Se qualcuno aveva scambiato la sua mitezza per rassegnazione, ebbene si dovette ricredere. Nel 2002, nel bel mezzo del crac dell’economia argentina, il cardinale Jorge Mario Bergoglio usò parole taglienti, denunciando «la corruzione generalizzata che mina l’unità della nazione e ci toglie prestigio agli occhi del mondo».
Ci ricordiamo tutti le dimostrazioni di piazza del dicembre 2002 in Argentina, la rabbia della borghesia che si ritrova improvvisamente sul lastrico, la repressione delle forze dell’ordine. Dalla finestra del suo piccolo appartamento, vicino al palazzo della curia, l’arcivescovo di Buenos Aires vide coi propri occhi le scene di violenza e chiamò subito al telefono l’allora presidente De La Rua chiedendogli di fermare le cariche della polizia.
Non ebbe un attimo di esitazione «il cardinale dei poveri». Attenzione, però. Quel che più gli stava a cuore non era la protesta rumorosa e violenta dei contestatori politici ma quella silenziosa e affranta dei padri e delle madri che piangono di notte, quando i figli dormono e nessuno può vedere la loro cupa disperazione. «Piangono come quando erano bambini e la mamma li consolava. Si, solo Maria nostra Madre può asciugare le loro lacrime», disse il cardinale Bergoglio in un’omelia commovente e appassionata.
Non si limitò a pronunciare belle parole. Tramite la Caritas diocesana organizzò immediatamente delle mense popolari, distribuì aiuti, accorse dovunque ci fosse bisogno della presenza materna e consolatrice della Chiesa. Ed alzò forte la sua voce a difesa di un popolo «strangolato dai meccanismi anonimi e perversi dell’economia speculativa».
È lo stile pastorale del nuovo Pontefice: schierato decisamente a fianco del poveri e degli emarginati, critico con il potere ma alieno da posizioni ideologiche che riducono il cristianesimo a lotta di classe.
In una delle sue rare interviste (Bergoglio non ha mai amato l’esposizione mediatica), confida al settimanale Trenta dìas: «Anche l’attuale imperialismo del denaro mostra un volto idolatrico.E dove c’è idolatria si cancella Dio, si cancella la dignità dell’uomo. Tanto le ideologie di sinistra quanto l’imperialismo del denaro tendono ad eliminare l’originalità dell’incontro con Cristo».
Bergoglio è uno dei volti del nuovo del cattolicesimo latino-americano che marca la sua distanza dalla vecchia teologia della liberazione, ma non arretra di un millimetro quando si tratta di difendere i diritti umani, sociali ed economici dei più deboli. Lo si è visto chiaramente nei mesi drammatici della crisi.
A fare emergere nel collegio cardinalizio e far conoscere al grande pubblico internazionale la figura di Bergoglio fu la sua partecipazione al sinodo dei vescovi del 2001 come relatore.
Sobrietà e incisività. Sono le caratteristiche del nuovo Papa (il primo gesuita a salire sul soglio di San Pietro). Per Jorge Mario Bergoglio la preoccupazione per i poveri è sempre andata di pari passo con quella educativa.
Subito dopo essersi insediato all’arcivescovado di Buenos Aires prese la decisione di creare un vicariato episcopale per l’educazione. Non una struttura burocratica, bensì un foro permanente per la formazione giovanile.
«Il dramma della nostra epoca – ha detto una volta – è che l’adolescente vive in un mondo che a sua volta non è uscito dall’adolescenza. I ragazzi crescono in una società che non chiede loro nulla, non li educa al sacrificio e al lavoro, non sa più cosa sia la bellezza e la verità delle cose. Per questo l’adolescente disprezza la storia passata ed è spaventato dal futuro. Tocca alla Chiesa riaprire i sentieri della speranza».
Nel segno della povertà, quando nel febbraio 2001 venne elevato alla porpora cardinalizia, Bergoglio non volle comprarsi una nuova talare e si fece adattare quella usata dal suo predecessore, il cardinale Quarracino. «Non è proprio la stessa taglia, ma pazienza», sbuffò il sarto.
Quando, nel febbraio di quell’anno, riceve la porpora cardinalizia e i fedeli propongono di pagare il viaggio per la cerimonia di insediamento l’arcivescovo, colui che ama definirsi semplicemente «Jorge Bergoglio prete», chiede agli argentini di restare a casa e distribuire i soldi ai poveri.
Certamente singolare di questo austero figlio di Sant’Ignazio è stata sempre nel 2001 la scelta da parte di Giovanni Paolo II di assegnare il titolo come cardinale presbitero della chiesa romana di San Roberto Bellarmino: un luogo di culto quasi sempre affidato a un cardinale gesuita latino-americano; titolari di questa parrocchia romana sono stati il primate del Perù e dell’Ecuador, gli ignaziani Augusto Vargas Azamora (1922-2000) e Pablo Munos Vega (1903-1994).
Stella polare della vita e azione apostolica di Bergoglio in questi anni è stata la esortazione apostolica di Paolo VI Evangeli Nuntiandi. Il cardinale riprendendo le conclusioni del Consiglio episcopale latino-americano (Celam) di Aparecida del 2007 ha suggerito la via di una nuova evangelizzazione alla luce della missionarietà e dell’impegno concreto di amministrare e, allo stesso tempo, facilitare il battesimo e i sacramenti alle persone lontane da Dio, in maggioranza adulte ma anche bambini.
È stata questa una delle frontiere privilegiate del ministero di Bergoglio nei barrios di Baires in questi 15 anni di ministero episcopale assieme ai suoi preti, a cominciare dal carismatico padre «Pepe» José Maria Di Paola.
Di grande impatto è stata poi nel 2009 la decisione del cardinale di istituire un vicariato episcopale per la Pastorale delle «bidonville» nella capitale argentina.
Un’emergenza quella di arrivare ai lontani che ha spesso spinto Bergoglio a non dimenticare gli ultimi di Buenos Aires perché «un certo neo rigorismo clericale» tende ad allontanare – è la sua convinzione – «il popolo di Dio dalla salvezza».
Attento lettore della Bibbia ma soprattutto profondo conoscitore degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio, Bergoglio ha sempre sferzato la società argentina a combattere i vizi capitali e si è sempre messo in guardia dai rischi di una secolarizzazione capace di sfigurare il volto della Chiesa.
«La cosa peggiore che può capitare è quello che Henri de Lubac – ha raccontato in un’intervista a 30 Giorni di alcuni anni fa a Stefania Falasca – chiama “mondanità spirituale”. È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo nella Chiesa. “È peggiore”, dice De Lubac, “più disastrosa di quella lebbra infame che aveva sfigurato la Sposa diletta al tempo dei papi libertini”.
La mondanità spirituale è mettere al centro se stessi. È quello che Gesù vede in atto tra i farisei: “Voi vi date gloria. Che date gloria a voi stessi, gli uni gli altri”».
C’è da giurarci che ora da Pontefice metterà in guardia tutto il suo gregge e la sua amata Chiesa dai rischi di una «mondanizzazione spirituale».
Luigi Geninazzi e Filippo Rizzi
Fonte: Avvenire