Gelida semilibertà per Vallejo Balda. È l’inverno della misericordia – di Sandro Magister

vallejo-baldaRiavvolgiamo il nastro e torniamo al 22 dicembre del 2012., quando la segreteria di Stato diramò il seguente comunicato: “Questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto visita in carcere al Sig. Paolo Gabriele, per confermargli il proprio perdono e per comunicargli di persona di avere accolto la sua domanda di grazia, condonando la pena a lui inflitta. Si è trattato di un gesto paterno verso una persona con cui il Papa ha condiviso per alcuni anni una quotidiana familiarità.

“Successivamente, il Sig. Gabriele è stato scarcerato ed è rientrato a casa. Benché non possa riprendere il precedente lavoro e continuare a risiedere in Vaticano, la Santa Sede, confidando nella sincerità del ravvedimento manifestato, intende offrirgli la possibilità di riprendere con serenità la vita insieme alla sua famiglia”.

Oggi invece ecco la scarna nota che la sala stampa della Santa Sede ha inoltrato via mail ai giornalisti accreditati, nella serata di martedì 20 dicembre:

“Considerato che il Rev.  ha già scontato oltre la metà della pena, il Santo Padre Francesco gli ha concesso il beneficio della liberazione condizionale.

“Si tratta di un provvedimento di clemenza che gli permette di riacquistare la libertà. La pena non è estinta, ma egli gode di libertà condizionale.

“A partire da questa sera il sacerdote lascia il carcere e viene a cessare ogni legame di dipendenza lavorativa con la Santa Sede; rientra nella giurisdizione del Vescovo di Astorga (Spagna), sua diocesi di appartenenza”.

Questa volta nessuna “visita in carcere”, nessun “perdono”, nessuna “grazia”, nessun “gesto paterno”, nessuna “fiducia nella sincerità del ravvedimento”, nessuna “estinzione della pena”, ma solo un “provvedimento di clemenza” per una “libertà condizionale”.

Per non dire dell’assenza di qualsiasi cura per dare al reo – rispedito in patria – “la possibilità di riprendere con serenità la vita”.

Eppure era stato papa Francesco, dando retta ai suoi improvvidi consiglieri, a promuovere monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda – assieme all’ineffabile Francesca Immacolata Chaouqui – al ruolo cruciale di segretario della Pontificia commissione referente sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede.

Con tutto ciò che ne è seguito, fino al processo e alla condanna dei due, lo scorso 7 luglio, per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati, lo stesso reato per il quale era stato condannato quattro anni prima il maggiordomo pontificio Paolo Gabriele.

Ora monsignor Vallejo Balda non è più nella cella della gendarmeria vaticana. Ma colpisce il gelo con il quale è stato restituito a una semilibertà.

Un gelo che non reca la minima traccia del fervore con cui papa Francesco ha predicato durante il giubileo l’opera di misericordia corporale “visitare i carcerati” (udienza generale del 9  novembre) ed ha accolto in Vaticano una folta rappresentanza di detenuti (messa, Angelus e incontro pomeridiano di domenica 6 novembre), arrivando a dire: “Ogni volta che entro in un carcere mi domando: “Perché loro e non io?”.

 

Fonte: Settimo Cielo