Nella conferenza stampa dello scorso agosto in cui Draghi presentò agli italiani il green-pass, il banchiere prestato alla politica fu categorico: se prendi il Covid finisci in ospedale e muori. In una battuta venivano liquidate le evidenze scientifiche, i dati statistici, gli studi epidemiologici. Se prendi il Covid – ci dicono tutti questi – nel 97% dei casi guarisci.
Addirittura, secondo il professor Guido Rasi, ex Direttore dell’Agenzia Europea del farmaco, nell’80% dei casi il Covid guarirebbe senza necessità di alcun intervento terapeutico. Il 3% dei casi letali, potrebbe addirittura essere di gran lunga inferiore, e a sostenerlo non è qualche irriducibile negazionista, ma un rapporto dell’Istituto superiore di Sanità sulla mortalità per Covid appena pubblicato. Un aggiornamento che peraltro non veniva fatto da luglio.
Secondo il campione statistico di cartelle cliniche raccolte dall’istituto, solo il 2,9% dei decessi registrati dalla fine del mese di febbraio 2020 sarebbe dovuto al Covid 19. Quindi dei 130.468 decessi registrati dalle statistiche ufficiali al momento della preparazione del nuovo rapporto solo 3.783 sarebbero dovuti al virus in sé.
Agli inizi dell’epidemia, ci fu chi puntualizzò che era ben diverso morire di Covid e morire con Covid. Le voci di questi epidemiologi furono presto soffocate dalla narrazione ufficiale che non poneva alcun distinguo. Le precisazioni, che venivano dall’interno dello stesso ISS, vennero ignorate dal Ministro Speranza e dal Comitato Tecnico Scientifico.
Ora, tuttavia, il rapporto ufficiale dell’ISS non fa che confermare con dati alla mano il fatto che il Covid è una malattia pericolosa unicamente per la popolazione anziana, e per le persone con gravi patologie concomitanti, chiamate comorbilità.
Secondo i dati dell’ISS, il 67,7% delle persone decedute con Covid avrebbe presentato almeno altre tre patologie gravi, dalle malattie metaboliche ai tumori alle malattie cardiovascolari. Persone già defedate, indebolite, fragili.
Una situazione, peraltro tutt’altro che rara in un periodo particolare della vita, cioè la vecchiaia. Non è un caso che i tassi di mortalità e letalità più alti si siano registrati in Italia nelle regioni con il maggior numero di anziani. Quella del Covid, aveva affermato qualcuno, è una epidemia geriatrica.
Secondo l’Iss il 65,8% degli italiani deceduti con una classificazione di Covid soffriva di ipertensione arteriosa, il 24,8% di fibrillazione atriale, il 28% aveva una cardiopatia ischemica, il 29,3% di diabete, il 23,5% soffriva di demenza senile, il 17,4% di pneumopatie croniche, il 16,3% aveva avuto un cancro negli ultimi 5 anni; il 15,7% soffriva di scompenso cardiaco, il 12% era obeso, l’11% aveva avuto un ictus pregresso, e poi ancora malattie epatiche, renali e malattie auto-immuni. In gran parte – come si può facilmente comprendere, malattie dell’età senile. Queste erano le persone che avrebbero potuto e dovuto essere messe in sicurezza.
Le persone uccise direttamente dal virus sono state invece poco più di 3.000. Una cifra che non giustifica il pandemonio scatenato tra lockdown e green pass. Le 126.000 persone morte nel corso degli ultimi 18 mesi sono morte perché il Covid ha destabilizzato equilibri di salute fragili, forse troppo fragili.
Non dimentichiamo che l’Italia ha avuto il 13% dei morti in tutta Europa e una mortalità tra le più alte tra i paesi europei. Occorre notare che in Italia l’aspettativa di vita alla nascita è 85,3 anni per le donne e 81,0 per gli uomini.
Ora, l’età mediana dei morti per covid-19 è stata per le donne di 85 anni, e per gli uomini 80. Ciò significa che il covid-19 uccide prevalentemente soggetti vicini al limite della loro aspettativa di vita. Si tratta comunque di una grave perdita, ma nel caso di queste persone il Covid ha agito come poteva agire qualunque altra infezione virale o batterica, dando una sorta di “colpo di grazia” a queste persone fragili.
Inoltre, la mortalità e la letalità avrebbero potuto essere ulteriormente ridotte se questi pazienti non si fossero trovati in reparti ospedalieri sovraffollati, e dove molti hanno contratto quelle infezioni nosocomiali che spesso sono state le vere cause del loro aggravamento e della loro fine.
Collegare le comorbilità e l’età dei deceduti all’aspettativa di vita ci dà quindi un quadro realistico dell’epidemia. Così come i numeri della mortalità ci svelano uno scenario molto diverso da quello raccontato dalla narrazione ufficiale: l’Italia, alla vigilia dell’arrivo del Covid, era un Paese dove la mortalità stava aumentando costantemente: negli ultimi dieci anni il tasso di decessi per 1000 è cresciuto del 10% ogni anno. La media della mortalità negli ultimi 5 anni è stata di 1743 persone al giorno, che naturalmente non facevano notizia.
Ora questi morti, queste persone fragili, che hanno avuto la sventura di imbattersi nel Covid, sono diventati utili per drammatizzare una epidemia e per terrorizzare un intero Paese, facendo credere che tutti siamo a rischio di morire, contro ogni evidenza scientifica, e per giustificare misure coercitive che nulla hanno a che vedere con la tutela autentica della salute.