PARIGI, 19. C’è qualcosa «che si dimentica di dire». Il grande rabbino di Francia, Gilles Bernheim, scende in campo contro il controverso progetto di legge che punta all’introduzione del matrimonio e dell’adozione da parte di coppie omosessuali.
Lo ha fatto con un corposo documento di venticinque pagine inviato al presidente, François Hollande, al primo ministro, Jean-Marc Ayrault, e con lui a tutti i ministri, con il quale vengono illustrati i motivi della sua netta contrarietà al progetto di legge, che verrà esaminato dal Governo a fine mese.
«Non c’è coraggio né gloria a votare questa legge », scrive Bernheim nella sua lunga riflessione, intitolata «Matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione: ciò che si dimentica di dire ». Per la massima autorità ebraica d’oltralpe quello sulle nozze gay è un progetto di legge basato più sugli «slogan che sugli argomenti e che si conforma al dominio dei benpensanti per paura degli anatemi».
Nel documento si sottolinea che la presa di posizione non si è avuta sull’onda dell’emozione, bensì soppesando e analizzando attentamente i contenuti della proposta di legge.
Proposta che dallo stesso mondo omosessuale viene ritenuta come una sorta di «cavallo di Troia». Infatti, «il loro progetto è più ambizioso: la negazione di qualsiasi differenza sessuale». In questa senso, nella lettera vengono analizzati tutti i fattori di una legge che oltre a snaturare il senso del matrimonio arriva a ledere i diritti del bambino.
Sfatando anche alcuni luoghi comuni, secondo i quali il matrimonio omosessuale risponderebbe a delle norme di giustizia e di eguaglianza.
«Un gran numero di nostri concittadini intende la rivendicazione del matrimonio omosessuale come un ulteriore passo nella lotta democratica contro l’ingiustizia e la discriminazione, in continuità con quella condotta contro il razzismo». Così, «in nome dell’uguaglianza, dell’apertura della mente, della modernità, del ben pensare dominante ci viene chiesto di mettere in discussione uno dei fondamenti della nostra società».
Per Bernheim, «dopo l’analisi degli argomenti, dopo il chiarimento delle teorie che li sottendono, occorre trovare un soluzione al dibattito in corso». Come altri, osserva il rabbino, «sono stato rispettosamente ascoltato, ma solo il progetto di legge e le posizioni che assumerà il Governo consentiranno di dire se la concertazione è stata vera o di facciata ». A oggi, però, «risulta che gli argomenti addotti di uguaglianza, di amore, di protezione o di diritto al bambino si smontano e non possono da soli giustificare una legge».
Anzi, il vero obiettivo dei militanti omosessuali sarebbe quello di «negare » e di «cancellare le differenze sessuali e di sostituirle con orientamenti che permettano alla stesso tempo di uscire dalla “costrizione naturale” e di rendere più dinamici i fondamenti eterosessuali della nostra società». In questa prospettiva, quello che più «disturba» è «il rifiuto di porsi domande, il rifiuto di uscire dalle proprie convinzioni».
Quello che veramente costituisce un problema nella legge prospettata è «il danno che si provocherebbe all’insieme della nostra società a solo profitto di un’infima minoranza, una volta che verranno confusi in modo irreversibile tre concetti: le genealogie, sostituendo la parentalità alla paternità e alla maternità; lo statuto del bambino; le identità, dove la sessuazione come dato naturale sarebbe costretta a scomparire di fronte all’orientamento espresso da ognuno, in nome di una lotta contro le disuguaglianze, snaturata in uno sradicamento delle differenze».
Insomma, il gran rabbino di Francia chiede che tutte queste «poste in gioco» siano «chiaramente esaminate nel dibattito sul matrimonio omossessuale e sull’omopa rentalità», poiché «esse si ricollegano ai fondamenti della società nella quale ognuno di noi vuole vivere». In proposito, Bernheim afferma di essere tra quelli che «pensano che l’essere umano non si costruisca senza struttura, senza ordine, senza statuto, senza regole; che l’affermazione della libertà non implichi la negazione dei limiti; che l’affermazione dell’uguaglianza non comporti il livellamento delle differenze; che la potenza della tecnica e dell’immaginazione esige di non dimenticare mai che l’essere è dono, che la vita ci precede sempre e che ha le sue leggi».
In questa ottica, il leader ebraico dice di aver voglia «di una società in cui la modernità occupi tutto il suo posto, senza che però vengano negati i principi elementari dell’ecologia umana e familiare. Di una società in cui la diversità dei modi d’essere, di vivere e di desiderare sia accettata come una possibilità, senza che tale diversità venga però diluita riducendola a un denominatore più piccolo che cancelli ogni differenziazione. Di una società in cui, nonostante i progressi del virtuale e dell’intelligenza critica, le parole più semplici — padre, madre, coniugi, genitori — conservino il loro significato, allo stesso tempo simbolico e incarnato. Di una società in cui i bambini siano accolti e occupino il loro posto, tutto il loro posto, senza però diventare oggetto di possesso a ogni costo o posto in gioco del potere». Infine, «ho voglia di una società in cui ciò che accade di straordinario nell’incontro tra un uomo e una donna continui a essere istituito, con un nome preciso.
Fonte: L’Osservatore Romano