L’intervista rilasciata l’altro giorno al Corriere della Sera da monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, poco dopo i tragici fatti di Berlino, è già stata variamente commentata (negativamente), soprattutto per quell’ostinazione con cui ripete sempre lo stesso ritornello: la religione non c’entra, guerre e violenze sono provocate da soldi e potere e ovviamente dai commercianti di armi.
Uno schema fisso, che pretende di scongiurare una guerra di religione o lo scontro di civiltà (tanto per usare altre due frasi fatte che vengono usate spesso a sproposito) e invece ritarda solo la possibilità di comprendere la natura di questa guerra dichiarata e già combattuta da una sola parte.
Più volte abbiamo spiegato quanto sia pericoloso continuare a non riconoscere la matrice religiosa islamica del terrorismo, o cercare di minimizzare asserendo che in fondo ci sono fondamentalisti in tutte le religioni, anche quella cattolica.
Non torniamo dunque sullo stesso argomento, qui piuttosto interessa sottolineare un altro aspetto, ovvero la condanna della religione cattolica all’irrilevanza perseguita proprio dai suoi pastori.
Posizioni come quella di monsignor Galantino – peraltro condivisa da tanti vescovi – lungi dal diminuire la minaccia islamica (non saranno certo le sue affermazioni a ridurre l’afflato religioso dei terroristi) in realtà rendono irrilevante proprio il cattolicesimo.
Alla fine infatti si insegna ai cattolici a non considerare rilevante la fede nel motivare le azioni degli uomini, che si muoverebbero invece solo per denaro.
Sembra che neanche i vescovi comprendano più il significato religioso di quel che accade, non solo nella decisione di diventare terrorista: siamo a pochi giorni dal Natale e in Germania è stato colpito proprio un tipico mercatino natalizio.
Probabilmente la maggioranza di quanti lo affollavano al momento della strage non saranno presenti alla veglia natalizia sabato notte, magari non vanno mai in chiesa, eppure quei mercatini restano una tradizione tipica legata al Natale cristiano, un significato che ai terroristi non sfugge.
Ma questo è ancora solo un aspetto secondario. Il rifiuto di considerare la religione come un fattore decisivo per l’agire porta a giudicare quel che accade con categorie mondane, alla subalternità culturale, e alla fine a ridurre la fede a fatto personale, privato, che ispira al massimo una eticità nel vivere.
Tra tre giorni il mondo cristiano celebrerà la nascita di Gesù, Dio che si fa carne e si fa compagnia all’uomo: un fatto che ha cambiato il corso della storia, eppure di questo evento senza pari nelle parole di monsignor Galantino, che deve giudicare a caldo un fatto terribile come la strage di Berlino e l’assassinio politico in Turchia, non c’è neanche una eco lontana.
Perché accadono queste tragedie, chiede il giornalista? Il denaro, il potere, i ricchi, i commercianti di armi, risponde il “vescovo collettivo”. E cosa si può fare per scongiurare queste violenze, chiede ancora il giornalista? Cominciare ad usare un linguaggio meno violento e poi fare uno sforzo per la pace, è la risposta.
Stupida anche dal punto di vista culturale e politico, ma soprattutto evidenzia che per il “vescovo collettivo” il Natale non ha più nulla da dire. Né nel giudicare il male né nell’indicazione di una strada che dal male ci liberi.
Dice l’evangelista Giovanni che la luce è venuta nel mondo ma il mondo non l’ha riconosciuta, «la luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno accolta». È qui il giudizio sul mondo contemporaneo, sulla vita personale di ognuno così come sulla vita dei popoli. È il rifiuto di Cristo, della misericordia di Dio che genera violenza. Ed è la conversione l’inizio di un mondo nuovo.
Quando due settimane fa abbiamo lanciato la campagna raccolta fondi titolando “Il Natale non è negoziabile”, proprio questo intendevamo. Vediamo intorno a noi come anche i pastori (non tutti per fortuna) si accontentino di un annuncio ridotto a sentimento, a qualche opera buona, pensino soltanto ad andare a braccetto con il mondo.
La Bussola è nata invece proprio per rendere presente, nel modo di informare e di giudicare l’attualità, tutta la potenza di questo annuncio di salvezza. Per questo con ancora più consapevolezza affermiamo oggi che “Il Natale non è negoziabile”.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana