Almeno 50 emigranti sbarcati dalla nave Diciotti nella notte del 26 agosto risultano irreperibili. Alcuni si sono dileguati prima ancora del trasferimento a Rocca di Papa, il centro scelto per ospitarli in attesa di partire per la destinazione definitiva, secondo quanto previsto dall’accordo tra il governo italiano e la Conferenza episcopale italiana.
Gli altri se ne sono andati tra il 31 agosto e il 4 settembre. Dove, non si sa, perché, neanche. A questo punto non si sa neanche più chi siano realmente.
Nei giorni in cui il governo italiano negava loro di scendere dalla nave, ci è stato assicurato che erano quasi tutte persone con diritto di asilo: cosa del tutto insolita dato che di profughi in Italia ne arrivano in tutto poche migliaia all’anno.
Sul totale degli sbarchi la percentuale di chi ottiene lo status di rifugiato è inferiore al 5% e, anche contando chi ottiene protezione sussidiaria e permesso di soggiorno per motivi umanitari, si arriva a mala pena al 40%. L’anomalia – ci hanno detto – dipendeva dalla nazionalità delle persone a bordo: 130 eritrei, due siriani, sei bengalesi, un egiziano, un somalo e dieci comoriani.
“Sono persone che hanno una nazionalità che assicura una protezione internazionale quasi automatica in tutti i paesi europei” spiegava la delegata del garante per le persone private della libertà personale, Daniela de Robert, dopo essere salita a bordo: e assicurava che erano reduci da viaggi terrificanti durati anni e proprio non meritavano quell’ultima prova di vedersi negata accoglienza.
Tant’è che alla fine sono sbarcati, metà di quelli attesi nelle diocesi italiane sono spariti e non hanno chiesto asilo.
Il loro comportamento non coglie di sorpresa. Non sono certo i primi emigranti illegali che si eclissano senza lasciare traccia: chi per inserirsi in una organizzazione illegale o criminale, chi, sempre di meno, per proseguire il viaggio clandestino e raggiungere altri Stati.
A sorprendere sono le reazioni. Tra coloro che hanno sostenuto il diritto degli emigranti del Diciotti a essere accolti e hanno esultato per l’indagine avviata contro il ministro dell’interno Matteo Salvini, c’è chi tace.
Non così il direttore della Caritas, don Francesco Soddu, che ha voluto replicare a chi ha parlato di “fuga”. “Si fugge da uno stato di detenzione – ha detto – e non è questo il caso”. La struttura (un Cas, Centro di accoglienza straordinaria) non ha il compito di trattenere i suoi ospiti che possono scegliere di allontanarsi volontariamente”. Il loro quindi è un “allontanamento volontario”, legittimo.
Posto che lo sia, se ne sono andati senza salutare, senza ringraziare, senza dire perché e dove erano diretti.
Si sono allontanati di nascosto dopo essersi pretesi vittime, profughi in fuga, facendo apparire come carnefici chi non li lasciava sbarcare.
Ogni commento a questo proposito è superfluo, salvo dire che il danno maggiore lo patiscono tutti coloro la cui vita dipende dal sistema di protezione internazionale, dall’adesione incondizionata alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati che rischia di perdere consensi quando invece merita e deve poter contare su fiducia granitica nel suo funzionamento.
All’agenzia di stampa Ansa il direttore della Caritas inoltre ha detto che gli emigranti, là dove verranno trovati, in Italia o all’estero, “potranno chiedere asilo ricominciando quella procedura che era stata avviata nelle nostre strutture”.
Forse di loro non si saprà più nulla, come di tanti altri immigrati illegali, ma forse qualcuno verrà rintracciato oppure si farà vivo spontaneamente. Ma non potrà chiedere asilo, non invocando la Convenzione di Ginevra e le norme che regolano la protezione internazionale.
L’articolo 31 della Convenzione specifica che gli Stati che vi hanno aderito si impegnano a non prendere sanzioni penali a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali contro “i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso dell’articolo 1, per quanto si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolari”.
L’articolo 1 citato indica a chi può e deve essere applicabile il termine “rifugiato”.
Dell’articolo 31 va richiamata l’attenzione su due indicazioni. La prima è che condizione per chiedere asilo in uno Stato è che si arrivi direttamente da un paese in cui vita e libertà erano in pericolo ed è una condizione che il nostro governo non applica in maniera rigorosa, se no non concederebbe asilo o altro genere di protezione internazionale a persone che prima di arrivare in Italia hanno attraversato Stati anch’essi firmatari della Convenzione di Ginevra.
Ad esempio, un nigeriano perseguitato dovrebbe chiedere asilo in Niger o in Camerun e viceversa, poiché tutti e tre i paesi aderiscono alla Convenzione; un eritreo dovrebbe chiedere asilo in Etiopia e così via.
La seconda condizione è che la richiesta venga presentata senza indugio alle autorità. Gli emigranti che se ne sono andati, l’opportunità di chiedere asilo l’hanno avuta e l’hanno sprecata.