ROMA, 30 maggio 2016 – Il prefetto della congregazione per la dottrina della fede è sempre lui, il cardinale tedesco Gerhard L. Müller. Il quale continua a svolgere con impegno il suo compito, da ultimo con il monumentale discorso da lui tenuto a Oviedo il 4 maggio per una corretta comprensione della “Amoris laetitia”, in sintonia con il precedente magistero della Chiesa sulla famiglia:
> Esercizi di lettura. La “Amoris laetitia” del cardinale Müller
Ma è sempre più evidente che per papa Francesco non è Müller ma è un altro cardinale il maestro di dottrina autorizzato a dare lumi sull’esortazione postsinodale: il cardinale Christoph Schönborn.
Il 19 maggio, nell’incontrare in Vaticano i due cardinali e i tre vescovi che compongono la presidenza del consiglio episcopale latinoamericano, Francesco, interpellato da loro sulla “Amoris laetitia”, ha così risposto, secondo quanto riferisce il sito del CELAM:
“Il papa risponde che il cuore dell’esortazione è il capitolo 4: l’amore nella vita famigliare, fondato sul capitolo 13 della prima lettera di san Paolo ai Corinzi. Mentre il più difficile da leggere è il capitolo 8.
Alcuni, dice il papa, si sono lasciati imprigionare da questo capitolo. Il Santo Padre è pienamente al corrente delle critiche di alcuni, tra cui dei cardinali, che non sono riusciti a capire il significato evangelico delle sue affermazioni.
E dice che la guida migliore per capire questo capitolo è la presentazione che ne ha fatto il cardinale Christoph Schönborn O.P., arcivescovo di Vienna, Austria, un grande teologo, membro della congregazione per la dottrina della fede, molto esperto della dottrina della Chiesa”.
Già il 16 aprile, interrogato dai giornalisti sul volo di ritorno a Roma dall’isola di Lesbo, Francesco aveva indicato in Schönborn l’interprete giusto del documento, raccomandando di leggere la sua presentazione e gratificandolo anche lì di lusinghiere qualifiche, anzi, addirittura promuovendolo per errore ad ex “segretario” della congregazione per la dottrina della fede.
Poi però Müller aveva tenuto il discorso di Oviedo, con l’intento di fare chiarezza nella giostra delle interpretazioni e applicazioni contrastanti della “Amoris laetitia” che già avevano trovato piede. Ma per il papa quel suo discorso non ha contato nulla. Come non ha contato nulla neppure per “L’Osservatore Romano”, che l’ha ignorato del tutto.
Per Francesco, infatti, la sola che continua a valere è l’interpretazione della “Amoris laetitia” fatta da Schönborn nella presentazione ufficiale del documento, nella sala stampa vaticana, l’8 aprile, il giorno della sua pubblicazione.
Ma allora questa presentazione deve essere finalmente letta per intero. Nel suo testo scritto e nelle aggiunte a braccio fatte dal cardinale. Così come devono essere lette le domande e le risposte della conferenza stampa seguita alla presentazione.
Qui di seguito tutto questo è per la prima volta integralmente e fedelmente trascritto, sulla base della videoregistrazione fatta del Centro Televisivo Vaticano:
> Presentation of the exhortation “Amoris laetitia” – 2016.04.08
Si vedrà che, verso la fine della presentazione, il cardinale Schönborn indica nel libero “discernimento” dei singoli casi la via per ammettere alla comunione i divorziati risposati.
E più avanti, nel rispondere a una domanda di Francis Rocca del Wall Street Journal, prospetta proprio uno di questi casi, asserendo che già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI l’avevano ipotizzato.
Rimanda in proposito al paragrafo 84 della “Familiaris consortio” del 1981, dove effettivamente papa Karol Wojtyla parla di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”.
Ebbene, Schönborn asserisce che “né papa Giovanni Paolo né papa Benedetto hanno mai esplicitamente messo in dubbio” l’ammissione di costoro ai sacramenti, che “già era una prassi da lungo tempo”.
E più avanti, rispondendo a Diane Montagna di Aleteia, torna a insistere su come nella “Familiaris consortio” fosse già “implicito” ciò che papa Francesco ora “dice chiaramente, esplicitamente”, nel solco “dello sviluppo organico della dottrina”.
In realtà, né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI hanno mai ammesso alla comunione dei divorziati risposati, nemmeno “implicitamente”, salvo nel caso che nella seconda unione – tenuta ferma “per seri motivi quali ad esempio come l’educazione dei figli” – essi “assumano l’impegno di vivere in piena continenza”.
Per averne la conferma basta rileggere per intero – e non per frasi ritagliate a bella posta – proprio quel paragrafo 84 della “Familiaris consortio” che Schönborn adduce a sostegno delle innovazioni della “Amoris laetitia”.
Come pure è utile rileggere ciò che scrisse Joseph Ratzinger sulla stessa questione, da cardinale e da papa:
> La pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità
Per questo, qui sotto, dopo la presentazione e il successivo botta e risposta del cardinale Schönborn con i giornalisti, è anche riprodotto come necessario elemento di confronto il paragrafo 84 dell’esortazione apostolica “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II.
Al quale segue la critica di un teologo tomista al modo improprio con cui la “Amoris laetitia” cita san Tommaso d’Aquino.
E, per finire, un giudizio del cardinale Carlo Caffarra – che ha partecipato a entrambi i sinodi su invito diretto di Francesco ma che è anche uno dei tredici porporati che hanno firmato la lettera al papa contro i rischi di manomissione dell’assise – sulla “oggettiva mancanza di chiarezza” del capitolo ottavo della “Amoris laetitia” e quindi sul dovere di interpretarlo “in continuità col magistero precedente”.
Buona lettura!
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1. Schönborn: la presentazione ufficiale della “Amoris laetitia”
Sala stampa della Santa Sede, 8 aprile 2016. Tra parentesi quadre le frasi da lui aggiunte oralmente al testo scritto. Lingua originale italiana.
[Vorrei dire anzitutto la mia letizia, la mia gioia per il modo in cui papa Francesco parla dell’amore nella famiglia. Per me, semplicemente, “Amoris laetitia” è un testo bellissimo. Oso dire che a volte i nostri documenti ecclesiastici sono un po’ faticosi di lettura. Nonostante la lunghezza di questo testo, è una lettura bellissima, almeno per me. Vorrei dire a titolo molto personale il perché io l’abbia letto con tanta gioia, con gratitudine e anche sempre con forte emozione. Devo dirlo].
Nel discorso ecclesiale sul matrimonio e sulla famiglia c’è spesso una tendenza, forse inconscia, a condurre su due binari il discorso su queste due realtà della vita. Da una parte ci sono i matrimoni e le famiglie che sono “a posto”, che corrispondono alla regola, dove tutto è “va bene” è “in ordine”, e poi ci sono le situazioni “irregolari” che rappresentano un problema. Già il termine stesso “irregolare” suggerisce che si possa effettuare una tale distinzione con tanta nitidezza.
Chi dunque viene a trovarsi dalla parte degli “irregolari”, deve convivere con il fatto che i “regolari” si trovino dall’altra parte. Come ciò sia difficile per quelli che provengono, essi stessi, da una famiglia “patchwork”, mi è noto di persona, a causa della situazione della mia propria famiglia. Il discorso della Chiesa qui può ferire, può dare la sensazione di essere esclusi.
Papa Francesco ha posto la sua esortazione sotto la frase guida: “Si tratta di integrare tutti” (AL 297), perché si tratta di una comprensione fondamentale del Vangelo: noi tutti abbiamo bisogno di misericordia! “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra” (Gv 8, 7). Tutti noi, a prescindere dal matrimonio e dalla situazione familiare in cui ci troviamo, siamo in cammino. Anche un matrimonio in cui tutto “vada bene” è in cammino. Deve crescere, imparare, superare nuove tappe. Conosce il peccato e il fallimento, ha bisogno di riconciliazione e di nuovo inizio, e ciò fino in età avanzata (cfr AL 297).
Papa Francesco è riuscito a parlare di tutte le situazioni senza catalogare, senza categorizzare, con quello sguardo di fondamentale benevolenza che ha qualcosa a che fare con il cuore di Dio, con gli occhi di Gesù che non escludono nessuno (cfr AL 297), che accoglie tutti e a tutti concede la “gioia del Vangelo”. Per questo la lettura di “Amoris laetitia” è così confortante. Nessuno deve sentirsi condannato, nessuno disprezzato. In questo clima dell’accoglienza, il discorso della visione cristiana di matrimonio e famiglia diventa invito, incoraggiamento, gioia dell’amore al quale possiamo credere e che non esclude nessuno, veramente e sinceramente nessuno.
Per me “Amoris laetitia” è perciò soprattutto, e in primo luogo, un “avvenimento linguistico”, così come lo è già stato la “Evangelii gaudium”. Qualcosa è cambiato nel discorso ecclesiale. Questo cambiamento di linguaggio era già percepibile durante il cammino sinodale. Fra le due sedute sinodali dell’ottobre 2014 e dell’ottobre 2015 si può chiaramente riconoscere come il tono sia divenuto più ricco di stima, come si siano semplicemente accolte le diverse situazioni di vita, senza giudicarle o condannarle subito. In “Amoris laetitia” questo è divenuto il continuo tono linguistico. Dietro di ciò non c’è ovviamente solo un’opzione linguistica, bensì un profondo rispetto di fronte ad ogni uomo che non è mai, in primo luogo, un “caso problematico” in una “categoria”, ma una persona inconfondibile, con la sua storia e il suo percorso con e verso Dio. In “Evangelii gaudium” papa Francesco diceva che dovremmo toglierci le scarpe davanti al terreno sacro dell’altro (EG 36).
Quest’atteggiamento fondamentale attraversa tutta l’esortazione. Ed esso è anche il motivo più profondo per le altre due parole chiave: discernere e accompagnare. Tali parole non valgono solo per le “cosiddette situazioni irregolari” (Papa Francesco sottolinea questo “cosiddette”!), ma valgono per tutti gli uomini, per ogni matrimonio, per ogni famiglia. Tutti, infatti, sono in cammino e tutti hanno bisogno di “discernimento” e di ”accompagnamento”.
La mia grande gioia per questo documento sta nel fatto che esso coerentemente superi l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra “regolare” e “irregolare” e ponga tutti sotto l’istanza comune del Vangelo, secondo le parole di San Paolo: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!” (Rom 11, 32).
Questo continuo principio dell’”inclusione” preoccupa ovviamente alcuni. Non si parla qui in favore del relativismo? Non diventa permissivismo la tanto evocata misericordia? Non esiste più la chiarezza dei limiti che non si devono superare, delle situazioni che oggettivamente vanno definite irregolari, peccaminose? Questa esortazione non favoreggia un certo lassismo, un “everything goes”? La misericordia propria di Gesù non è invece, spesso, una misericordia severa, esigente?
Per chiarire ciò: Papa Francesco non lascia nessun dubbio sulle sue intenzioni e sul nostro compito: “Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro” (AL 35).
[Ecco, penso che qui è il punto nodale, la motivazione. Papa Francesco è un pedagogo, e sa che solo la motivazione può far amare il proposito cristiano del matrimonio e della famiglia].
Papa Francesco è convinto che la visione cristiana del matrimonio e della famiglia abbia anche oggi un’immutata forza di attrazione. Ma egli esige “una salutare reazione autocritica”: “Dobbiamo esser umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo” (AL 36). “Abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono.
[Sottolineo: così come sono!].
“Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario” (AL 36).
[Autocritica necessaria!].
Mi permetto di raccontare qui un’esperienza del Sinodo dell’ottobre scorso: che io sappia, due dei tredici “circuli minores” hanno iniziato il loro lavoro facendo in primo luogo raccontare ad ogni partecipante la propria situazione familiare. Ben presto è emerso che quasi tutti i vescovi o gli altri partecipanti del “circulus minor” sono confrontati, nelle loro famiglie, con i temi, le preoccupazioni, le “irregolarità” di cui noi, nel Sinodo, abbiamo parlato in maniera un po’ troppo astratta. Papa Francesco ci invita a parlare delle nostre famiglie “così come sono”. Ed ora la cosa magnifica del cammino sinodale e del suo proseguimento con papa Francesco: questo sobrio realismo sulle famiglie “così come sono” non ci allontana affatto dall’ideale! Al contrario: papa Francesco riesce, con i lavori di ambedue i Sinodi, a rivolgere alle famiglie uno sguardo positivo, profondamente ricco di speranza.
Ma questo sguardo incoraggiante sulle famiglie richiede quella “conversione pastorale” di cui la “Evangelii gaudium” parlava in maniera così entusiasmante. Il testo seguente della “Amoris laetitia” ricalca le grandi linee di tale “conversione pastorale”: “Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL 37).
Papa Francesco parla da una profonda fiducia nei cuori e nella nostalgia degli uomini. Lo esprimono molto bene le sue esposizioni sull’educazione. Si percepisce qui la grande tradizione gesuitica
[Lo dico da domenicano!].
dell’educazione alla responsabilità personale. Egli parla di due pericoli contrari: il “lassez-faire” e l’ossessione di volere controllare e dominare tutto. Da una parte è vero che “la famiglia non può rinunciare ad essere luogo di sostegno, di accompagnamento, di guida… C’è sempre bisogno di vigilanza. L’abbandono non fa mai bene”(AL 260).
Ma la vigilanza può diventare anche esagerata: “L’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare… Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia” (AL 261).
Trovo che sia molto illuminante mettere in connessione questo pensiero sull’educazione con quelli che riguardano la prassi pastorale della Chiesa. Infatti, proprio in questo senso papa Francesco torna spesso a parlare della fiducia nella coscienza dei fedeli: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL 37). La grande questione ovviamente è questa: come si forma la coscienza?
[Tema che ha già tanto occupato papa Giovanni Paolo e papa Benedetto].
Come pervenire a quello che è il concetto chiave di tutto questo grande documento, la chiave per comprendere correttamente le intenzioni di Papa Francesco: “ il discernimento personale”, soprattutto in situazioni difficili, complesse? Il “discernimento” è un concetto centrale degli esercizi ignaziani. Questi, infatti, devono aiutare a discernere la volontà di Dio nelle situazioni concrete della vita. È il “discernimento” a fare della persona una personalità matura, e il cammino cristiano vuole essere di aiuto al raggiungimento di questa maturità personale: non a formare automi condizionati dall’esterno, telecomandati, ma persone maturate nell’amicizia con Cristo.
[Grande tema di papa Benedetto!].
Solo laddove è maturato questo “discernimento” personale è anche possibile pervenire a un “discernimento pastorale”, il quale è importante soprattutto “davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone” (AL 6). Di questo “discernimento pastorale” parla l’ottavo capitolo, un capitolo probabilmente di grande interesse per l’opinione pubblica ecclesiale, ma anche per i media.
[Non oso chiedere chi di voi ha letto prima l’ottavo capitolo. Io vi invito cordialmente a leggere prima il quarto capitolo!].
Il papa stesso dice che il quarto e il quinto capitolo sono “i capitoli centrali”, non solo in senso geografico, ma per il loro contenuto: “Non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare” (AL 89). Questi due capitoli centrali di “Amoris laetitia” saranno probabilmente saltati da molti
[Anche da noi teologi e vescovi].
per arrivare subito alle cosiddette “patate bollenti”, ai punti critici. Da esperto pedagogo, papa Francesco sa bene che niente attira e motiva così fortemente come l’esperienza positiva dell’amore. “Parlare dell’amore” (AL 89) procura chiaramente una grande gioia a papa Francesco, ed egli parla dell’amore con grande vivacità, comprensibilità, empatia. Il quarto capitolo è un ampio commento all’”Inno alla carità” del tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi. Raccomando a tutti la meditazione di queste pagine. Esse incoraggiano a credere nell’amore (cfr 1Gv 4, 16) e ad avere fiducia nella sua forza. È qui che crescere, un’altra parola chiave della “Amoris laetitia”, ha la sua “sede principale”: in nessun altro luogo si manifesta così chiaramente, come nell’amore, che si tratta di un processo dinamico nel quale l’amore può crescere, ma può anche raffreddarsi. Posso solo invitare a leggere e a gustare questo delizioso capitolo.
Ci tengo a far notare un aspetto: papa Francesco parla qui, con una chiarezza che è rara, del ruolo che anche le “passiones”, le passioni, le emozioni, l’eros, la sessualità hanno nella vita matrimoniale e familiare. Non è un caso che papa Francesco si riallacci qui in modo particolare a san Tommaso d’Aquino.
[Devo dire la mia gioia alla lettura di questo documento, che è profondamente tomistico. È vero, posso provarlo, sistematicamente. È la grande visione di san Tommaso della felicità come meta della vita. E tutto il cammino umano, l’essere in via, è il camminare verso questa beatitudine che ci è promessa e che ci attira. Solo il bene attira e questo metodo pedagogico è sviluppato tanto da san Tommaso. E per questo san Tommaso parla tanto dell’importanza delle passioni nell’educazione e nel camminare verso un matrimonio felice. È un tema tanto trascurato nella teologia morale moderna, non esiste quasi più: le passioni. Nel Catechismo della Chiesa cattolica, il cardinale Ratzinger insisteva molto che si parlasse esplicitamente dell’importanza delle passioni per la vita morale. E troverete bellissime pagine su questo in papa Francesco].
È qui che il titolo dell’esortazione del Papa trova la sua più piena espressione: “Amoris laetitia”! Qui si capisce come sia possibile riuscire “a scoprire il valore e la ricchezza del matrimonio” (AL 205). Ma qui si rende anche dolorosamente visibile quanto male facciano le ferite d’amore, come siano laceranti le esperienze di fallimento delle relazioni. Per questo non meraviglia che sia soprattutto l’ottavo capitolo ad attirare l’attenzione e l’interesse. Infatti la questione di come la Chiesa tratti queste ferite, di come tratti il fallimento dell’amore, è diventata per molti una questione-test per capire se la Chiesa sia davvero il luogo in cui si possa sperimentare la misericordia di Dio.
Questo capitolo deve molto all’intenso lavoro dei due Sinodi, alle ampie discussioni nell’opinione pubblica ed ecclesiale. Qui si manifesta la fecondità del modo di procedere di papa Francesco. Egli desiderava espressamente una discussione aperta sull’accompagnamento pastorale di situazioni complesse e ha potuto ampiamente fondarsi sui testi che i due Sinodi gli hanno presentato.
[Questo metodo del sinodo, dei due sinodi, è tanto importante, per camminare insieme, per avanzare].
Papa Francesco fa esplicitamente sue le dichiarazioni che ambedue i Sinodi gli hanno presentato: “I Padri sinodali hanno raggiunto un consenso generale, che sostengo” (AL 297). Per quanto riguarda i divorziati risposati con rito civile egli sostiene: “Accolgo le considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto affermare che (…) la logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale… Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come un madre che li accoglie sempre…” (AL 299).
Ma cosa significa ciò concretamente? Molti si pongono, a ragione, questa domanda. Le risposte decisive si trovano in Amoris laetitia 300. Esse offrono certamente ancora materia per ulteriori discussioni. Ma esse sono anche un importante chiarimento e un’indicazione per il cammino da seguire: “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete (…) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”. Molti si aspettavano una tale norma. Resteranno delusi.
[Sono convinto che è la scelta necessaria, quella che ha fatto il papa].
Che cosa è possibile? Il papa lo dice con tutta chiarezza: “È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari”.
Come possa e debba essere questo discernimento personale e pastorale è tema dell’intera sezione di “Amoris laetitia” 300-312. Già nel Sinodo del 2015, in appendice agli enunciati del “Circulus germanicus” fu proposto un “Itinerarium” del discernimento, dell’esame di coscienza che papa Francesco ha fatto suo. “Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio”. Ma papa Francesco ricorda anche che “questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa” (AL 300).
Papa Francesco menziona due posizioni erronee. Una è quella del rigorismo: “Un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni ‘irregolari’, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa” (AL 305). D’altro canto, la Chiesa non deve assolutamente “rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza” (AL 307).
Si pone naturalmente la domanda: e cosa dice il papa a proposito dell’accesso ai sacramenti per persone che vivono in situazioni “irregolari”?
[Ci si è troppo concentrati su questa questione. Il papa lo diceva: può diventare una trappola fissarsi su questa questione].
Già Papa Benedetto aveva detto che non esistono delle “semplici ricette” (AL 298, nota 333).
[Lo diceva a Milano, al congresso della famiglia].
E papa Francesco torna a ricordare la necessità di discernere bene le situazioni, nella linea della “Familiaris consortio” (84) di san Giovanni Paolo II (AL 298).
[Del n. 84, famoso testo. Nel quale papa Giovanni Paolo dice: per amore della verità i pastori sono obbligati a discernere le situazioni. Ed enumera tre situazioni molto diverse]
“Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio” (AL 305). E papa Francesco ci ricorda una frase importante che aveva scritto nella “Evangelii gaudium” 44: “Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà” (AL 304).
[Non l’ho messo nel mio testo, ma direi una cosa: per me una chiave di lettura della “Amoris laetitia” è l’esperienza dei poveri, perché nella vita dei poveri, delle famiglie povere, si sperimenta esattamente questo, quei piccoli passi sul cammino della virtù che possono essere molto più grandi del successo “virtuoso” di chi vive in situazione confortevole. E si sente dietro questo testo tutta un’esperienza di vita di papa Francesco, che ha camminato con tante famiglie sofferenti, povere. È per noi anche una chiamata alla conversione].
Nel senso di questa “via caritatis” (AL 306) il papa afferma, in maniera umile e semplice, in una nota (351), che si può dare anche l’aiuto dei sacramenti “in certi casi”. Ma allo scopo egli non ci offre una casistica, delle ricette, bensì ci ricorda semplicemente due delle sue frasi famose: “Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore” (EG 44), e l’eucarestia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (EG 47).
[Allo scopo di raggiungere qui una chiarezza non ci aiuta la casistica. Ci aiuta il discernimento, l’accompagnamento].
Non è una sfida eccessiva per i pastori, per le guide spirituali, per le comunità, se il “discernimento delle situazioni” non è regolato in modo più preciso? Papa Francesco conosce questa preoccupazione: “comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione” (AL 308). Ad essa egli obietta dicendo: “poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e quello è il modo peggiore di annacquare il Vangelo” (AL 311).
Papa Francesco confida nella “gioia dell’amore”. L’amore sa trovare la via.
[Non ha citato sant’Agostino ma si potrebbe citare la sua famosa frase: “Dilige et fac quod vis”. Veramente! Ama e sai cosa devi fare].
È la bussola che ci indica la strada. Esso è il traguardo e il cammino stesso, perché Dio è l’amore e perché l’amore è da Dio. Niente è così esigente come l’amore. Esso non si può avere a buon mercato. Per questo nessuno deve temere che papa Francesco ci inviti, con “Amoris laetitia”, a un cammino troppo facile. Il cammino non è facile, ma è pieno di gioia!
[Grazie a papa Francesco per questo bellissimo documento!].
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2. Schönborn: il botta e risposta con i giornalisti
Sala stampa della Santa Sede, 8 aprile 2016
D. – (Jean-Marie Guénois, Le Figaro) Perché il punto chiave della “Amoris laetitia” è trattato in una piccola nota a piè di pagina e non nel testo?
R. – Non lo so. Non ho scritto il testo, è il papa che lo ha fatto. Possiamo chiedere al Santo Padre perché l’ha messo lì. Ognuno può dare una sua interpretazione. Per esempio, come ho detto, il papa una volta l’ho sentito dire: è una trappola focalizzare tutto su questo punto, perché si dimentica l’insieme della questione. E per questo io suggerirei che dopo la “Amoris laetitia” ci sono tante questioni da continuare a discutere e uno dei punti è un rinnovamento della nostra prassi sacramentale, in genere, nell’insieme. Cinquant’anni dopo il Vaticano II sarebbe bene anche pensare a ciò che vuol dire la vita sacramentale, non solo per un caso particolare, quelli dei divorziati risposati, ma per noi tutti.
D. – (Francis Rocca, The Wall Street Journal) Lei ha citato “Familiaris consortio” del 1984, ma in questo documento al n. 84 il papa scrive che la chiesa ribadisce la sua prassi fondata sulla Scrittura di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati, tranne se si assumono l’impegno di vivere in piena continenza. Allora, in bianco e nero, uno si chiede: è cambiato qualcosa rispetto a trentacinque anni fa? C’è una possibilità nel magistero papale non prevista da Giovanni Paolo? E se è così, nella continuità del magistero papale c’è un motivo per cui un prossimo papa non potrà ritenere di nuovo opportuno e necessario ribadire questa prassi?
R. – Brevemente, nella “Familiaris consortio” al n. 84 papa san Giovanni Paolo II parla di tre situazioni diverse, la terza delle quali è il caso nel quale i risposati hanno moralmente la convinzione che il loro primo matrimonio non è valido. Non ha tirato la conclusione di questo fatto, ma io penso che ci sono delle situazioni, che noi conosciamo tutti nella prassi pastorale, dove non è possibile trovare una soluzione canonica ma dove, nella certezza morale che questo primo matrimonio non era sacramentale, anche se non si può chiarire il caso canonicamente, con il pastore e i coniugi convinti nella loro coscienza, della quale parla papa Giovanni Paolo, che non sono sposati sacramentalmente, ammetterli ai sacramenti già era una prassi da lungo tempo, che né papa Giovanni Paolo né papa Benedetto hanno esplicitamente messo in dubbio. E il fatto che lui dice della convivenza come fratello e sorella, è già anche un caso eccezionale, perché in altro modo convivono matrimonialmente, il matrimonio non si riduce all’unione sessuale, è tutta la vita che è condivisa, e dunque vivono in una seconda unione pienamente, ad eccezione del rapporto sessuale, hanno una vita matrimoniale. E papa Giovanni Paolo già diceva che in questo caso, se non c’è scandalo, possono accedere ai sacramenti. Dunque queste sfumature esistevano da sempre e papa Francesco non entra nella casistica ma dà l’indicazione essenziale, sulla quale anche noi dobbiamo continuare a riflettere.
D. – (Zenit edizione spagnola) Tra verità e carità, quando un vescovo non riesce a discernere, a chi si deve rivolgere, c’è qualcuno che lo deve aiutare?
R. – Il discernimento per natura sua comporta una certa incertezza perché san Tommaso dice, e il papa lo cita nel suo testo, che i principi sono evidenti, sono chiari, sono chiarissimi, enunziati chiaramente, ma quanto più si scende nell’azione, nelle situazioni concrete, diventa più delicato discernere e per questo l’esercizio degli Esercizi ignaziani è proprio il discernere degli spiriti. San Tommaso dice che questo è collegato anche con una certa ansia, angoscia, che deve discernere, sì. E anche per questo sempre sarà così: un prete forse sarà un po’ più disposto a una visione più larga, un altro sarà forse un po’ più timoroso, più severo nel discernimento, ma questo sarà sempre così, anche nella vita familiare. Il discernimento è un’opera delicata ma necessaria.
D. – (Washington Post) Il principio del discernimento, di cui parlava, in ragione del quale si potrà andare incontro a un prete più di larghe vedute o a qualcuno più timoroso, può essere considerato secondo lei un nuovo principio di partenza, una nuova legge da cui partire, o una questione che resta aperta?
R. – Il papa l’ha detto chiaramente, non è una nuova disposizione canonica, e io posso ricordare, proprio qui in questa sala, nel 1981, molto tempo fa, un cardinale tedesco che era famoso per la sua chiarezza dottrinale, il cardinale Höffner, aveva risposto a una tale domanda: Vedete col vostro confessore. Ma c’è una responsabilità in ognuno di noi. Non si può giocare con i sacramenti, è vero, non si può giocare con la coscienza. Il papa parla molto della coscienza: come stai tu o state voi nella coppia in difficoltà? come siete davanti a Dio nella vostra coscienza? Su questo la regola canonica non può rispondere in dettaglio, né il pastore. Dovete sapere voi, non potete giocare con Dio. Dunque il caso che enumera papa san Giovanni Paolo nel n. 84 di “Familiaris consortio”, il caso di una coppia risposata e, dice il papa, nella quale il matrimonio è “definitivamente rotto”, usa questa parola, se sono convinti in coscienza che il loro matrimonio non era valido, è una situazione diversa dall’altro caso che il papa san Giovanni Paolo cita, di uno che ha rotto il matrimonio valido veramente per leggerezza: è un’altra situazione morale, davanti a Dio e davanti alla comunità e alla Chiesa, davanti alla loro coscienza. Dunque, il papa non innova in questo documento, questo è importante dirlo, non innova, sta nella grande tradizione pastorale, prudenziale, della Chiesa. È il ricorso alla prudenza pastorale che ogni prete, ogni vescovo deve esercitare.
D. – (Gianfranco Svidercoschi) Ho letto il capitolo quarto e sono rimasto scioccato perché nelle note non c’è un solo riferimento al sinodo. Sulla sessualità, l’eros, la passione, si limita a citare Giovanni Paolo II, le catechesi sul corpo, e Benedetto XVI. Ma ancora più scioccante è che questo corrisponde a ciò che è successo in sinodo. Abbiamo un papa che considera la sessualità un grande valore e un sinodo che invece neppure ne parla. E allora mi viene il dubbio di come i chierici sappiano parlare dei problemi della famiglia.
R. – Ha colpito anche me che niente di questo bellissimo quarto capitolo si sia trovato nelle due relazioni del sinodo. Ma penso che questo rivela qualche cosa. I padri sinodali erano quasi tutti celibi, sì, con una eccezione, il superiore maggiore dei Petits Frères de Jésus, no no, nemmeno lui, non era prete ma era celibe, gli sposati erano esperti ma non padri sinodali. Questo è il problema, e ha ragione. Grazie a Dio papa Francesco ha rimediato e bellissimamente.
D. – (Frankfurter Allgemeine Zeitung, in tedesco, con padre Federico Lombardi che riassume la domanda in italiano) Perché si trova solo nella nota 351 il riferimento alla comunione per i divorziati risposati?
R. – Un fatto che mi colpisce è che tutti leggano questa nota. Dunque mettere in nota sorprende e attira l’interesse. Ma io rimango fermo su questo punto: papa Francesco vuol esporre una visione d’insieme e non fissarsi su un punto particolare, che è importante, ma particolare. E senza i criteri complessivi del discernimento, anche il discernimento su “in certi casi anche l’aiuto dei sacramenti” cadrebbe dal cielo, senza connessione con l’insieme.
D. – (Elisabetta Povoledo, New York Times) Chi ha fatto parte della commissione che ha scritto il documento?
R. – Non lo so. Non io e non ho chiesto. E non posso dire una menzogna dicendo che non lo so.
D. – (Felipe Domínguez, San Paolo del Brasile) – Sembra che il documento sottolinea molto la formazione delle coppie e l’accompagnamento dopo sposati. Però nello stesso tempo lei parla di una idealizzazione eccessiva della vita in famiglia. Cosa possiamo portare in questo cammino di accompagnamento alle coppie in modo pratico, che non sia soltanto gli incontri, catechesi, le solite cose?
R. – Brevissimamente. In questo momento, quando tanti attacchi anche esistono alla famiglia, che il papa dica con alta voce e bellezza e forza la sua fiducia nel matrimonio e nella famiglia, questo è già un messaggio tanto forte per la società di oggi.
D. – (Diane Montagna, Aleteia) Solo per chiarire, penso che tutti vogliano sapere a proposito del paragrafo 84 di “Familiaris consortio”: è cambiato qualcosa rispetto a quel paragrafo nel suo insieme? Tutto ancora sta in piedi così com’è in “Familiaris consortio” numero 84?
R. – Non vedo che ci sia cambiamento, ma certamente c’è sviluppo, sviluppo organico, in come papa Giovanni Paolo ha sviluppato la dottrina. Io dò un esempio: mai nella storia della dottrina della Chiesa la coppia uomo e donna è stata considerata come tale immagine di Dio. Papa Giovanni Paolo ne ha fatto il centro del suo insegnamento sul matrimonio. Ma io sfido tutti gli esperti di teologia a dire quando nella tradizione questo sia stato fatto. Dunque è normale, è vero che c’è sviluppo. John Henry Newman ci ha spiegato come funziona questo sviluppo organico della dottrina. Certo, in questo senso papa Francesco sviluppa le cose. La frase che lei ha detto era implicita nella “Familiaris consortio”, implicita, sono disposto a provarlo. Per me lo sviluppo è che papa Francesco lo dice chiaramente, esplicitamente. È il caso classico dello sviluppo organico della dottrina. C’è innovazione e continuità. Leggete per questo il famoso discorso di papa Benedetto sull’ermeneutica della continuità. In questo documento per me ci sono delle vere novità ma non delle rotture, come non è una rottura ciò che ha fatto Giovanni Paolo con l’immagine di Dio applicata a uomo e donna. Non è una rottura ma un vero sviluppo.
D. – (Andrea Gagliarducci, CNA, ACI Stampa) Per quanto riguarda il punto 301 circa le coppie irregolari che non sono in peccato mortale, e per il discorso sull’innovazione della dottrina di cui parlava, in che modo questo si concilia con la “Veritatis splendor” di Giovanni Paolo II, dove si parla di un “male intrinseco”?
R. – La “Veritatis splendor” certamente parla della chiarezza delle norme dell’”intrinsece malum”, ma papa Francesco qui nel documento ha una serie di accenni sulla questione dell’imputabilità, molto importante, e cita il Catechismo della Chiesa cattolica: l’imputabilità che è una delle condizioni per sapere se c’è peccato mortale o meno. Dunque si devono leggere questi passaggi sull’imputabilità, che sono classici: la maggior parte di queste citazioni vengono dal Catechismo e da san Tommaso.
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3. Il paragrafo 84 della “Familiaris consortio” del 1981 sui divorziati risposati
84. L’esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev’essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l’hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che – già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale – hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi” (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo del Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.
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4. A proposito della citazione di san Tommaso d’Aquino in “Amoris laetitia” n. 304
di Richard A. Spinello
In “Amoris laetitia” n. 304, al fine di rafforzare la sua tesi complessiva, papa Francesco cita la questione 94 della parte I-II della “Summa Theologiae” di san Tommaso d’Aquino.
L’Aquinate sembrerebbe concordare con papa Francesco, dal momento che egli afferma nel quarto articolo di questa questione che i principi morali generali possono ammettere delle eccezioni. Di conseguenza, il papa invita i lettori a integrare questo principio tomistico nel loro “discernimento pastorale.”
La questione 94 è stata citata spesso dai riformisti per sostenere la tesi che atti come l’adulterio non sono intrinsecamente cattivi. L’Aquinate afferma qui che, poiché le norme morali coinvolgono delle situazioni particolari, si applicano non universalmente ma solo in generale, e così possono ammettere alcune eccezioni. In questo senso siamo in grado di capire l’attrattiva di questo testo, a sostegno delle affermazioni della “Amoris laetitia”.
Tuttavia, l’argomentazione dell’Aquinate è molto più fine, e “Amoris laetitia” trascura di mettere a fuoco la distinzione decisiva che egli fa tra differenti tipi di norme morali.
Per l’Aquinate, le norme rientrano in due classificazioni generali. Ci sono norme morali negative che valgono “semper et ad semper”, sempre e ovunque senza eccezioni, perché escludono atti che sono “cattivi in se stessi e non possono diventare buoni” (Summa Theologiae, II-II, q. 33, art. 2).
Ma ci sono anche dei precetti morali positivi (come l’onorare i propri genitori) che valgono “semper sed non ad semper”, cioè, obbligano sempre, ma non in ogni circostanza.
Le norme considerate nella questione 94 (art. 4) indiscutibilmente cadono in quest’ultima categoria. L’esempio portato dall’Aquinate rende questo abbastanza chiaro. La norma positiva secondo cui si deve restituire ciò che è stato preso in prestito è soggetta ad alcune eccezioni dipendenti dalle circostanze. Così, delle armi affidate a un altro non dovrebbero essere restituite al loro proprietario se egli ha l’intenzione di usare quelle armi per combattere contro il suo paese.
L’Aquinate afferma spesso l’esistenza di assoluti morali specifici, quali le norme negative senza eccezioni che proibiscono sempre l’uccisione degli innocenti, il furto, la menzogna, l’adulterio, la fornicazione. In vari testi fa riferimento al male intrinseco di alcuni atti, specificato dal loro oggetto morale. Quando l’Aquinate si confronta con un commentatore aristotelico che dice che l’adulterio non è intrinsecamente un male, risponde: “Non dobbiamo essere d’accordo con il commentatore su questo punto, poiché uno non può commettere un adulterio a motivo di un qualsiasi bene” (De Malo, q. 15, a. 1, ad. 5). In un altro trattato egli descrive alcuni atti umani che “hanno una deformità inseparabilmente attaccata a loro, come la fornicazione, l’adulterio, e altri di questo tipo, che non possono essere compiuti moralmente in alcun modo” (Quaestiones quodlibetales, 9, q. 7, a. 2).
Quindi, il rimando di papa Francesco all’Aquinate nella “Amoris laetitia” non regge, perché nella questione 94 della “Summa” l’Aquinate si riferisce solo alle norme positive, e non alla norma negativa universalmente vincolante che vieta l’adulterio.
Se papa Francesco vuole affermare che le norme che vietano la soppressione di vite innocenti, la menzogna, l’adulterio e la fornicazione hanno delle eccezioni quando si applicano nel mezzo delle concrete complessità della vita, non può reclutare san Tommaso d’Aquino come un alleato.
Inoltre, una tale posizione va contro una tradizione cattolica di lunga data, che comprende i più grandi teologi della Chiesa come Agostino e Tommaso d’Aquino e si estende da Trento al Vaticano II.
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Richard A. Spinello è professore al Boston College e alla facoltà teologica del St. John’s Seminar di Boston. Il testo integrale di questo suo commento è apparso su “Crisis Magazine” il 10 maggio 2016:
> Does “Amoris laetitia” Retreat from Absolute Moral Norms?
Questo è il paragrafo della “Amoris laetitia” con l’impropria citazione di san Tommaso:
304. È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: “Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare” (Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4). È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione.
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5. Il cardinale Caffarra sul “magistero incerto” del capitolo ottavo di “Amoris laetitia”
Il capitolo ottavo della “Amoris laetitia”, oggettivamente, non è chiaro. Altrimenti come si spiegherebbe il “conflitto di interpretazioni” accesosi anche tra vescovi? Quando ciò accade, occorre verificare se vi siano altri testi del magistero più chiari, tenendo a mente un principio: in materia di dottrina della fede e di morale il magistero non può contraddirsi. Non si devono confondere contraddizione e sviluppo. Se dico S è P e poi dico S non è P, non è che abbia approfondito la prima affermazione. L’ho contraddetta.
“Amoris laetitia”, dunque, insegna o no che vi sia uno spazio di accesso ai sacramenti per i divorziati risposati?
No. Chi versa in uno stato di vita che oggettivamente contraddice il sacramento dell’eucaristia, non può accedervi. Come insegna il magistero precedente, possono invece accedervi coloro che, non potendo soddisfare l’obbligo della separazione (ad esempio a causa dell’educazione dei figli nati dalla nuova relazione), vivano in continenza. Questo punto è toccato dal papa in una nota, la n. 351. Ora, se il papa avesse voluto mutare il magistero precedente, che è chiarissimo, avrebbe avuto il dovere, e il dovere grave, di dirlo chiaramente ed espressamente. Non si può con una nota, e di incerto tenore, mutare la disciplina secolare della Chiesa. Sto applicando un principio interpretativo che in teologia è sempre stato ammesso. Il magistero incerto si interpreta in continuità con quello precedente.
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Questo commento è nell’intervista del cardinale Carlo Caffarra a “La Nuova Bussola Quotidiana” del 25 maggio 2016:
> Caffarra a tutto campo su matrimonio e famiglia
Fonte: www.chiesa.espressonline.it