Tempo di Natale, tempo di allegria, di pace, ma anche, di questi tempi, tempo di battaglia. Perché a Natale si fa festa? Perché è successo un evento inimmaginabile: Dio si è incarnato. È sceso sulla terra perché era l’unico modo per salvarci. Tempo in cui tutta la creazione si rallegra. Tutte le cose tornano nuove e rivivono dopo la morte che ci aveva regalato il peccato.
In Italia, grazie alla presenza di Roma e alla scelta fatta da Dio in favore di Roma, la nostra storia, come popolo, come nazione, ha sempre celebrato con grandissima solennità il Natale. Con fede e con cultura. Con canti. Canti popolari, musica sacra, dipinti, statue, presepi meravigliosi. Con poesie, con educazione dei bambini, con catechesi.
Negli ultimi tempi ci siamo abituati a non disturbare. A non “imporre”, così si dice, la nostra identità. E quindi nelle scuole non si fanno più presepi né canti di Natale. Si canta altro. In inglese per lo più. Ma comunque altro. Facciamo silenzio. Non imponiamo la nostra storia. Non ingombriamo. Ci facciamo piccoli piccoli. Anzi, scompariamo. Non creiamo conflitti. Così quelli che ospitiamo a casa nostra non potranno che dire bene di noi e non ci faranno esplodere con le bombe. Non ci contesteranno.
Ma io mi chiedo: come facciamo a stare zitti? Come facciamo a non annunciare, a non gridare dai tetti per così dire, che è nato il Salvatore? Colui che ci salva. Ci salva dall’orrore della morte che ci terrorizza tutti durante tutta la vita.
Come facciamo a stare zitti? Forse che i musulmani non hanno diritto di ascoltare anche loro questa notizia strabiliante, bellissima, di Dio che si fa bambino, che nasce da una Vergine, che prende la nostra carne per portarla in cielo?
Questo è il regalo. L’unico regalo. Il regalo più bello: la nascita di Gesù. Altro che babbo Natale. Bimbo che nasce, non babbo-nonno che viene a portare regalini. É il bimbo il vero regalo.
La natura aborre il vuoto. Se noi ci svuotiamo di noi stessi, della nostra fede, della nostra storia, della nostra cultura, noi diventiamo apostati e meritiamo quello che i profeti e lo stesso Gesù avvisano che avverrà: la distruzione.
A due passi da Roma la Madonnina di Civitavecchia ha pianto lacrime. Lacrime di sangue.
Per noi italiani diventare apostati è un peccato di gravità sconfinata perché la nostra storia, la nostra cultura, la nostra ricchezza millenaria sono dipese in parte preponderante dall’essere Roma capitale della cristianità.
Un’apostasia da parte nostra è imperdonabile come quella che ha ridotto Gerusalemme alla distruzione da parte di Tito nel 70 dopo Cristo. E, anche se la città è stata ricostruita, il tempio, il cuore de popolo giudaico, non è più stato ricostruito. Difendiamo la nostra storia.
Conosciamola e quindi amiamola per la grande misericordia che Dio ha avuto con noi e la grandezza della nostra civiltà e dei nostri santi a cominciare da Francesco, l’inventore del presepe vivente. Per quello che possiamo andiamo a parlare con insegnati e dirigenti scolastici.
Andiamoci in tanti. Andiamo tutti: genitori, papà e mamme, nonni, parenti, amici.
Mostriamo che, col vuoto, col nulla, prepariamo solo la venuta dell’islam cui ci siamo arresi prima di combattere. E con l’islam la diseguaglianza fra uomini e donne.
E con l’islam la scomparsa della salvezza del Dio che ci ama e si fa bambino per noi. La fine della pace. La fine delle nostre città con la bellezza che le fa splendide e le riempie di chiese, conventi, piazze, palazzi. Città che, tutte, hanno un’anima. Un’anima cristiana.
Fonte: il sito di Angela Pellicciari