Il primo dicembre ministero della Salute ha dato il via a una campagna istituzionale in occasione della giornata mondiale contro l’Aids. Il testimonial è l’attore Raoul Bova e lo slogan – efficace – è «la trasmissione sarà interrotta il più presto possibile». Nello spot – in cui, pagando pegno al politically correct, compaiono le coppie assortite in tutte le loro varianti – si fa una gran pubblicità all’uso del preservativo, evidentemente considerato l’unico rimedio alla diffusione del contagio.
EDWARD GREEN. Che il condom sia efficace per combattere l’Aids è una diffusa leggenda che piace molto ai nostri media e, pare, dal primo dicembre, anche al ministero guidato dal cattolico bindiano Renato Balduzzi. Su Tempi abbiamo più volte scritto, dati alla mano, che non esiste correlazione tra “uso del preservativo e calo del contagio”. Anzi, semmai, è vero il contrario come testimoniato da tanti seri ricercatori, non ultimo Edward Green, antropologo della medicina ad Harvard, liberal agnostico e simpatizzante del Partito democratico, attivo per anni in programmi di social marketing di anticoncezionali di tutti i tipi nei paesi poveri.
Fu proprio Green a denunciare la grande favola, partendo dall’analisi dei numeri e dalle sue precedenti esperienza sul campo, quando ancora sponsorizzava l’utilizzo del condom nei paesi del Terzo Mondo. Lo fece anche in una intervista a Tempi, in cui – tra le altre cose – disse questa frase: «La verità amico, era ed è anche oggi un’altra: la lotta all’Aids è un’industria multimiliardaria che sarebbe messa in pericolo da una strategia così semplice come quella che dice “non avere tanti partner, sii fedele alla tua compagna, astieniti”. Piuttosto che puntare all’eliminazione del rischio con una strategia che costerebbe molto poco e che molto poco è costata laddove, come in Uganda, è stata applicata, ci si limita alla riduzione del rischio spendendo miliardi di dollari in condom e antiretrovirali sempre più potenti a causa dei ceppi resistenti di Aids che sorgono. Ma è un business che resta molto popolare, perché è agganciato all’idea di “liberazione sessuale”».
ROSE BUSINGYE. Ma non bastasse la parola di Green, può essere forse ancora più persuasiva quella di tanti operatori che hanno tutti i giorni a che fare con i malati in Africa (vera terra di conquista e “laboratorio umano” per le pratiche contraccettive). Come, ad esempio, Rose Busingye che passa la sua vita ad accogliere e curare gli ammalati di Aids assieme all’ong Avsi al Meeting Point di Kampala, la capitale dell’Uganda. Infermiera, Busingye sa di cosa parla quando discute di Hiv e preservativi. Un paio di anni fa, in un’intervista al Foglio disse: «Il problema è se la vita ha un valore, un significato, altrimenti non c’è preservativo che tenga».
Rose lo affermò confortata anche dai numeri: per il virus dell’Hiv nel suo paese dal 1986 sono morte quasi un milione di persone (e più del doppio sono rimaste infettate). L’Uganda è però anche il primo paese del Vecchissimo Continente che ha mostrato numeri in controtendenza: in pochi anni si è passati dal 21 per cento della popolazione infetta al 7 per cento di oggi. «Lo abbiamo fatto – diceva Rose al Foglio – senza distribuire preservativi a tutti, ma educando le persone».
L’ESEMPIO UGANDESE. Oggi, meritoriamente, il quotidiano Avvenire la interpella sulla questione e Busingye torna a ribadire che «la nostra salvezza non sta dentro un pezzo di plastica. Dobbiamo tornare a essere uomini veramente. Uomini che hanno dignità e hanno valore». Per l’infermiera ugandese «il preservativo non serve a nulla se non si cambia prima il metodo, la vita. Applicare uno strumento e non cambiare la vita non porta a niente. Sarebbe come dire: tu sei un animale, che agisce soltanto seguendo il suo istinto, non sei un uomo che può controllarsi. Per questo da noi, in Africa, oggi l’uso del preservativo è visto soltanto come ultima spiaggia. Dobbiamo chiederci che senso ha il sesso. Oggi è come se fosse la cosa più importante del mondo. È l’esaltazione di un idolo. Se voglio bene all’altro e so che il metodo che sto usando porta in sé un minimo di pericolo, allora non rischio. Il vero problema è educare la persona a comprendere che ha un valore più grande, di cui è responsabile. La questione vera è il riconoscere il valore di sé stessi».
Rose parla della politica impostata nel suo paese dal presidente Yoweri Museveni: «Non è un cattolico, eppure è tra coloro che tre anni fa, nella bufera nata dopo le dichiarazioni del Papa in occasione della sua visita in Africa, si è subito schierato dalla sua parte. Museveni ha da subito affermato che bisogna ritornare alle origini. Perché la nostra “salvezza” non è dentro un pezzo di plastica. Non ci salveremo grazie a un preservativo. Dobbiamo tornare a essere uomini veramente. Uomini che hanno dignità e che hanno valore. Attenzione: questo non è un discorso cattolico, perché questo valore non ce lo dà la religione, e nemmeno il Papa. Il Papa ce lo fa conoscere, ci educa a capire che siamo uomini che hanno un valore infinito. Rispondere al nostro istinto, ai nostri bisogni immediati, è troppo poco per la grandezza del nostro cuore».
Fonte: Tempi.it