Negli ultimi mesi è stato un susseguirsi di notizie del genere: “il presepe va abolito”; “i canti di Natale vietati”; “il vescovo non è gradito a scuola”; “trovato impiccato un Bambinello”; “decapitata la statua di San Giuseppe”. La colpa di questi atti non ci pare imputabile esclusivamente a certa ideologia anticristiana, risentita e astiosa. Molti uomini per un presepe, per un canto di Natale, per i simboli della fede, non provano ostilità ma “nulla”.
Non si riconoscono nei simboli cristiani, perché non ne comprendono più il “senso”. Un Paese che smarrisce l’identità cristiana, cosa perde?
Proviamo a rispondere raccontando una storia, anzi, «una verità dimenticata dalla storia». Presentato al Festival di Cannes nel 2005 e nel 2006 candidato al Premio Oscar e al Golden Globe come miglior film straniero, Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia è un film francese del 2005; scritto e diretto da Christian Carion è ispirato a un episodio realmente accaduto nel 1914 durante la Prima Guerra Mondiale.
Sul fronte nord-occidentale, nelle Fiandre, a sud di Ypres, in Belgio, si combatte la dura guerra di trincea. Da una parte, ci sono i soldati francesi e scozzesi; dall’altra parte, gli uomini che occupano la trincea tedesca.
Due famose stelle dell’Opera di Berlino – il tenore tedesco Nikolaus Sprink e la fidanzata danese, il soprano Anna Sørensen, – con l’autorizzazione del principe ereditario Guglielmo di Prussia, arrivano sulla prima linea tedesca con l’intenzione di cantare per le truppe.
È la vigilia di Natale. Non appena Sprink intona Stille Nacht, il nemico scozzese risponde accompagnando la canzone con la cornamusa; Sprink, a sua volta, risponde alle truppe scozzesi uscendo dalla trincea e cantando Adeste fideles.
Le canzoni rilanciate da una trincea all’altra sono accompagnate dagli applausi, mentre il reggimento francese si aggiunge ai cori. Due canti di Natale bastano a compiere un prodigio.
I nemici saltano i rispettivi fossati per ritrovarsi nella “terra di nessuno” – lo spazio che divide gli schieramenti – e augurarsi “Joyeux Noël“, “Frohe Weihnachten” e “Merry Christmas“.
Ha così inizio la tregua più bella della storia. I soldati di schieramenti opposti si scambiano auguri e doni, capi di vestiario, cibo, tabacco, cioccolato, fotografie di mogli e figli, ricordi vari.
Il prodigio non finisce qui. Il prete scozzese, che per primo aveva intonato la cornamusa, celebra una breve Messa; quando il soprano Anna intona l’Ave Maria i soldati non riescono a trattenere le lacrime, perché ha toccato il loro cuore, quello stesso cuore che è uguale per tutti gli uomini.
Segue anche una funzione funebre per tutti i caduti in trincea, «perché seppellire i morti nel giorno in cui è nato Cristo ha un senso». Non si era mai verificata, e mai più si verificherà nella storia di una guerra, una simile pace dal “basso”.
Le canzoni di Natale, la Messa e il rito funebre – entrambi secondo il rito cattolico, erano riusciti a riempire di umanità la “terra di nessuno”; i soldati, con le tute da combattimento e le mani poggiate sulle baionette, si riscoprivano uomini “uniti” e “uguali”.
A questo serve festeggiare il Natale: ad uscire dal tempo profano della storia e del contingente e accedere alla dimensione originaria e fondante del sacro, per ricordare che l’uomo e la vita hanno nel divino una comune radice e il proprio significato. Al di là delle differenze il sacro costituisce l’archetipo, il modello di fronte al quale gli uomini si riconciliano con l’umanità – il senso comune dell’umano – per cui la guerra e l’odio, per esempio, non possono che essere disumani.
Alzando dall’altare il Gloria in excelsis Deo scende la pace in terra agli uomini di buona volontà, i quali, lasciati al “tempo profano”, in pace non sono mai.
Nel film, così un ufficiale descrive in un rapporto ciò che si era verificato in quella speciale notte di tregua:
24 dicembre 1914. Nessuna ostilità sul fronte. Stanotte questi uomini si sono avvicinati a quell’altare come fosse un fuoco in mezzo al cielo. Anche quelli che non sono credenti sono venuti a scaldarsi. Forse solo per stare insieme, forse solo per dimenticare la guerra. Forse. Ma la guerra non dimentica noi.
Che la guerra sia una macchina inarrestabile, e che la pace in terra agli uomini di buona volontà non sia poi così scontata, lo testimoniano le conseguenze che seguirono quella straordinaria tregua.
Gli Stati Maggiori di entrambe le parti sostituirono subito le truppe con altre unità, tentando di cancellare dalla memoria l’episodio perché contrario alla propaganda di guerra.
Un caporale tedesco, temendo che i soldati cominciassero a nutrire il dubbio che sull’altro fronte non si trovassero dei “nemici” ma esseri umani come loro, condannò l’accaduto e scrisse nel suo diario: «Dove è andato a finire l’onore dei tedeschi?». Quel caporale era un certo Adolf Hitler.
Padre Palmer – il prete che aveva celebrato la Messa – venne allontanato da un vescovo, che subito sottopose le reclute ad un’omelia in cui descriveva i tedeschi come il male, i «nemici del cristianesimo», e ordinava alle reclute di uccidere ognuno di loro come fossero crociati.
Molte delle fotografie, delle lettere e dei documenti che narrono la vicenda andarono distrutte; alcune rimasero sepolte per anni nei cassetti e nei solai delle famiglie. Altre furono pubblicate sui giornali dell’epoca.
Solo nel 1999, due giornalisti inglesi, Alan Cleaver e Lesley Park, dopo un meticoloso lavoro di ricerca, pubblicarono un libretto dal titolo Plum Puddings For All (Dolci di Natale per tutti), mai più ristampato in Inghilterra, che conteneva più di 80 lettere provenienti da oltre cento quotidiani del Regno Unito su quel Natale del 1914.
Mai più ristampato in Inghilterra, l’editore torinese Lindau ne ha curato una bella versione italiana dal titolo La tregua del 1914.
Tutte le lettere sono concordi nel raccontare la meraviglia di quella notte, divergendo solo su di un particolare: per alcuni, la partita di pallone che si svolse quella notte fu vinta dai tedeschi sugli inglesi per 3 a 2; per altri, fu vinta dagli inglesi.
Gli uomini sono sempre uomini. Di quella notte hanno parlato alcuni storici, tra cui Michael Jurgs (La piccola pace nella grande guerra, Il Saggiatore, 2005), e Paul McCartney nella canzone Pipes of Peace (1983), ma l’episodio è stato sempre sminuito, come il film di Carlon è stato fatto sparire subito dal grande schermo.
Erano tutti cristiani senza macchia, o solo credenti, i soldati della tregua di Natale? Sicuramente no. Ma hanno dimostrato una cosa fondamentale, insieme. Perdere l’identità cristiana vuol dire perdere ciò che ci umanizza, quelle radici comuni che uniscono popoli e Paesi sempre più divisi.
Ieri come oggi, avversari dell’unità cristiana sono i poteri che traggono profitto dalla disumanizzazione, che prosperano nel porre gli uomini gli uni contro gli altri come nemici.
Per credenti e non credenti, ascoltare un canto di Natale, visitare un Presepe, partecipare alla messa di Natale, significa uscire dalle proprie trincee di divisione e disumanizzazione, per ripopolare di umanità la “terra di nessuno” in cui vogliono confinarci le ideologie e il nichilismo.
Trailer: Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia
Fonte: La Porzione