Roma, (Scienza & Vita) – «Una madre surrogata e la coppia che l’ha assunta hanno fatto una scoperta terribile dopo un’ecografia: una volta nato, il bimbo avrà seri problemi di salute e, molto probabilmente, non avrà mai una vita normale. I genitori legali, che non vogliono mettere al mondo un figlio obbligandolo a così tanta sofferenza, hanno offerto alla madre surrogata ulteriori 10.000 dollari per abortire. La donna, però, che sente di dover lottare per la vita del figlio che porta in grembo, ha rifiutato». Ali Neel, Surrogate mother refused abortion: Right? Wrong?, The Washington Post, 6 marzo 2013
È una vicenda che ha veramente dell’incredibile, quella finita qualche settimana fa sulla stampa statunitense. Sembra un caso giuridico costruito a tavolino da un professore universitario desideroso di mettere alla prova i suoi studenti.
A 29 anni, Crystal si ritrova sola, disoccupata e con due figlie piccole da mantenere. Non trovando di meglio – ha raccontato – decide di lavorare come madre surrogata. L’agenzia a cui si rivolge la mette in contatto con i genitori di tre figli già concepiti in vitro. La coppia e Crystal si accordano per 22 mila dollari di compenso. Tutto procede per il meglio fino all’ecografia compiuta alla ventiquattresima settimana che rivela gravi menomazioni nel feto: come previsto espressamente dal contratto firmato dalle parti prima dell’impianto dell’embrione in utero, i committenti chiedono a Crystal di abortire.
Lo pretendono. Ma lei, sorprendentemente, rifiuta: nonostante abbia volontariamente e scientemente sottoscritto il contratto che prevede l’interruzione della gravidanza in presenza di malformazioni e complicazioni, ora non se la sente. Nel suo blog Surrogate Insanity, ha poi scritto: “nessuno tranne me poteva sentire la bambina viva e vegeta che scalciava dentro il mio corpo”.
I committenti, però, non demordono. Prima le offrono ulteriori 10 mila di dollari per gettare via il nascituro. Poi le chiedono indietro i soldi già pattuiti, a cui aggiungono anche la richiesta di rimborso degli 8 mila dollari di spese mediche affrontate. Ma Crystal persevera nel no. Incapaci di spiegarsi la sua scelta, i giornali statunitensi hanno scritto che la donna è una cattolica devota: lei, però, ha smentito decisamente. “È stata la mia coscienza a essersi ribellata. Non potevo uccidere la bambina solo perché imperfetta”.
Il problema è giuridicamente molto chiaro: la legge del Connecticut, infatti, tratta la madre surrogata al pari di un forno, di una macchina senza potere alcuno su ciò che contiene. Una volta che la bimba fosse nata, Crystal non avrebbe più avuto alcun diritto su di lei. E, probabilmente, i committenti si sono spaventati, temendo di venire poi chiamati in causa per il mantenimento della piccola.
Allora, con le sue due figlie, Crystal si è trasferita in Michigan, dove invece lo Stato la ritiene comunque titolare della sua gravidanza. A parto avvenuto, la disabilità della piccola si è rivelata molto più grave del previsto: decisamente troppo per le spalle di Crystal, che l’ha data in adozione. È stata però lei a scegliere la famiglia (negli Stati Uniti è possibile, come si evince chiaramente dal film Juno). È una famiglia che le permette di vedere la piccola regolarmente.
I committenti, però, non si sono dati per persi, e si sono rivolti ai giudici e nel corso dell’istruttoria è emerso un elemento ulteriore: mentre gli spermatozoi erano dell’uomo, l’ovocita invece non proveniva dalla madre-committente, ma era stato acquistato da una terza donna.
Il caso ha suscitato dibattiti a non finire. Tra gli altri aspetti (possibile – qualcuno si è chiesto – che a Crystal, biologicamente più legata alla bimba della madre-committente, non debba essere riconosciuto alcun diritto?), quello che veramente ha messo in crisi gli Stati Uniti è stato il nodo dell’aborto.
I duri e puri della provetta riconoscono ai genitori committenti ogni potere, diritto e facoltà. Per loro, il vero genitore è solo chi vuole il figlio, chi lo commissiona a prescindere dal legame biologico con lui. Ma questo cozza irreparabilmente con il “diritto” all’aborto della donna che porta il feto. Un bel problema, non c’è che dire.
La storia di Crystal e di sua figlia dimostra però soprattutto, ancora una volta, che giocare a essere Dio non è mai a costo zero. Per nessuno in nessun caso.
Fonte: Newsletter di Scienza e Vita