«Ho visto questa luce terrificante e ho ancora male agli occhi. L’onda d’urto ha disintegrato i vetri nelle case dei dintorni. Ho spento le luci, ho fatto stendere i bambini sul divano… mio Dio, abbiamo creduto che fosse scoppiata una guerra!». Così un abitante di Chelyabinsk, negli Urali russi, racconta il panico della popolazione che il 15 febbraio è stata colpita improvvisamente da una pioggia di frammenti di meteoriti.
Il bilancio, secondo il ministero dell’Interno russo, è di circa 1200 feriti, tra cui 200 bambini. Gran parte dei feriti sono stati colpiti da vetri delle finestre infranti dall’impatto. I frammenti dei meteoriti hanno danneggiato più di 3.000 edifici, tra i quali 41 centri medici e 361 edifici scolastici. Le esplosioni hanno rotto qualcosa come 100mila metri quadrati di vetri.
Sulle sponde del lago di Tchebarkul si è inoltre aperto un cratere di circa 8 metri. Il ministero degli Interni russo ha precisato: «All’inizio, una palla incandescente è apparsa nel cielo spostandosi a grande velocità e aumentando di volume. Dopo, si è sentita una potente esplosione e circa sette frammenti si sono sparpagliati. Uno tra questi è caduto nel lago, vicino alla sponda opposta alla città, sollevando una colonna di ghiaccio, acqua e vapore».
A Tchebarkul sono stati individuati altri tre grossi frammenti di meteorite: «Si tratta probabilmente di un meteorite ferroso, composto principalmente di ferro e di nickel». Per quanto raro, l’evento di meteoriti che raggiungono il suolo non è unico.
Basterebbe ricordare ad esempio una delle teorie sull’estinzione dei dinosauri o sulla “calata dal cielo” della “Pietra Nera” dell’islam venerata alla Mecca. Sul territorio della Federazione Russa, negli ultimi 250 anni sono stati trovati 125 meteoriti, ed è possibile vedere i più interessanti nella mostra “Pioggia di meteoriti” nel museo geologico degli Urali, però questa è sicuramente la prima volta che l’evento è stato ripreso da centinaia di telecamere.
Per un elenco degli eventi dei secoli scorsi si può ricorrere agli scritti di Charles Hoy Fort (1874 –1932): tra i casi “recenti” più noti ci sono quello del 30 giugno 1908 a Tunguska [1] e del 6 febbraio 1913 sul Nord America orientale [2] (quasi esattamente ad un secolo di distanza da quanto sta accadendo in questi giorni). Alle 7,14 del 30 giugno 1908 una devastante esplosione nelle vicinanze del fiume Podkamennaja Tunguska, abbattè 60 milioni di alberi in un’area di 2150 chilometri quadrati.
Il rumore dell’esplosione fu udito a mille chilometri di distanza. Alcuni testimoni che si trovavano a 500 chilometri dal punto di impatto, riferirono di aver visto sollevarsi una nube di fumo all’orizzonte. Alcuni convogli della Ferrovia Transiberiana, a 600 chilometri dal punto di impatto rischiarono quasi di deragliare. Ma a Tunguska non è rimasta nessuna traccia di un cratere di impatto o di altri elementi chiaramente riconducibile a un corpo di origine extraterrestre.
L’esplosione, con una potenza che è stata paragonata a mille atomiche di Hiroshima, infatti si sarebbe verificata nell’atmosfera, 5-10 chilometri al di sopra della regione di Tunguska, forse un asteroide o una cometa di circa 50-80 metri di diametro. Negli Stati Uniti invece, appena 5 anni dopo Tunguska, si verificò uno tra gli eventi astronomici più spettacolari mai registrati nel secolo scorso.
Grossi frammenti di meteore in entrata nella nostra atmosfera illuminarono le città dell’epoca, facendo notizia da Toronto a New York, e nei giorni successivi con testimonianze dal Canada occidentale e persino dalle Bermuda. Una “processione” di meteore si verifica quando un meteoroide si disgrega a contatto con la nostra atmosfera, creando frammenti più piccoli che viaggiano lungo percorsi quasi identici.
Invece di precipitare verso il basso e bruciare in pochi secondi, come spesso viene osservato durante gli sciami di meteore comuni, le palle di fuoco viaggiano quasi orizzontalmente alla superficie terrestre, in modo praticamente parallelo. Ogni frammento può rendersi visibile anche per un minuto, e tutto l’evento può richiedere diversi minuti.
Oltre a quell’evento, furono osservate centinaia di meteore fino al Saskatchewan per tutta la notte e in una porzione di cielo di quasi 4000 chilometri. Ma negli anni successivi fu possibile stabilire che il fenomeno fu visto anche dal Regno Unito e dalla Germania. Alla fine l’evento risulterà visibile da circa un quarto del globo, un evento senza pari.
Il destino dei frammenti resterà probabilmente sconosciuto, anche se è probabile che finirono per inabissarsi nel bel mezzo dell’Atlantico meridionale, al di fuori delle rotte di navigazione. L’ultimo caso di un ferito da un oggetto celeste è stato registrato negli Usa il 30 novembre 1954, quando nell’Alabama, USA, “un oggetto spaziale” di quasi quattro chili colpì il tetto di una casa ferendo al braccio e l’anca della signora Ann Elizabeth Hodges.
Nel 1993 sembrò che in Istria due persone fossero state uccise da un meteorite che interessò anche l’Italia, nel dicembre 1984 furono “bombardati” la zona di San Remo e Cuneese, il 25 settembre 1996 fu colpita Fermo e prima Torino il 18 maggio 1988 e Noventa Vicentina il 12 maggio 1971.
Tali eventi inevitabilmente inducono a ricordare la più famosa distruzione biblica: “Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo” (Genesi 19,23-25), l’idea della pioggia di fuoco che tormenta i condannati per sodomia e ripresa da Dante Alighieri nell’Inferno, canti XV e XVI.
Forse il ricordo biblico aiuta i mass media a far leggere nei meteoriti russi delle profezie di catastrofi, ma in realtà in ogni epoca gli uomini sembrano confrontarsi con l’apocalisse globale:
“Spesso scoppiano guerre, pesti e carestie infuriano […] Devi sapere che è invecchiato questo mondo. […] D’inverno non c’è più abbondanza di piogge per le sementi, d’estate non più il solito calore per maturarle, né la primavera è lieta del suo clima, né è fecondo di prodotti l’autunno. Diminuita, nelle miniere esauste, la produzione di argento e oro, e diminuita l’estrazione dei marmi […]. Viene a mancare l’agricoltore nei campi, sui mari il marinaio, nelle caserme il soldato, nel foro l’onestà, nel tribunale la giustizia […]. Pensi veramente che un mondo così vecchio possa ritrovare l’energia ancor fresca e nuova della sua giovinezza? Quanto alla frequenza maggiore delle guerre, all’aggravarsi delle preoccupazioni per carestie e sterilità, all’infierire di malattie che rovinano la salute, alla devastazione che la peste opera in mezzo agli uomini, anche ciò, sappilo, fu predetto: che negli ultimi tempi i mali si moltiplicano, e le avversità assumono vari aspetti, e per l’avvicinarsi al dì del giudizio, la condanna di Dio sdegnato si muove a rovina degli uomini”.
Sembra scritto oggi, invece è uno scritto del III secolo d.C., precisamente del “Ad Demetrianum”, un’opera di carattere apologetico scritta tra il 251 e il 253 da Tascio Cecilio Cipriano o san Cipriano (210 – 258), vescovo e Padre della Chiesa. Demetriano, il destinatario dell’opera era un pagano, duro nemico dei cristiani, da lui accusati di essere responsabili delle guerre, delle pestilenze, delle carestie e di ogni sorta di avversità.
Dopotutto l’apocalisse globale non preoccupa più di tanto l’uomo contemporaneo, è assuefatto a conviverci da decenni, ad esempio con l’equilibrio nucleare, le pandemie, le catastrofi naturali, etc. Lo rassicura il fatto che sia “uguale per tutti” ed avvenga in pochi istanti, senza sofferenza.
E’ un argomento di discussione al bar e alla televisione, tutti possono parlarne sapendo che dopotutto il rischio è quasi zero, specie per quelle su cui si producono film. L’uomo post moderno è invece terrorizzato dall’apocalisse personale. Non ne vuole sentire parlare, fugge per non ascoltare, è angosciato dal sapere che prima o poi inevitabilmente sarà raggiunto.
La “società dell’oblio” non vuole giornate dedicate ai defunti che ricordino che prima dell’apocalisse globale si dovrà sicuramente fare i conti con quella personale; seppur tecnologicamente avanzata non sa far altro che “toccare ferro” quando è costretta a sentir parlare di malattia, sofferenza e morte che sa non esser “uguali per tutti” e che non è detto avverranno in pochi istanti.
Abituati a correre senza riflettere sul senso di ciò che facciamo, stritolati e trascinati dalle mille urgenze quotidiane senza necessità di dover riflettere sul senso delle cose, tutti sappiamo che ci sarà un momento in cui si dovrà fare i conti con il modo in cui si è passata la nostra unica vita. Gli eventi catastrofici potrebbero, con l’occasione di una riflessione sull’improvvisa morte, essere l’occasione per interrogarsi sul senso della nostra fragile vita trascorsa senza vegliare.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana