Freud: un fallimento di enorme successo – di Lucetta Scaraffia

Ho incontrato Freud per la prima volta a 19 anni, agli albori della mia vita universitaria, nella biblioteca civica Sormani di Milano, perché l’esame di filosofia morale prevedeva la lettura dei Tre saggi sulla sessualità di Freud. Questa lettura fu per me sconvolgente: non solo per lo spregiudicato stile di descrizione di organi e di rapporti sessuali, ma soprattutto per la tesi che sottendeva, cioè che la repressione sessuale, in atto fin dall’infanzia, arrecasse danni psichici e provocasse nevrosi.

Freud offriva risposte a domande che io non mi ero mai posta. Anche il libro di Cantoni insisteva, se ben ricordo, sulla naturale libertà sessuale dei primitivi, contrapposta alla morale repressiva in cui noi occidentali di matrice cristiana eravamo costretti a vivere.

Non lo sapevo, ma mi ero scontrata, priva di ogni preparazione, con la rivoluzione che avrebbe in pochi anni cambiato tutte le nostre vite, nutrendo la rivolta studentesca del 1968 e la rivoluzione femminista: la rivoluzione sessuale.

Sono state infatti proprio le scienze umane — e in particolare psicologia/psicanalisi e antropologia — a fornire le giustificazioni teoriche per un cambiamento che era nell’aria da decenni, ma non si decideva a decollare realmente. E quei testi erano così autorevoli da essere messi in programma d’esame in quell’autunno del 1967.

Il politicamente corretto che ancora impera su questi argomenti impedisce di cogliere il fallimento delle promesse, la contraddittorietà degli assunti, la fallacia dei libri fondativi. Soprattutto la persistenza del mito della “naturalità” da riconquistare impedisce di vedere come il rapporto sessuale, sganciato dalla riproduzione, liberato da ogni regola che ne delimiti la funzione sociale, sia diventato un consumo come un altro.

La libertà di godere si confonde con la libertà di comprare, e il libero amore sollecita acquisti di biancheria intima, frequentazione di istituti di bellezza e palestre, turismo e serate in locali notturni, mentre il turismo sessuale è diventato uno dei principali business del mondo contemporaneo: sta a testimoniare, come la prostituzione a casa nostra, che la liberazione sessuale non ha mantenuto nessuna delle sue promesse di felicità.

Anzi, in questo modo ha aggravato lo sfruttamento fra esseri umani. Con risultati di peggioramento delle condizioni di vita, come lucidamente scrive lo scrittore francese Houellebecq: «Nelle nostre società, il sesso rappresenta un vero e proprio secondo sistema di differenziazione, del tutto indipendente dal denaro; e si comporta come un sistema di differenziazione altrettanto impietoso. Gli effetti di questi due sistemi sono del resto strettamente equivalenti. Così come il liberalismo economico senza freni, e per ragioni analoghe, il liberalismo sessuale produce dei fenomeni di pauperizzazione assoluta. Alcuni fanno l’amore ogni giorno; altri cinque o sei volte nella loro vita, o mai. Alcuni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. È ciò che si chiama “legge di mercato”.

In un sistema economico in cui il licenziamento è proibito, ognuno riesce più o meno a trovare il suo posto. In un sistema sessuale in cui l’adulterio è proibito, ognuno riesce più o meno a trovare il suo compagno di letto. In un sistema economico perfettamente liberale, alcuni accumulano fortune considerevoli; altri languono nella disoccupazione e nella miseria. In un sistema sessuale perfettamente liberale, alcuni hanno una vita erotica varia ed eccitante, altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine».

Ma queste cose non si possono dire a voce alta. Così come non si può dire che la richiesta di matrimonio e filiazione da parte dei gay non appartiene al regno dei diritti, cioè a quell’allargamento dei diritti dell’individuo che, nella nostra società, sembra segnare il cammino luminoso del progresso umano.

È invece da ascriversi alle conseguenze della rivoluzione sessuale, una rivoluzione fondata sull’utopia e travestita da teorie scientifiche false, una rivoluzione fallita, ma che è ancora così potente da imporre il silenzio sul suo fallimento.

  Lucetta Scaraffia