E’ grossa, per Bergoglio, la sconfitta che ha subito sul Venezuela: ha perso la partita e si è dovuto piegare alla Segreteria di Stato del card. Parolin e ai vescovi del Venezuela che hanno preteso una sconfessione del despota rosso Maduro (firmata peraltro dalla stessa Segreteria di Stato). Il papa argentino infatti era vicino a Maduro (lui è sempre “tenero” con tutti i tiranni rossi, da Fidel Castro ai cinesi, mentre demonizza Trump e i leader democratici).
Bergoglio si era perfino prestato, nel giugno 2013, a una parata propagandistica, in Vaticano, durante la quale si era fatto fotografare mentre benediceva Maduro sulla fronte.
Oggi che il despota ha ridotto alla fame il Venezuela (nonostante sia uno dei paesi più ricchi del pianeta: primo al mondo per riserve sfruttabili di petrolio), oggi che Maduro reprime nel sangue le proteste della piazza, il popolo e la Chiesa del Venezuela non potevano più accettare la tacita vicinanza del papa argentino al regime, così la Segreteria di Stato vaticana ha prevalso, facendo vincere oltretevere la linea dei vescovi venezuelani.
Capita sempre più spesso. Dentro la Chiesa ormai il regno del “papa argentino” viene definito con termini come “sciagura”, “disastro” e “flagello”.
Pur con lo stile felpato degli ambienti ecclesiastici, si notano le reti di protezione della Chiesa, di autodifesa per scongiurare i colpi o limitare o rattoppare i danni incalcolabili provocati da Bergoglio e dalla sua corte. Ed è, sempre più spesso, il cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, il protagonista di quest’opera di contenimento e correzione (com’è accaduto sul Venezuela). Basti vedere le ultime settimane.
CORREZIONE E LIMITAZIONE
Il 13 luglio, per esempio, Parolin ha rilasciato dichiarazioni sull’ondata migratoria che sono state considerate una correzione, se non una sconfessione, di mons. Galantino, quindi implicitamente di Bergoglio che dell’emigrazionismo ha fatto il dogma di fede della sua fazione: è anche l’ossessivo martellamento bergogliano sull’accoglierli tutti, dopo il viaggio Lampedusa del 2013, che ha spinto i governi del Pd ad abbassare tutte le difese fino a far travolgere il Paese dall’invasione.
Ma, soprattutto, una toppa colossale è stata messa dal card. Parolin su una recente gaffe internazionale di Bergoglio – poco notata dalla stragrande maggioranza dei media – che aveva fatto sobbalzare certe diplomazie.
Dunque l’8 luglio, su “Repubblica”, nell’ultima surreale intervista a Scalfari, tra varie enormità, Bergoglio, a un certo momento, se n’è uscito con una sconcertante dichiarazione su Trump e Putin.
Ecco come la riportava Scalfari:
“Papa Francesco mi ha detto di essere molto preoccupato per il vertice del G20. ‘Temo che ci siano alleanze assai pericolose tra potenze che hanno una visione distorta del mondo: America e Russia…Putin e Assad nella guerra di Siria’ ”.
In effetti al G20 Trump e Putin hanno avuto un colloquio che poteva essere un inizio di dialogo (e poteva anche aprire prospettive di pace per la Siria). Non c’è nessuna persona di buon senso che non guardi con favore il pacifico parlarsi fra le due grandi potenze. Soprattutto nella Chiesa Cattolica. La linea costante dei papi e del Vaticano è sempre stata quella di favorire al massimo il dialogo e l’accordo per salvaguardare la pace mondiale.
Invece a cercare lo scontro e a fomentare la tensione fra Usa e Russia sono certi potentissimi circoli guerrafondai americani che avevano in Obama e soprattutto in Hillary Clinton i loro rappresentanti politici (e ora cercano di spingere Trump in rotta di collisione con la Russia).
Sono ambienti potentissimi che puntano addirittura a uno scontro militare (magari col pretesto dell’Ucraina o della Siria), che avrebbe conseguenze imprevedibili e incalcolabili.
E’ dunque sconcertante che un Papa sia – e addirittura si mostri pubblicamente – così schierato con il partito della guerra e della tensione internazionale.
Anche se non sorprende perché è ormai emersa da tempo, con evidenza la subalternità di Bergoglio a quel mondo obamiano-clintoniano.
Quella dichiarazione ovviamente deve aver provocato dei grattacapi alla diplomazia vaticana.
Così il 27 luglio scorso, il card. Parolin – che a fine agosto sarà a Mosca – è corso ai ripari e ha dichiarato che Occidente e Russia devono dialogare e comprendersi.
NO A MURI CON LA RUSSIA
Si è spinto pure oltre:
“Non è solo il suo essere ai confini dell’Europa che rende l’Oriente europeo importante, ma anche il suo ruolo storico nell’ambito della civiltà, della cultura e della fede cristiana. C’è chi rileva che quando san Giovanni Paolo II immaginava un’Europa dall’Atlantico agli Urali non pensava a un ‘espansionismo occidentale’, ma a una compagine più unita di tutto il continente”.
E – a proposito del ruolo internazionale della Russia (avversato soprattutto da quei potenti circoli Usa) – Parolin ha detto:
“Oggigiorno vengono spesso sottolineate le differenze tra vari Paesi occidentali e la Russia, come se fossero due mondi differenti, ciascuno con i propri valori, i propri interessi, un orgoglio nazionale o transnazionale e persino una propria concezione del diritto internazionale da opporre agli altri. In un simile contesto la sfida è quella di contribuire a una migliore comprensione reciproca tra quelli che rischiano di presentarsi come due poli opposti. Lo sforzo di capirsi a vicenda non significa accondiscendenza dell’uno alla posizione dell’altro, ma piuttosto un paziente, costruttivo, franco e, al tempo stesso, rispettoso dialogo. Esso è tanto più importante sulle questioni che sono all’origine dei conflitti correnti e su quelle che rischiano di provocare un ulteriore aumento della tensione. In tale senso, la questione della pace e della ricerca di soluzione alle varie crisi in corso dovrebbe essere posta al di sopra di qualsiasi interesse nazionale o comunque parziale. Qui non ci possono essere né vincitori né vinti”.
Il Segretario di Stato ha anche ricordato come “non sia di per sé scongiurata la possibilità di una catastrofe”, alludendo a una guerra, e ha concluso: “Sono convinto che faccia parte della missione della Santa Sede insistere su questo aspetto”.
Siamo all’opposto della sciagurata dichiarazione di Bergoglio. Con il quale la Segreteria di Stato del card. Parolin è intervenuta pure per evitargli l’ennesimo infortunio: la nomina cardinalizia di Enzo Bianchi che piace a Bergoglio perché rappresenta il concentrato del cattoprogressismo più estremo.
IL PICCOLO CHARLIE
La Segreteria di Stato – a quanto pare – è riuscita a stoppare la cosa perché Bianchi non è nemmeno sacerdote: è un laico (e magari un domani a Bergoglio poteva venir voglia di fare cardinale pure Scalfari).
Probabilmente c’è la mano di Parolin anche nell’ultima fase del “caso Charlie”, per salvare la reputazione alla Santa Sede, pesantemente compromessa dall’ostinato silenzio di Bergoglio in proposito.
Se è grazie al diluvio di telefonate di protesta arrivate in Vaticano che Bergoglio, attorno al 1° luglio, si è arreso e ha fatto fare un timido e indiretto messaggio (quando già le sorti del bambino erano decise), è stato poi Parolin, il 4 luglio, a dichiarare che “faremo il possibile”, ad attivare l’ospedale Bambin Gesù e ad affermare che “siamo per la vita” e “offriamo tutte le possibilità affinché siano continuate tutte le cure per questo bambino”.
DISASTRI IN CURIA
D’altra parte la Segreteria di Stato è anche tornata a riprendere in mano quei settori di Curia che Bergoglio le aveva sottratto, quando si è inventato il vertice dei nove cardinali e la struttura per i fatti economici di Pell.
Si dice infine che la stessa Segreteria di Stato stia anche frenando i progetti “rivoluzionari” della corte bergogliana sulla liturgia (la manomissione della Messa è un terreno minato su cui rischia di scoppiare lo scisma).
L’attivismo di Parolin miete sempre più consensi fra i tanti che sono sconcertati dall’opera di demolizione di Bergoglio. Ma per quanto ancora può continuare questa situazione?
Antonio Socci
Da “Libero”, 6 agosto 2017
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