Una leggenda nera. Nera come il veleno, nera come l’incesto, nera come l’inferno. Da cinque secoli, nonostante le ampie e documentate smentite, la vicenda umana di Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro VI, è incapsulata dentro questo cliché da becero fotoromanzo, da best seller alla Dan Brown, da gossip all’insegna di sesso, sangue e denaro, che ha estensori del calibro di Victor Hugo e Guicciardini, di poeti come Sannazaro e Pontano, di musicisti come Donizetti.
In realtà più che un’artefice di nefandezze fu una vittima, più che una lussuriosa e demoniaca avvelenatrice, fu negli ultimi anni di vita una moglie esemplare, terziaria francescana, dedita al mecenatismo e attenta alle esigenze dei poveri della città di Ferrara. I Borgia. La leggenda nera è appunto il titolo dell’ultimo saggio divulgativo dello storico e critico Mario Dal Bello (Città Nuova, pp. 148, euro 12), teso a fare da megafono alla verità, nel bene e nel male, anche grazie ai documenti emersi dall’Archivo Segreto Vaticano.
Insomma, “Tutta la verità sui Borgia”, che è anche il titolo della conferenza che si tiene questo pomeriggio a Roma a Sant’Ivo alla Sapienza, alla quale partecipano: Dal Bello, la medievista dell’Archivio Segreto Vaticano, Barbara Frale e il vaticanista di Panorama Ignazio Ingrao.
Allora, professor Dal Bello, come possono tante falsità fissarsi nell’immaginario collettivo? «Perché i primi a raccontare la vicenda dei Borgia furono essenzialmente i loro denigratori; perché a Lucrezia, colta (parla il latino) bionda e bella piaceva la vita mondana; perché a mettere in giro la peggiore delle maldicenze su di lei fu il suo primo marito, Giovanni Sforza».
Una vendetta? «Il padre di Lucrezia, Alessando VI, non avendo più convenienza dall’alleanza con gli Sforza, decide di utilizzare nuovamente la figlia per i suoi fini politici e gli interessi del suo braccio destro, il figlio Cesare, facendola sposare ad Alfonso d’Aragona. Mette alle strette Giovanni Sforza, lo costringe a firmare una dichiarazione (falsa) di impotenza e annulla il matrimonio, sostenendo che la figlia è ancora vergine. Giovanni, pur essendo stato aiutato da Lucrezia a fuggire dalle grinfie di Cesare che lo vuole morto, tornato nei suoi possedimenti racconta al mondo che il vero intento di Papa Alessandro è quello di tenersi Lucrezia tutta per lui».
Accusa di incesto alla quale però seguono a stretto giro due delitti veri: quello del giovane amante di Lucrezia e quello del secondo marito. «Entrambi vengono fatti uccidere da Cesare (che pare abbia anche fatto eliminare il proprio fratello e antagonista Giovanni). Il primo a cadere è il giovane amante di Lucrezia e padre del suo primo figlio. Si tratta di un servitore di nome Perotto, giovane come lei. La loro breve storia d’amore è coperta da una dama di lei, Pentasilea. Secondo il resoconto dell’ambasciatore di Venezia a Roma (la Serenissima non era amica di Papa Alessandro) quando Cesare scopre la tresca insegue Perotto per i corridoi del palazzo. Questi si rifugia nella stanza del Papa e gli si getta ai piedi. Il Papa fa il gesto di proteggerlo col suo mantello, ma Cesare lo trapassa comunque con la spada, insanguinando lo stesso Alessandro VI. Un pezzo di autentica fiction, in cui all’assassinio si aggiunge lo sfregio per la figura del Papa e lo si dipinge come succube di Cesare. Certamente Perotto non è stato ucciso così. Il suo corpo e quello di Pentasilea vengono trovati molto tempo dopo, freschi di assassinio, nelle acque del Tevere».
Dove viene trovato Giovanni, fratello di Cesare e figlio di Alessandro VI. «All’epoca il Tevere era una discarica di morti ammazzati. Roma era ostaggio delle rivalità delle grandi famiglie nobili che si contendevano il potere e il papato. All’annuncio della morte di Callisto III (1458), il primo papa Borgia (zio di Alessandro VI), vengono uccise più di 200 persone nel giro di poche ore, soprattutto dignitari e familiari del Papa, tale era l’odio per i Borgia, originari della Spagna, da parte della nobiltà romana. E un canonico al quale Callisto aveva rifiutato la porpora scrive un libello diffamatorio in cui si racconta che prima di morire il Papa aveva rifiutato i sacramenti tanto aveva in odio la fede. Una falsità».
Anche intorno alla morte di Alessandro si costruisce una fiction.«Una fiction che è attestata da Guicciardini, fonte essenziale, come Machiavelli (conoscente di Cesare), di tutta la storiografia successiva. Entrambi fiorentini e quindi non proprio benevoli con Alessandro VI, che nonostante tutto era stato un grande politico, oltre che ideatore della “Porta Santa” e riformatore degli ordini ecclesiastici. Alessandro muore ad agosto. Il corpo va subito in putrefazione. Per il popolo è la conferma della dissolutezza del Papa: “questo serpente”, annota lo storico, che aveva avvelenato tutti ed era stato avvelenato anch’egli. In realtà Alessandro VI è morto di malaria e il veleno come strumento politico era usato dai Borgia come da ogni altra grande famiglia dell’epoca».
Non però da Lucrezia. «Quando Lucrezia muore a 39 anni, il 22 giugno 1519, per le conseguenze della nascita dell’ottavo figlio, a piangere è l’intera Ferrara. Anche il terzo marito, Alfonso d’Este, che l’ha sposata per ragioni politiche, è distrutto. Lei ha fatto testamento, si è confessata e comunicata. Le sue ultime parole sono degne di una santa: “Sono di Dio per sempre”».
Roberto Zanini
Fonte: Avvenire