammino che Dio vuole per questo “oggi”, non per il futuro né per il passato:
El ‘hoy’ es lo más parecido a la eternidad…
“L’’oggi’ è il più simile all’eternità; ancora di più: l’’oggi’ è scintilla di eternità. Nell’’oggi’ si gioca la vita eterna”.
Il Papa dice no a una missionarietà statica, autoreferenziale perché – spiega – il discepolo missionario è proiettato verso l’incontro, in tensione verso la trascendenza. “O si riferisce a Gesù o al popolo cui si deve annunciare”, non occupa una posizione di centro, bensì di periferie: “Vive in tensione verso le periferie… incluse quelle dell’eternità nell’incontro con Gesù Cristo”. Il discepolo missionario – aggiunge – è un “decentrato”: il centro è Gesù Cristo, che convoca e invia.
Vicinanza e incontro: sono per il Santo Padre le categorie utili a valutare il discepolato missionario. “Esistono in America Latina e nei Caraibi – rileva – pastorali “lontane”, senza vicinanza, senza tenerezza, senza carezza. “Si ignora la rivoluzione della tenerezza”, che provocò l’Incarnazione del Verbo: pastorali tanto lontane che sono incapaci di raggiungere l’incontro.
La vicinanza invece crea comunione: pietra di paragone per calibrarla è l’omelia. “Come sono le nostre omelie? – chiede il Papa – Ci avvicinano all’esempio di nostro Signore, che parlava come chi ha autorità o sono meramente precettive, lontane, astratte?”.
Infine, Papa Francesco indica nel vescovo colui che deve condurre la Missione Continentale, senza spadroneggiare. I vescovi – è il suo auspicio – siano vicini alla gente:
Hombres que amen la pobreza, sea la pobreza interior como libertad…
“Uomini che amano la povertà, tanto la povertà interiore come libertà davanti al Signore, quanto la povertà esteriore come semplicità e austerità di vita. Uomini che non abbiano ‘psicologia da príncipi’. Uomini che non siano ambiziosi e che siano sposi di una Chiesa senza stare in attesa di un’altra”.
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana