“All’origine delle Nazioni, dei popoli e delle culture, troviamo tracce dell’azione di uomini e donne che, con la loro umanità e santità, hanno presagito, creato, edificato e cambiato anche le strutture istituzionali. Uomini e donne incarnati nel loro contesto storico che, afferrati dall’amore incandescente di Dio, con la loro vita e i loro discepoli hanno contribuito a costruire il tessuto sociale, religioso e culturale del loro proprio popolo”.
“Mostrando agli uomini il Vangelo vissuto come un ideale realizzabile in ogni situazione e in ogni epoca, hanno dato vita a comunità che hanno espresso, in modo durevole, il loro ideale di vita e la loro inflessibile fede nella perennità di alcuni fondamentali valori che garantiscono la dignità della persona e del popolo”.
Ne è convinta Marina Motta, che nel libro “Carismatica Europa. Come i santi hanno rivoluzionato la storia dell’Occidente” (Città Nuova) raccoglie una serie di conversazioni e lezioni nelle quali ha tratteggiato alcune figure di santi e fondatori che hanno contribuito con la loro vita, dottrina e azione all’edificazione dell’Europa. Eccone alcuni…
SAN BENEDETTO (480-547)
Non è stato l’unico legislatore e fondatore del monachesimo occidentale, ma la sua Regola è quella che ha avuto più forza d’irradiazione. Definito da Gregorio Magno un “astro luminoso”, Benedetto fuggì dalla città per rispondere a un bisogno di coerenza: la scelta precisa e incondizionata di Dio, messo al primo posto nella sua vita al di sopra di tutti e di tutti, l’unum necessarium per il quale occorre rompere la resistenza delle strutture umane e sociali, oltre che la contraddizione immanente del proprio io.
Dopo tre anni di vita eremitica, in modo imprevisto, Benedetto attirò attorno a sé uomini che avvertivano con serietà la sua stessa esigenza religiosa. “La solitudine voluta per una unione stretta con Dio”, scrive la Motta, “diventò un punto di coagulo per un nuovo tipo di compagnia umana visibile, che cambierà radicalmente il volto dell’Europa, pur senza tracciare una frattura netta col passato”.
SANTI CIRILLO E METODIO
Punto d’incontro fra Oriente e Occidente, i due fratelli erano stati prescelti dal patriarca di Costantinopoli per l’evangelizzazione dei popoli slavi perché ne conoscevano la lingua.
Uomini profondamente religiosi e colti, entrarono nella cultura della gente, usando la loro lingua e non esitando a inventare una scrittura di cui gli slavi erano privi, il glagolitico, utilizzando segni dell’alfabeto latino, greco, copto, ebraico e altri di loro invenzione, alfabeto che ancora oggi viene utilizzato in Russia, Bulgaria e Serbia. Tradussero il Vangelo e la Liturgia in lingua slava per permettere alla popolazione di capire e vivere il messaggio cristiano.
SAN DOMENICO (1170-1221)
Imbattendosi nella povertà estrema della gente, forse durante la carestia del 1191, Domenico vendette tutti i suoi beni, sacrificando anche le pergamene che possedeva sostenendo che non poteva studiare su pelli morte mentre tante persone morivano di fame. Oltre ai beni, e a ciò che gli era necessario, donò quindi qualcosa di sé sacrificando in un certo modo la sua vita intellettuale dinanzi alle necessità urgenti del prossimo.
Nel 1203 il vescovo Diego lo invitò ad accompagnarlo in una missione diplomatica in Danimarca per conto di Alfonso VII di Castiglia. Durante il passaggio per la Francia del sud, constatò l’esistenza di un numero impressionante di cristiani smarriti, conquistati dalle eresie catara e valdese. Determinante fu l’incontro in una locanda di Tolosa con un oste cataro, che conversò con lui tutta la notte. Di fronte all’umiltà e alla sapienza di Domenico, l’oste si aprì alla verità iniziando il suo cammino di conversione. Domenico, dedito fino ad allora alla preghiera e allo studio, ebbe un’illuminazione e decise di rimanere lì, nel cuore dell’eresia dilagante, e consacrarsi alla praedicatio fidei et pacis.
Il suo messaggio conquistò alcune donne che, abbandonato il catarismo, andarono a costituire la prima comunità femminile domenicana; in seguito accanto a Domenico si raccolsero alcuni uomini, che formarono la prima comunità di frati.
FRANCESCO D’ASSISI (1181 o 1182-1226)
Di Francesco colpiscono la limpidezza e la purezza della sua esperienza, ma soprattutto il suo radicale amore per Cristo e la Chiesa. La sua vita fu una sintesi tra atteggiamenti diversi: l’eremitismo e la predicazione cittadina, il lavoro manuale e la questua, l’estasi della contemplazione e il desiderio della missione tra i non cristiani.
Nel volto di un lebbroso, trasfigurato dal male, Francesco contemplò Cristo stesso, che provò la stessa povertà, la stessa vulnerabilità e la stessa fragilità dell’uomo. Questa contemplazione di Dio operò in Francesco non solo la conversione, l’imitazione Cristo povero, ma anche un cambiamento di coscienza che segnò tutta un’epoca.
Gradualmente Francesco iniziò a vivere la “nudità” come possesso nuovo della vita. La sua persona e il suo stile di vita che sovvertiva la logica della società del tempo attirarono presto molti giovani, che condivisero la sua stessa scelta di vita per mettersi ai margini con gli ultimi. Rifiutandosi di appropriarsi di qualsiasi bene, decisi a vivere senza beni di loro proprietà, i frati inaugurarono un nuovo modo di vivere la città. Fraternità, minorità, povertà divennero col movimento francescano valori sociali.
ILDEGARDA DI BINGEN (1098-1179)
Decisivo fu anche il contributo che le donne medievali diedero alle radici cristiane dell’Europa, maturato nel terreno fertile della tradizione monastica del XII secolo. Un fulgido esempio è Ildegarda di Bingen, di un’attualità e di un fascino tale che la sua figura è valorizzata da chi oggi cerca una visione olistica dell’uomo, della natura e di Dio.
La sua natura di visionaria si manifestò molto presto. Incoraggiata dal suo direttore spirituale, padre Volmar, a 42 anni rese pubblico quanto Dio le ispirava e incominciò a scrivere il suo primo grande lavoro, lo Scivias (Conosci le vie), sottolineando l’origine divina della sua conoscenza.
La sua popolarità si diffuse rapidamente e arrivò a papa Eugenio III, che volle costituire una commissione per visitare e interrogare Ildegarda. Durante il sinodo di Treviri, nel 1148, egli stesso lesse davanti ai padri sinodali alcuni passi dello Scivias, non ancora completato, e incoraggiò Ildegarda a rendere noto ciò che lo Spirito le ispirava.
Per bisogno di uno spazio più grande e la volontà di liberarsi da ingerenze esterne, del clero e dei benefattori, Ildegarda fondò un suo monastero a Ruperstsberg, di fronte a Bingen, come le era stato indicato in una visione. Intensa fu la sua attività riformatrice: nonostante le continue malattie, percorse la regione del Reno per predicare e denunciare con i suoi sermoni la simonia, l’eresia catara, l’incapacità e la superficialità del clero nell’esercitare il proprio ministero.
Prima di morire dovette affrontare una dolorosa prova che le merita l’apostrofo di “novella Antigone”. Rifiutandosi di far disseppellire dal cimitero monastico il cadavere di uno scomunicato riconciliatosi con la Chiesa prima di morire, fu a sua volta scomunicata, e il suo monastero venne privato dell’Eucaristia e della possibilità del canto sacro. Ildegarda obbedì ma non risparmiò parole infuocate alle autorità di Magonza. Sei mesi prima di morire, accertata la verità, venne revocato l’interdetto.
CHIARA D’ASSISI (1193-1253)
Chiara è la prima donna nella storia della Chiesa ad aver composto una Regola scritta. Seguendo Francesco, aveva donato ai poveri tutta la sua dote ed era fuggita dalla casa nobiliare del padre, trascorrendo un periodo di qualche mese presso alcune comunità monastiche per proteggersi dalle ire dei parenti.
Dopo aver promesso obbedienza a Francesco, insieme alle prime suore, non potendo mendicare e predicare come i frati, si stabilì nella chiesa di S. Damiano, dove sembra che inizialmente prestasse servizio di accoglienza ai poveri.
Fedele all’intuizione originaria di Francesco, non si lasciò incanalare nel tradizionale ordinamento monastico che voleva le monache fornite di dotazione patrimoniale. Papa Gregorio IX, in visita a S. Damiano in occasione della canonizzazione di Francesco nel 1228, le offrì delle rendite perché le suore potessero dedicarsi con tranquillità alla contemplazione, ma ella le rifiutò, decisa a non venir meno alla promessa di seguire Cristo povero.
Il papato tentò di “normalizzare” la nuova fondazione, ma Chiara si oppose a tal punto che il papa le concesse il privilegium paupertatis, secondo il quale nessuno poteva costringerla ad accettare beni e averi. La Regola fu approvata da papa Innocenzo IV il 9 agosto 1253, due giorni prima che Chiara morisse.
SANTA BRIGIDA DI SVEZIA (1303-1373)
Definita la “mistica del Nord”, la “portavoce di Dio”, con le sue visioni, locuzioni, missive profetiche e la pratica del pellegrinaggio mostrò ai suoi contemporanei la ricchezza e l’universalità della tradizione cristiana nell’Europa antica, testimoniando con la vita e le opere la religiosità dei connazionali e la loro partecipazione alla vita della Chiesa universale.
Punto di riferimento per molte personalità del tempo, Brigida si rivolse a pontefici e principi svelando loro in termini profetici i disegni di Dio sugli avvenimenti storici, senza risparmiare ammonizioni severe anche in tema di riforma morale. Instancabile e appassionato fu l’impegno da lei profuso per la soluzione di molti conflitti.
SANTA CATERINA DA SIENA (1347-1380)
Sin da bambina si manifestò in lei una caparbietà nel vivere una forma di vita ascetica, comprensibile solo nell’ambito di un’esperienza di Dio mistica, ma non espresse mai la vocazione monastica.
Tra i 15 e i 16 anni entrò nel gruppo delle mantellate, un terz’ordine domenicano che si impegnava a seguire una certa forma di vita pur rimanendo nelle mura domestiche e di praticare l’assistenza ai malati e ai poveri.
A vent’anni (1367) ricevette l’anello delle mistiche nozze con Gesù, identificandosi con la Chiesa di Cristo.
Dotata di un particolare intuito storico, Caterina capì e affrontò profeticamente il problema centrale della Chiesa di allora: proprio in quanto strumento di salvezza per tutti gli uomini, il papato non doveva assolutamente smarrire il suo carattere universale-cattolico, carattere che rischiava di perdersi nel gioco di interessi politici.
Il papa era l’unica figura storica che, nella generale corruzione, era in grado di salvare l’universalità della Chiesa come corpo sociale e lei lo richiamò a questo. Nella visione di Caterina, erano tre le condizioni che dovevano realizzarsi: il ritorno del papa da Avignone a Roma come “luogo suo”, l’unificazione dei cristiani discordi e la “riformazione della Santa Chiesa” come supremo dovere del papa stesso.
Caterina ha concretizzato, anticipandolo, il ruolo del laico nella Chiesa. Chiedeva a ciascuno la santificazione, sottolineando che ciascuno può santificarsi nel proprio stato.
SANTA GIOVANNA D’ARCO (1412-1431)
Vissuta in un periodo di transizione caratterizzato da un quadro politico molto confuso, segnato dalle lacerazioni dello Scisma d’Occidente e dall’interminabile Guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra, si presentò al re come inviata da Dio, richiamandolo ai suoi irrinunciabili doveri di fronte a Lui e al popolo e convincendolo a riprendere le trattative per la pace.
Abbandonata in seguito dal sovrano, cadde prigioniera dei suoi nemici e subì un processo ecclesiastico che la condannò al rogo per eresia.
Paradossalmente, il processo che condannò per necessità politica la “pulzella d’Orléans” si ritorse contro gli accusatori, perché gli atti restituiscono i dati che documentano la piena ortodossia e santità di Giovanna.
Giovanna d’Arco ha esercitato un profondo influsso su una giovane santa dell’epoca contemporanea: Teresa di Gesù Bambino, la carmelitana di Lisieux.
SANTA TERESA D’AVILA (1515-1582)
Figlia della Chiesa tridentina e della Controriforma, volle fondare non solo una comunità di persone che pregassero con tutta la loro vita, ma che la vita stessa fosse una preghiera. Per lei, la preghiera non era solo domanda, ma instaurare un rapporto di amicizia con Chi ci ha amati per primo.
Prima donna riconosciuta come Dottore della Chiesa, ha influito su molti uomini e donne, come Edith Stein, e il suo carisma, insieme ai movimenti nati al tempo della pre-riforma e durante la Riforma cattolica, ha contribuito, aprendo nuove strade, a rinnovare la Chiesa nel suo interno e la società stessa, con un’incarnazione del Vangelo che passava attraverso nuove forme concrete di carità rivolte soprattutto ai poveri e agli umili.
SANTA CATERINA DA GENOVA(1447-1510)
Grande mistica, è all’origine dell’Oratorio del Divino Amore. Appartenente a una famiglia aristocratica, in un’improvvisa crisi religiosa si convertì davanti a Cristo crocifisso. In un istante capì che Dio è Amore e che questo Amore si era manifestato pienamente in Cristo, soprattutto nella sua passione e morte.
Con il marito, convertito anche lui, lasciò la sua grande casa per ritirarsi in una molto più modesta vicino all’ospedale di Pammatone, nel quale svolse fino agli ultimi anni della sua esistenza la propria opera quotidiana, dirigendo l’impegno dei collaboratori verso un obiettivo preciso: vivere l’esperienza dell’amore di Dio andando dai più infelici e disprezzati. Il suo impegno coraggioso e totale nel curare gli appestati del 1493 stupì lo stesso Martin Lutero, in visita a Genova.
SANT’ANGELA MERICI (1474-1540)
Nel 1531 raccolse attorno a sé giovani consacrate che non vivevano nel chiostro, ma nella famiglia e nella società. Ciò costituì una grande novità, perché la vita religiosa si svolgeva al di fuori di una struttura nella quale la donna era stata incanalata nei secoli precedenti.
La Compagnia di S. Orsola (dal nome della vergine martire della Chiesa antica) accoglieva donne di modesta condizione sociale che osservavano i consigli evangelici, ma senza il legame dei voti, rimanendo nella propria famiglia e vivendo del proprio lavoro.
Angela si rivolgeva soprattutto alle donne che non si facevano religiose né si sposavano, che costituivano un numero consistente nella società ma praticamente sparivano perdendo funzionalità e riconoscimento umano; donne giovani ma prive di istruzione e difesa, per le quali era inevitabile la condizione servile che spesso si traduceva in corruzione forzata.
Intuendo che il monastero non corrispondeva alle esigenze del tempo, tempo che richiedeva invece una presenza consacrata nel mondo, innanzitutto nella propria casa, Angela creò la condizione delle vergini consacrate nel mondo, non come un ripiego alla vita matrimoniale, ma come adesione totale a Cristo. Fine primario delle orsoline fu quindi l’unione nuziale con Cristo.
SAN CAMILLO DE LELLIS (1550-1614)
Insieme a San Giovanni di Dio e a San Filippo Neri, può essere considerato uno dei “Santi dei poveri”. Ex soldato diventato infermiere e poi sacerdote, aveva una ferita che gli piagava il piede e la gamba. Cercando la sua strada incontrò San Filippo Neri, che gli suggerì che forse la sua vocazione era proprio l’ospedale, dove la sua ferita lo costringeva sempre a tornare.
Camillo si dedicò all’assistenza ai poveri, agli “incurabili”, con gesti umanissimi e rivoluzionari: accoglieva con un abbraccio i poveri ammalati alle porte dell’ospedale, mentre prima venivano ammassati nel degrado più assoluto, e li lavava personalmente, pulendo loro le ferite.
Un gruppo di persone colpite dalla sua dedizione si unì a lui andando a formare la Congregazione dei Ministri degli Infermi. I camilliani prestarono soccorso come infermieri anche durante le guerre, portando una croce rossa sui loro abiti religiosi. Molto tempo prima di Henry Dunant, resero nota la croce rossa quale simbolo dell’amore cristiano per il prossimo tradotto in pratica.
SAN VINCENZO DE’ PAOLI (1581-1660)
In un ambiente impregnato di misticismo, mise al centro della sua visione la realtà cruda dei poveri. Sentì profondamente la dimensione umana e divina del Verbo incarnato e scorse nei poveri il Cristo povero; la sua ecclesiologia ristabilì l’asse naturale: Cristo-Chiesa-poveri. La sua azione era finalizzata, attraverso l’evangelizzazione, a rendere autonomo il povero, a restituirgli la dignità e a dotarlo degli strumenti necessari per lavorare.
Vincenzo si dedicò all’opera di Dio attraverso tre grandi direttrici: l’evangelizzazione delle campagne, la formazione dei sacerdoti e il servizio ai poveri, inaugurando un nuovo modello di sacerdote: il “sacerdote per la missione”, che si rivolgeva soprattutto alle genti della campagna, ai poveri, con un linguaggio semplice, accessibile e adeguato alla loro realtà.
SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI (1696-1787)
Nato in una famiglia dell’antica aristocrazia napoletana, a diciassette anni non ancora compiuti ottenne il titolo di dottore in utroque iure, risultato all’epoca fuori dal comune. Uomo di successo, a 27 anni la perdita di una causa gli provocò una crisi tanto da indurlo a interrompere la carriera e a decidersi per il sacerdozio.
Si dedicò a un’intelligente ed energica azione pastorale che anticipò i tempi grazie alla formazione degli assistenti spirituali, alle lezioni di catechesi per il popolo incolto anche fuori dall’ambito ecclesiastico e alle azioni caritative verso i bisognosi. Il suo modo di predicare semplice, chiaro e naturale contrastava con le tendenze barocche del tempo, e il suo stile umano e concreto conquistò presto la gente.
A 36 anni, una malattia e il periodo di convalescenza vissuto a Scala, vicino Amalfi, segnarono la svolta della sua vita. Di fronte alla miseria dei pastori e dei contadini non raggiunti da alcuna assistenza spirituale, decise di fondare una comunità per chi era abbandonato da tutti. Nacque così la Congregazione dei Redentoristi.
Sosteneva il principio della vita cristiana come chiamata universale alla santità e precorse i tempi con la sua dottrina spirituale, basata sulla conformità alla volontà di Dio ed essenzialmente cristologica, intuendo che per restituire alla Chiesa la sua forza non bastava difenderla come istituzione, ma occorreva alimentarla alle sorgenti, ricostituendola come “corpo mistico di Cristo”.
SAN GIOVANNI BOSCO (1815-1888)
Don Bosco godette di particolari doni carismatici, primo fra tutti quello della profezia. Chiara e importante fu la portata sociale della sua opera, tanto da suscitare sin dagli inizi i sospetti nell’autorità civile.
Riaffermando il legame fra condizione giovanile e società ordinata e rassicurante, cercò di guadagnare l’opinione pubblica alla sua causa educativa e a quella dei giovani proponendo il suo nuovo sistema preventivo, per togliere i bambini dai pericoli e salvarli dalla corruzione dei costumi e dalla perdita della fede.
A chi gli domandava dove fosse il segreto di quel suo modo di stare con i ragazzi, che trasformava case grandissime in famiglie dove tutti si volevano bene, rispondeva che tutto consisteva in tre parole: ragione, religione, amorevolezza.
In un regime educativo fondato sull’autoritarismo, questo metodo era una vera rivoluzione. L’allegria doveva essere la molla naturale che aggancia il soprannaturale.
La genialità di don Bosco consiste nel far capire che non basta amare, bisogna far vedere che si ama, rendendolo percepibile con parole, atti ed espressioni, e questo esige un’ascesi profonda, un coinvolgimento totale e quotidiano.
CHARLES DE FOUCAULD (1858-1916)
Arruolatosi nell’esercito, nel 1882 si congedò per partire all’esplorazione del Marocco. Nel deserto, a contatto con i nomadi musulmani che vivevano costantemente alla presenza di Dio, riscoprì a ventotto anni la fede e, al tempo stesso, avvertì la propria vocazione.
A 32 anni maturò quindi la decisione di entrare nella Trappa di Nostra Signora delle Nevi, in Francia. Andò poi in Siria, alla ricerca di una vita più dura.
Scelse quindi di ricominciare dal Sahara, dove iniziò la sua presenza silenziosa di amore universale in mezzo alle popolazioni locali. Morì colpito da una fucilata durante una scaramuccia suscitata da ribelli dell’Hoggar. Alcuni anni prima, aveva scritto nel suo diario: “Vivi come se dovessi morire martire oggi”. Papa Benedetto XVI lo ha beatificato il 13 novembre 2005.
Oggi, di fronte alle sfide del terzo millennio, il messaggio di Charles de Foucauld è di una attualità straordinaria. Per il suo ideale di carità universale, voleva essere considerato fratello di tutti. In lui si avverte forte la tensione all’unità che si realizza mediante la carità, e la sua è una figura luminosa che può essere anche un valido contrappeso di fronte al pericolo di un imborghesimento e di una banalizzazione della Chiesa.
SANTA TERESA DI LISIEUX (1873-1897)
Nella sua esperienza si coglie una maturità, un’abnegazione e al contempo un abbandono che riporta alla profondità e alla radicalità dell’amore cristiano. Dopo anni vissuti di ricerca e di profonda solitudine, fu illuminata da una grande luce: la scoperta della via dell’infanzia. Il 9 giugno 1865, consapevole di essere piccola e povera, incapace di salvarsi da sola, Teresa si offrì all’Amore misericordioso e si abbassò in un atteggiamento di totale fiducia al Padre, lo stesso di Gesù.
Straordinaria fu la sua capacità di vivere tale atteggiamento all’interno di una comunità di persone, dove imparò la fraternità non sui trattati di teologia morale o di sociologia umana, ma condividendo la fede, la preghiera, il silenzio, l’affetto fraterno e la vicendevole sopportazione.
“Ho trovato il mio posto nella Chiesa, io sarò l’amore”, scrisse. Amore che dilaterà sulla terra attraverso l’offerta di sé, amando tutti gli uomini-fratelli come Dio li ama, accettando il buio, la prova della fede, facendo dell’oscurità la sua gioia.
Come Charles de Foucauld, ha vissuto “l’abbassamento di Cristo”, nella meditazione dell’umanità di Cristo e nella ricerca di una forma di vita che fosse cristianamente umana e solidale con tutti gli uomini.
EDITH STEIN, SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE (1891-1942)
Riconosciuta da Giovanni Paolo II compatrona dell’Europa insieme a Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Benedetto da Norcia e Cirillo e Metodio, Edith Stein ha partecipato profondamente e attivamente alle vicende storiche e culturali del suo tempo, impegnandosi in prima persona per la promozione della donna, confrontandosi con i più autorevoli filosofi suoi contemporanei e condividendo la tragedia del suo popolo d’origine.
Nata da genitori ebrei molto religiosi, nell’adolescenza si allontanò dalla pratica religiosa, insofferente del formalismo che respirava nell’ambiente ebraico della sua famiglia, e si dedicò agli studi e alla lotta per i diritti della donna.
L’esperienza come crocerossina nel 1915 sul campo di guerra la mise di fronte al mistero profondo del dolore che accomuna gli uomini di ogni nazionalità. In seguito la fede serena della giovane vedova di Adolf Reinach, che le aveva chiesto di aiutarla a classificare gli scritti filosofici del marito, caduto in guerra nel 1917, la condusse al suo primo incontro con la croce.
Edith si convertì e venne battezzata, entrando poi nel Carmelo. Nel 1942, consapevole di mettere a repentaglio la vita delle sue consorelle a causa delle sue origini ebraiche, iniziò ad accordarsi con un Carmelo svizzero per rifugiarvisi con la sorella Rosa, ma il permesso arrivò dopo il suo arresto, avvenuto il 2 agosto 1942, quando venne prelevata insieme alla sorella dal convento. Morì ad Auschwitz, forse venendo destinata alla camera a gas appena arrivata.
Marina Motta scrive che “apparentemente la sua esistenza (come quella di Massimiliano Kolbe, che offrì la sua vita in cambio di un suo compagno di prigionia, morendo nel bunker della fame, il 14 agosto del 1941) può essere ritenuta una sconfitta, ma proprio nel suo martirio risplende il fulgore dell’Amore Crocefisso”.
Elevando Edith a compatrona d’Europa, nel 1999, Giovanni Paolo II ha affermato che dichiararla tale “significa porre sull’orizzonte del vecchio Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza […] ma è necessario far leva […] sui valori autentici, che hanno il loro fondamento nella legge morale universale, inscritta nel cuore di ogni uomo.
Un’Europa che scambiasse il valore della tolleranza e del rispetto universale con l’indifferentismo etico e lo scetticismo sui valori irrinunciabili, si aprirebbe alle più rischiose avventure e vedrebbe prima o poi riapparire sotto nuove forme gli spettri più paurosi della sua storia”.