Un libro che sta per uscire in Gran Bretagna offre nuovi elementi per capire come, e portati da chi, Jorge Mario Bergoglio è diventato papa. Il libro è scritto da Catherine Pepinster, che è stata direttrice del giornale cattolico inglese The Tablet, e si intitola: “The Keys and the Kingdom” (Le chiavi e il regno). In esso si afferma che il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, ex arcivescovo di Westminster, scomparso nei giorni scorsi, organizzò a Roma, nei locali dell’Ambasciata britannica, almeno un incontro per convincere i cardinali votanti del Commonwealth a votare l’arcivescovo di Buenos Aires.
Escluse però volontariamente dall’invito sia il card. Marc Ouellet, canadese, prefetto della Congregazione per i vescovi, sia il card. George Pell, australiano. Probabilmente temeva che avrebbero sconsigliato la sua azione di lobbying.
Murphy O’Connor non era più, per questioni di età, ammesso a votare in Conclave; ma era a Roma per partecipare alle Congregazioni, le riunioni di cardinali che precedono il Conclave e che sono aperte anche agli ultraottantenni.
Secondo Catholic Culture, che riporta la notizia data dal Telegraph, si tratterebbe di una chiara violazione delle norme che proibiscono ogni forma di lobbying prima di un Conclave.
È la seconda volta che questo sospetto, o accusa, viene alla luce. La prima volta è stata qualche anno fa, quando Austin Ivereigh, già portavoce di Murphy O’Connor, grande fan del Pontefice regnante, nel suo libro “The Great Reformer” (Tempo di misericordia, in italiano) scrisse che i cardinali che nel 2005 avevano spinto Bergoglio a correre, per essere sconfitto da Ratzinger, “Avevano imparato la lezione del 2005 e stavolta erano ben organizzati.
Prima di tutto si assicurarono il consenso di Bergoglio. Quando gli domandarono se fosse disponibile rispose che riteneva che in un simile momento di crisi per la Chiesa nessun cardinale, ove glielo si fosse chiesto, potesse rifiutare.
Murphy O’Connor lo avvertì a bella posta di ‘stare attento’ che stavolta era il suo turno, e l’altro rispose in italiano: ‘Capisco’”.
Quello che ha scritto pone un problema; va contro le regole del Conclave, stabilite dalla Universi Dominici Gregis, al N. 81: “I Cardinali elettori si astengano, inoltre, da ogni forma di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere, che li possano costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà fosse fatto, sia pure sotto giuramento, decreto che tale impegno sia nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo; e fin d’ora commino la scomunica latae sententiae ai trasgressori di tale divieto. Non intendo, tuttavia, proibire che durante la Sede Vacante ci possano essere scambi di idee circa l’elezione”.
Per vedere come questo pasticcio fu risolto, sia pure in maniera non estremamente limpida, potete leggere qui e qui e anche qui .
Austen Ivereigh sembrava implicitamente confermare che il “Team Bergoglio” è esistito e ha lavorato.
Lasciando da parte per il momento il problema della violazione; comunque la rivelazione della Pepinster arricchisce quello che è il quadro.
E spiega un episodio accaduto nei primi mesi del Pontificato. Quando Gerhard Müller, allora prefetto della Congregazione per la Fede, fu chiamato urgentemente al telefono una mattina dal Pontefice.
Murphy O’Connor aveva avuto problemi con almeno un caso di abusi sessuali commessi da uno sacerdote quando era vescovo, prima di giungere a Londra. Una donna, parente di una delle vittime, aveva chiesto che la Congregazione per la Dottrina della Fede indagasse su come aveva esercitato la responsabilità di sorveglianza e prevenzione dovute come vescovo.
La Congregazione aveva aperto una pratica. Il Pontefice ingiunse a Müller di chiuderla rapidamente. Müller raccontò l’episodio; ne era rimasto molto colpito, anche perché la telefonata era arrivata mentre stava celebrando una messa per un gruppo di ospiti tedeschi, e il Pontefice aveva insistito per parlargli, a dispetto della situazione.
Il quadro dell’elezione di Bergoglio assume quindi sempre di più la forma di un qualche cosa preparato da molto tempo.
Vi ricordate il gruppo di Sankt Gallen, quello che Danneels chiamava la “mafia di Sankt Gallen”? Ne facevano parte Martini, Danneels, Murphy O’Connor, Silvestrini e altri ancora. Quando – prima del 2005 – ne faceva parte Martini, e durante una riunione si fece il nome di Bergoglio, il cardinale di Milano disse: non parliamo di nomi, parliamo di programma.
Nel 2005 fu eletto Ratzinger. Ma il gruppo, anche se non si riunì più nella cittadina svizzera, continuò a operare, tanto che dopo l’elezione di Bergoglio il cardinale Silvestrini poteva confidare ai suoi fedeli che il programma del pontificato era stato un prodotto di quel “think tank”. (E come vediamo si cerca di attuarlo: eucarestia ai divorziati risposati, contraccezione sotto studio, a dicembre i “viri probati”, diaconato femminile…).
Al gruppo di lobbying e pressione anglo-belga-tedesco si è unita poi l’America Latina, e soprattutto il card. Hummes. Lì nacque l’idea di “inventare” la possibile candidatura del card. Scherer, come schermo per il cavallo reale, Bergoglio. Che trovò poi il sorprendente appoggio del card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato (ahimé) di Benedetto XVI.
Gli amici di Bertone cercavano di rastrellare voti per l’arcivescovo di Buenos Aires, sostenendo che poi sarebbe stato facile da controllare. E, in effetti, gli uomini dell’ex segretario di Stato sono stati mantenuti o promossi.
Credibile quindi questa nuova rivelazione sul pre-Conclave. Che conferma la lunga marcia dell’arcivescovo di Buenos Aires verso il soglio di Pietro. Frutto, a quanto pare, più di una strategia di lungo corso che di una ventata improvvisa dello Spirito.
Fonte: Stilum Curiae