Per ogni chiesa patriottica che si rispetti c’è anche una polizia religiosa che si presta a intervenire. La caccia alle streghe partita a Castello d’Agogna domenica scorsa, dove il parroco è stato segnalato ai carabinieri per aver celebrato una Messa, sine populo, ma a porte aperte, era destinata a proseguire. E infatti così è stato.
A Bedizzole, provincia di Brescia, il parroco ha celebrato sì la Messa a porte chiuse, ma queste sono state di fatto chiuse dal sindaco che poco prima della celebrazione ha fatto irruzione in chiesa per assicurarsi che non ci fossero fedeli. La celebrazione si è svolta con un presidio di due agenti della polizia municipale a controllare che nessuno dei fedeli del piccolo borgo lombardo entrasse in chiesa. E al termine uno di loro è anche entrato dentro a controllare che tutto fosse a posto e non ci fossero assembramenti.
Il giorno dopo il parroco don Franco Degani, raggiunto dalla Nuova BQ non nega i controlli dell’autorità pubblica, ma dispensa serenità e sorrisi: «Tutto a posto, normali controlli, come del resto devono fare». Normali controlli?
Non proprio, se è vero che i testimoni hanno visto tra sindaco e parroco toni accesi, non propriamente una lite, ma un fastidio, più che giustificato, da parte del parroco. Uno di questi è Renato Venturelli, sagrestano della chiesa bresciana che domenica ha assistito con i suoi occhi all’ingresso del sindaco del paese in chiesa: «E’ entrato, voleva controllare che non ci fosse nessuno in chiesa – spiega Venturelli – e si è stupito di trovare alcune persone dentro».
Il parroco gli ha fatto notare che si trattava di parrocchiani che stavano allestendo la diretta Facebook che sarebbe iniziata di lì a poco, mentre un altro gruppetto, di appena 4 o cinque persone, era il coro in formazione ridotta che in un luogo a parte della chiesa, e ben a distanza, avrebbe accompagnato la celebrazione eucaristica.
«Il parroco si è risentito, cercando di giustificare la presenza. Il sindaco se n’è andato solo quando sono state chiuse le porte della chiesa». A quel punto Venturelli, che stava spazzando il sagrato si è allontanato per alcuni minuti. «Quando sono tornato ho trovato due agenti di polizia municipale che presidiavano il portone della chiesa impedendo a chiunque di avvicinarsi».
A che titolo? I vescovi hanno detto che le chiese posso restare aperte, i sacerdoti hanno recepito che le Messe siano private, ma in molti, se si trovano nelle chiese aperte dei fedeli entrati per pregare, non se la sentono di cacciarli fuori. Invece a quanto pare, la presenza degli agenti della polizia municipale autorizza a controllare anche dentro gli edifici di culto se vengono rispettate le ordinanze del governo. E’ legale? Sarà materia di giuristi.
Quel che è certo è che non si è mai visto che forze dell’ordine si mettano a presidiare una chiesa per impedire l’accesso dei fedeli. Né sindaci che entrano nel tempio per controllare il numero dei presenti. Qualcuno dovrà giustificare queste licenze, o no?
«Non spetta all’autorità statale identificare la natura di cosa sia o meno una “cerimonia religiosa”, bensì all’Autorità Ecclesiastica – fa notare il canonista Fabio Adernò – ma più ancora di una disposizione che lede, insieme, l’autonomia e la sovranità “nel proprio ordine” della Chiesa Cattolica (cfr. art. 7 cost.) e, al tempo stesso, la libertà religiosa del singolo cittadino cattolico al quale, è vero, non è impedito di entrare in chiesa, ma di fatto è proibito esercitare il proprio credo religioso, in aperto contrasto alla libertà di culto riconosciuta dalla Costituzione (cfr. art. 19 cost.) d’uno stato in cui vige un regime concordatario».
In realtà, stando a quanto accaduto a Bedizzole, ai fedeli sarebbe stato impedito di entrare in chiesa, diversamente non si spiegherebbe la posta della polizia municipale, la quale al termine della Messa ha preteso di entrare in chiesa e controllare. «Quando la celebrazione è finita, il parroco ha riaperto i portoni della chiesa – prosegue Venturelli – e si è trovato con sorpresa i vigili appostati: “Addirittura siete venuti voi!”, ha sbottato il sacerdote. E ha aggiunto: “Non vorrete mica venire a controllare adesso?”. Uno di loro ha detto: “Sì”. Ed è entrato».
Sempre Venturelli riferisce come il parroco a quel punto sia sbottato: «Al bar di fronte ieri notte hanno fatto baldoria fino alle 3, ma non siete andati a controllare da loro, vero?». Infatti, per presidiare i bar non si trovano e non si troveranno mai abbastanza uomini. E nemmeno per presidiare i parchi alla domenica pieni di gente. Ma per le chiese sì. Gli uomini si trovano.
Il clima in paese però non deve essere migliori. Il giorno prima, sabato, il sindaco si era recato a controllare anche il numero dei partecipanti a un funerale: «“Non posso mica sapere chi è parente e chi no”, ha detto don Franco», ci spiega il sagrestano.
Piccole scaramucce di paese, ma che si moltiplicheranno a dismisura nel corso di questi giorni andando a limitare sempre più quella che i giuristi chiamano la libertas Ecclesiae.
A Trevenzuolo, nel Veronese il parroco don Alberto Antonioli dopo aver cancellato 3 delle 4 messe domenicali, ha celebrato col portone semichiuso la messa delle 9.30. Dentro sono entrate alcune decine di fedeli. Ma al termine si è visto entrare i carabinieri che lo hanno dovuto segnalare per inosservanza del decreto del governo. Lui, in tv, si cosparge il capo di cenere tra le lacrime: «Non lo faccio più, scusate». Colpirne uno per educarne cento.
Il rischio della perdita della libertas Eccleasiae è sottolineato anche da Vittorio Sgarbi che ieri denunciava con la sua consueta verve: «La sospensione delle funzioni religiose, stabilita dal governo, è anticostituzionale, oltre ad essere, come molte altre misure, insensate. Discrimina, in Europa, l’Italia dalle altre nazioni, non attraverso zone rosse e zone gialle, ma sospendendo il sentimento religioso, nel quale si ripone una parte della speranza nei credenti, rispetto a quella che il Papa stesso chiama “situazione disumana”».
Sentimento religioso e speranza? Non c’è spazio per questi sentimentalismi nelle chiese patriottiche.