Essere pastori vuol dire “camminare in mezzo e dietro al gregge” chinandosi su quanti il Signore ci ha affidato, attenti a rialzare e a infondere speranza: è quanto ha affermato ieri pomeriggio Papa Francesco, nella Basilica di San Pietro, durante la Professione di Fede dell’Episcopato italiano. La nostra libertà – ha detto il Pontefice rivolgendosi ai vescovi italiani – è insidiata “da mille condizionamenti interni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità”:
“Non sono certamente questi i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signore intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il Nemico, il Diavolo, per isolare nell’amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento. Gesù, buon Pastore, non umilia né abbandona al rimorso: in Lui parla la tenerezza del Padre, che consola e rilancia; fa passare dalla disgregazione della vergogna – perchè la vergogna davvero ci disgrega – al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione”.
La mancata vigilanza rende tiepido il Pastore:
“Lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio. Si corre il rischio, allora, come l’Apostolo Pietro, di rinnegare il Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda”.
Essere Pastori – ha aggiunto il Papa – significa “credere ogni giorno nella grazia e nella forza che viene dal Signore nonostante la nostra debolezza”…
“E assumere fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora “non sono di questo ovile” (Gv 10,16): siamo chiamati a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli, come annunciava profeticamente Isaia”.
Essere Pastori “vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge”:
“Capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine. Fra questi, un posto particolare riserviamolo ai nostri sacerdoti: soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza”.
La misura del servizio ecclesiale – ha detto il Santo Padre – si esprime “nella disponibilità all’obbedienza, all’abbassamento e alla donazione totale”:
“Del resto, la conseguenza dell’amare il Signore è dare tutto – proprio tutto, fino alla stessa vita – per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale… Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell’azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna”.
Papa Francesco ha infine elevato una preghiera a Maria, Nostra Signora:
“Madre del silenzio, che custodisce il mistero di Dio, liberaci dall’idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria: torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente.
Madre della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano, destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo.
Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra: scopriremo la gioia di una Chiesa serva, umile e fraterna.
Madre della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia, aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità di chi non conosce appartenenza.
Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani, i nostri piedi e i nostri cuori: edificheremo la Chiesa con la verità nella carità.
E saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno. Amen”.
Prima dell’omelia di Papa Francesco, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, aveva rivolto un indirizzo di saluto al Santo Padre, ricordando come il cammino delle diocesi sia scandito dall’annuncio del Vangelo e dalla testimonianza della carità:
“Tale cammino ci vede impegnati, come pastori delle Chiese che vivono in Italia, nell’accoglienza dell’amore di Dio e nella promozione della dignità di ogni essere umano: ne è segno l’attenzione operosa e quotidiana con cui le nostre parrocchie aprono le porte a quanti sono provati dal perdurare della crisi economica. Ci anima la sollecitudine di aiutare tutti, credenti e non credenti, a ritrovare fiducia nella vita, consapevoli che proprio dal Vangelo discende la proposta di una vita buona, di una vita riuscita, piena”.
Parole alle quali Papa Francesco ha risposto esortando i vescovi italiani a proseguire lungo questo cammino:
“Voi avete tanti compiti. Primo, la Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche. È un compito vostro! E non è facile. Andate avanti con fratellanza, e la Conferenza Episcopale vada avanti con questo dialogo che ho detto in principio: con le istituzioni culturali, sociali, politiche. Avanti!”
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana