Ormai i rimproveri del Papa alla Curia non sorprendono più nessuno. Diciamo che hanno assunto un tono quasi rituale. Dalla lettura delle sue parole sembra che si sia scagliato contro eventuali resistenze alla riforma curiale. Ma questo può lasciare perplessi. Fino ad ora la riforma si è centrata sull’accorpamento di alcuni pontifici consigli e dicasteri, e nel varo della nuova Segreteria per le Comunicazioni.
Ma non sembra che nessuna di queste iniziative abbia suscitato particolari malumori.
E il progressivo spogliamento della Segreteria dell’Economia di alcune ampie prerogative che il Pontefice stesso le aveva assegnato è avvenuto con l’assenso del Pontefice stesso.
E anche lì non sembra che i principali interessati si siano incatenati ai cancelli di San Pietro. Chi è riuscito a manovrare per riavere i soldi e il potere che il primo Motu Proprio sembrava sottrarre è ben soddisfatto.
E Pell anche se si sente un po’ tradito, e forse un po’ ingenuo, per aver creduto alle esortazioni tipo “vada avanti senza guardare in faccia nessuno” provenienti da Alto Loco ha assorbito la botta da vecchio atleta australiano.
Allora forse lo sdegno del sovrano aveva altri motivi e bersagli.
Quello che si percepisce in Curia è diverso; e si tratta non di resistenza, ma di timore, scontento e di sentimenti che si collocano in un altro contesto.
Ci sono stati raccontati da fonte degna di fede diversi episodi. Ne riportiamo un paio, senza commenti.
Il primo riguarda le nomine vescovili. Si trattava qualche tempo fa di fare un vescovo, non in Italia. Il nunzio ha preparato la terna.
Un cardinale, capo di dicastero, forse lo stesso titolare della Congregazione per i Vescovi, durante l’assemblea ordinaria ha preso la parola, dicendo: il primo candidato indicato è ottimo, il secondo è buono. Ma vorrei mettere in guardia dal terzo, che conosco bene, da quando era seminarista, e che presenta problemi sia sul piano della dottrina che della morale, risponde poco ai criteri necessari.
Ma il terzo era amico di qualcuno; e un altro porporato, della cerchia al potere attualmente, si è scagliato contro il collega, accusandolo di scorrettezza. La riunione si è chiusa senza ulteriori decisioni.
Ma il giorno dopo il segretario personale del Pontefice si è presentato in Congregazione dicendo che la scelta era caduta sul terzo.
Un altro caso è decisamente più triste.
Un capo dicastero ha ricevuto l’ordine di sbarazzarsi di tre dei suoi impiegati (che lavorano in Vaticano da diversi lustri), senza spiegazioni.
Ha ricevuto le lettere ufficiali: “Per venerato incarico Le chiedo di voler dimettere…”. L’ordine era: rimandateli alla diocesi o alla famiglia religiosa di appartenenza. E’ rimasto molto perplesso, perché si trattava di ottimi preti, e di persone professionalmente fra le più capaci. Ha evitato di obbedire, e ha chiesto a più riprese udienza al Papa.
Ha dovuto attendere, perché per varie volte l’incontro è stato spostato. Infine è stato ricevuto. Ha detto: “Santità, ho ricevuto queste lettere, ma non ho fatto nulla, perché gli interessati sono fra i migliori del mio dicastero…che cosa hanno fatto? La risposta è stata: e io sono il papa, e non devo dare ragioni a nessuno delle mie decisioni. Ho deciso che devono andare via, e devono andare via”. Si è alzato, e gli ha porto la mano, a significare che l’udienza era finita.
Entro il 31 dicembre due dei tre lasceranno il dicastero in cui hanno lavorato per anni, senza sapere il perché. Per il terzo, a quanto pare, c’è stata una proroga.
Ma c’é un risvolto che se vero, come pare, é ancora più sgradevole. Uno dei due si esprimeva liberamente, forse troppo, su alcune decisioni del Papa. Qualcuno, molto amico di uno strettissimo collaboratore del Pontefice, ha ascoltato, e riferito. Il malcapitato ha ricevuto una telefonata molto dura dal Numero Uno. E poi il congedo.
Ma il gossip non era anatema, nel regno di papa Bergoglio?
Il goffo tentativo di inviare una commissione di inchiesta a un soggetto di diritto internazionale come l’Ordine di Malta, indipendente dalla Santa Sede, con cui si scambia ambasciatori, e che di conseguenza non può essere inquisito dall’esterno, è un altro sintomo della febbre autocratica che sembra pervadere il Vaticano.
Non c’è da stupirsi se il clima, dietro le Mura e nei Palazzi, non sia esattamente sereno. E c’è da chiedersi quale credito dare a tutto questo sfanfarare sulla misericordia.
Fonte: Stilum Curiae