Fra Michal Tomaszek e fra Zbigniew Strzalkowski. Chi sono costoro? Cerco in internet i loro nomi: trovo subito il sito www.progettoperu.org, che racconta l’attività dei frati minori conventuali nella missione peruviana di Pariacoto. La pagina che ho aperto è titolata «I primi frati». E ci sono loro, giovani e sorridenti, col saio grigio: Zbigniew, Michal, con in mezzo Jarek, della Provincia religiosa di Cracovia. Sotto viene spiegato che furono i fondatori del primo convento dell’Ordine in Perù, nel 1989. Tutto qui? Non proprio.
La sera del 9 agosto 1991 un commando di venti guerriglieri, facenti parte dell’organizzazione rivoluzionaria Sendero Luminoso, entrò nel villaggio, fece irruzione nel convento e sequestrò con le armi fra Michal e fra Zbigniew.
Di lì a poco, dopo un processo sommario, i due missionari vennero uccisi nella campagna poco distante, e precisamente nel luogo che loro stessi avevano chiamato «San Damiano», dove spesso si ritiravano in preghiera. I testimoni racconteranno i capi d’accusa addotti dai terroristi per giustificare la carneficina: «Con l’attività caritativa e solidale addormentano la coscienza rivoluzionaria del popolo; con la recita del rosario, il culto dei Santi, la Messa e la lettura della Bibbia, frenano la rivoluzione; predicano la pace, e così addormentano la gente. La religione è l’oppio del popolo».
Unico superstite di quella primogenia fraternità è il superiore, fra Jarek Wysoczanski, nei giorni dell’eccidio assente perché rientrato in Polonia per celebrare il matrimonio della sorella. Oggi, dopo dieci anni in Perù e cinque in Uganda, svolge il suo servizio come segretario generale per l’animazione missionaria dell’Ordine.
Msa. Sono passati vent’anni dall’eccidio. Cosa significa per lei questo anniversario?
Fra Jarek. Significa soprattutto la possibilità di ringraziare Dio per i fratelli con i quali ho vissuto, che si sono donati totalmente per il Vangelo. A me invece è toccata in sorte una missione differente: rimanere per dare testimonianza del loro martirio. Spesso mi sono chiesto: perché Dio mi ha risparmiato la vita? Che cosa si aspetta da me? Quale strada devo percorrere? Queste domande mi turbavano con diversa intensità, a seconda di ciò che stavo vivendo.
L’anniversario m’invita a ringraziare anche le suore ancelle del Sacro Cuore che operano a Pariacoto: nel 1989, non appena noi tre siamo giunti dalla Polonia, ci hanno accolto e accompagnato nel processo di inculturazione e di evangelizzazione. L’ultimo ringraziamento è per il popolo peruviano, che ha sofferto con noi la persecuzione da parte di Sendero Luminoso. Zbigniew e Michal non hanno scritto nessun testamento formale: ciò che oggi resta di loro è l’aver donato la vita, l’essere rimasti fedeli fino alla morte a ciò in cui credevano. Come superiore e come confratello, voglio ringraziare Dio per i miei due fratelli e per i tanti costruttori del Regno di Dio.
Che cosa ha provato, alla notizia dell’uccisione?
Ci sono due parole che descrivono il mio stato d’animo in quel momento. La prima è «silenzio», dopo la preghiera; la seconda è invece una domanda, nel pianto: «Perché?». In quei giorni ero tornato in Polonia, in concomitanza con la visita di Giovanni Paolo II in occasione della Gmg di Czestochowa 1991. L’uccisione dei miei confratelli avvenne venerdì 9 agosto: martedì 13 il Papa si trovava a Cracovia, nella città dove abbiamo studiato filosofia e teologia, per la beatificazione della terziaria francescana Angela Salawa.
Conclusa la cerimonia, il Santo Padre ha visitato la nostra Basilica di San Francesco e la tomba della beata Angela. Proprio in quella circostanza, il Papa ha voluto incontrarmi, in qualità di superiore del Perù: aveva già saputo la notizia. Ricordo la sua sofferenza. Esiste una foto di quel colloquio, in cui si vedono i suoi occhi aperti e grandi mentre mi ascoltava raccontare gli ultimi istanti di vita dei miei fratelli. La loro uccisione era anche un attacco alla Chiesa cattolica e a Giovanni Paolo II, come ribadito dagli stessi terroristi in un articolo di rivendicazione pubblicato in quei giorni a Bruxelles.
Che cosa le ha detto il Papa?
Mi ha subito formulato le condoglianze e fatto varie domande su come e dove era successo il fatto. Io avevo ricevuto la notizia dalla tv, quindi avevo chiamato il vescovo di Chimbote, monsignor Luis Bambaren, per conoscere i dettagli dell’accaduto. Il Papa, al termine del mio racconto, mi ha dato la benedizione unita a quella parola che diceva spesso: «Coraggio».
E poi ha aggiunto: «Sono i nuovi santi martiri del Perù». Giovanni Paolo II conosceva bene la situazione del Paese andino e la problematica di Sendero Luminoso. Quando si recò ad Ayacutcho, la città dove sono nati questi movimenti terroristici, gridò: «Mai un male può generare un bene», e invitò tutti ad abbandonare le armi e la violenza.
Vi aspettavate di poter perdere la vita? No, non avevamo mai ricevuto minacce. Certo sapevamo della presenza di diversi gruppi terroristici nella regione. Nella nostra missione eravamo impegnati nell’evangelizzazione e nello sviluppo di programmi sociali, ma non avevamo mai toccato problematiche legate alla politica. Il nostro lavoro a Pariacoto consisteva nel servire i poveri ed evangelizzare. A noi sembrava di non fare niente per provocare. La nostra volontà era solo quella di stare accanto ai più poveri.
Del resto, le testimonianze del «processo» subito dai due martiri rivelano che sono stati proprio questi i «capi d’accusa»: la predicazione della pace, la carità, la diffusione del Vangelo.
Quale insegnamento possiamo ricevere dalla loro testimonianza?
La morte dei miei fratelli mi provoca delle domande: qual è il fondamento sul quale noi edifichiamo l’esistenza? Per che cosa, per chi siamo disposti a donare la vita o, addirittura, a perderla? Oggi, quando parlo ai miei fratelli delle missioni, chiedo se siamo disposti a dare la vita per Gesù, per la gente povera, per le cause giuste. Se siamo disposti a essere creativi, autentici, generosi, a restare in un luogo anche quando si incontrano degli ostacoli. Credo sia questo il primo insegnamento del martirio: ci fa riflettere su che cosa sia davvero importante.
C’è un altro aspetto: il martirio è un fatto, non un discorso. È la conseguenza della fedeltà nella fede. Zbigniew e Michal potevano scappare, e invece sono rimasti, in silenzio. Vedo un parallelo tra i loro ultimi momenti e quelli di san Massimiliano Kolbe, del quale in agosto ricorrono i settant’anni dalla morte: tutti e tre hanno accettato, in silenzio, il martirio, trasformando il male in un gesto di umanizzazione e d’amore. Per noi che guardiamo da fuori, è un invito a svegliarci dal sonno e a seguire Gesù, per aiutarlo a costruire il Regno.
Che frutti ha prodotto il martirio in Perù?
Io penso che il primo frutto sia la pace. Certo, dopo la morte dei miei confratelli per circa un anno la situazione è stata difficile: ci sono stati numerosi omicidi e tanta sofferenza tra la popolazione. La svolta è stata la cattura di Abimael Guzmán Reynoso, il capo dei terroristi di Sendero Luminoso, colui che aveva ordinato l’eccidio di Pariacoto.
In un colloquio avuto in carcere col vescovo Bambaren, Guzmán ha affermato che la morte dei fratelli di Pariacoto è stata per lui come un muro che non ha potuto attraversare o eludere. Si domandava: qual è il loro segreto, dove hanno trovato la forza di fronte al pericolo? L’unica risposta che il terrorista ha saputo darsi – ha confidato al vescovo – è stata chiamare questo muro «Vangelo». Altri frutti sono le vocazioni di fratelli peruviani, che chiedono di entrare nell’Ordine.
Come ricorderete l’anniversario?
È previsto un convegno a Lima, il 4 e 5 agosto, dove faremo una riflessione sul martirio anche nel contesto politico ed ecclesiale di quel tempo. Il convegno sarà chiuso da un musical realizzato dai giovani di Lima in uno dei principali teatri della città. A Pariacoto, invece, ci sarà la tradizionale Via Crucis l’8 di agosto, poi la veglia nella notte e la solenne celebrazione eucaristica sulla tomba dei martiri la mattina del 9. Inoltre porterò la mia testimonianza in Basilica a Padova il 23 ottobre, nell’ambito della Festa della missione.
A che punto è il processo di beatificazione?
Fra Michal e fra Zbigniew sono già stati riconosciuti «Servi di Dio». Inoltre è terminato il periodo di ascolto dei testimoni. Ora il passo seguente sarà presentare al Santo Padre la Positio, ovvero il dossier di tutto il materiale raccolto.
Alberto Friso
Fonte: Il Messaggero di S. Antonio