Francesco e quel colloquio con Scalfari – di Antonio Socci

C’è confusione e smarrimento, in alcune aree del cattolicesimo, per i primi mesi di papa Francesco. E c’è chi – lefebvriano più o meno confesso – soprattutto tramite la rete soffia sul fuoco di questo malessere, per alimentare il dissenso e per amplificare i dubbi, delegittimando il papa. Tutto fa brodo per attaccare Francesco, perfino il colore delle scarpe o il fatto che dica “Buongiorno” e “Buon pranzo”. Ogni inezia viene guatata col sospetto di eterodossia e di infedeltà alla tradizione.

Ma degli atti ufficiali del suo magistero se ne infischiamo. Nemmeno considerano il documento più importante che finora ha firmato, la sua prima enciclica, la “Lumen fidei”, dove fa completamente sua la meditazione sulla fede di papa Benedetto. E lo scrive apertamente.

Così pure snobbano il suo magistero quotidiano. Per esempio anche in questi giorni più volte ha esaltato la famiglia e il matrimonio e in una serie di altri interventi ha ribadito l’insegnamento della Chiesa sulla vita, dal suo inizio alla sua fine naturale.

Inoltre ha fatto pubblicare dal Prefetto dell’ex S. Uffizio un documento sull’accesso ai sacramenti dei divorziati-risposati che ribadisce tutto il magistero cattolico di sempre (documento che deve aver deluso non poco i modernisti).

Ma tutto questo non è considerato. Mentre il Papa da settimane viene “impiccato” (moralmente) a una battuta attribuitagli da Eugenio Scalfari nel corso di un colloquio privato che poi è stato pubblicato sulla “Repubblica” il 1° ottobre. Si tratta di quelle due righe sulla coscienza, il bene e il male.

 

DUE RIGHE ESPLOSIVE

Da settimane nella rete (e in qualche giornale) ribolle il malcontento di certi cattolici che, scandalizzati, sollevano sospetti sul Papa per quelle due righe.

Nessuno di loro sembra porsi la domanda più ovvia: papa Francesco pensa veramente che ognuno possa decidere da solo cosa è bene e cosa è male e autogiustificarsi così?

Possibile che il Papa professi un’idea per la quale non avrebbe più alcun senso né essere cristiani, né credere in Dio (tantomeno fare il papa)?

E’ evidente che si tratta di una colossale baggianata. Qualunque persona in buonafede si rende conto facilmente che è assurdo aver alimentato tanta confusione per quelle due righe.

Se poi qualcuno, più sospettoso, continuasse ad vere dei dubbi gli basterebbe, per chiarirsi le idee, ascoltare il magistero quotidiano di Francesco.

Anche venerdì scorso, in quella splendida catechesi sulla confessione, ha detto l’esatto opposto; e la confessione – com’è noto – è uno dei suoi temi preferiti, su cui torna continuamente.

Un tema tipico della tradizione cattolica e ben poco frequentato da modernisti e progressisti. Come la devozione alla Madonna e la lotta alla corruzione del diavolo, su cui Francesco torna spesso.

Ma chi sta col “randello” del pregiudizio in mano, con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo, non sente ragioni, si attacca a ogni pretesto ed è sempre pronto a colpire.

Il fondamentalista non riflette su come quella frase sia stata veramente detta dal Papa e magari su com’è stata capita e riportata da Scalfari, non coglie la circostanza colloquiale, né il fatto che Bergoglio parla in una lingua che non è la sua e che non padroneggia alla perfezione.

Infine tutto andrebbe valutato alla luce del vero e costante magistero ufficiale di papa Francesco. Il “mestiere” del Papa è uno dei più difficili e delicati al mondo, tanto più oggi sotto i costanti riflettori dei media.

 

RETROSCENA

Merita comprensione chi, abituato a frequentare le periferie di Buenos Aires come un parroco che porta conforto ai più derelitti, si è trovato d’improvviso sotto i riflettori del mondo a ricoprire il ministero di Vicario di Cristo.

Concediamogli almeno il tempo di prendere le misure. Bergoglio viene dall’Argentina e non conosce né la Curia né l’Italia, tantomeno i  media.

E’ un generoso, uno che va verso l’altro desideroso di abbracciarlo, che cerca di partire dai semi di verità che trova nell’interlocutore e da lì fare dei passi verso la luce di Cristo.

Non so cosa il papa sapesse di Scalfari e come si sia svolto quell’incontro. Però una volta che il malinteso si è prodotto il papa ha cercato di evitare equivoci.

A padre Lombardi è stato detto di far presente che quell’intervista non era stata da lui rivista, è uscita dalla penna di Scalfari dopo una chiacchierata informale. Soprattutto – come padre Lombardi ha sottolineato – essa non fa parte in alcun modo del magistero di papa Francesco.

Ma anche in questo caso ci sono i “troppo zelanti” che l’indomani, il 2 ottobre, hanno rilanciato quell’intervista addirittura sull’Osservatore romano.

Pare che il papa se ne sia rammaricato e che il 4 ottobre, durante la visita ad Assisi, se ne sia lamentato col direttore Gian Maria Vian. C’è anche un video che probabilmente immortala proprio la protesta di papa Francesco per quell’improvvida iniziativa.

Il Papa si è reso conto che è facile essere strumentalizzato dai media.

Per questo un pezzo da novanta della Segreteria di Stato, il monsignore americano Peter Brian Wells, il 18 ottobre scorso, in un evento pubblico ha invitato ad attingere direttamente ai testi del magistero del Pontefice perché “le parole di papa Francesco sono spesso diverse da quelle che gli vengono attribuite da certi organi di stampa”.

Certo, in Vaticano c’è un problema di comunicazione. Ma non da oggi: anche Benedetto XVI incappò nel doloroso malinteso di Ratisbona. Dipende molto dai media, da loro superficialità, approssimazioni o dalla malafede del pregiudizio. Ma non è tutta colpa dei media.

I cristiani – in primis i pastori – di fronte all’epoca dei media onnipresenti devono far tesoro dell’esortazione di Gesù, il quale mandando i suoi apostoli nel mondo prescrive loro di essere “candidi come colombe”, ma anche “prudenti come serpenti” (Mt 10,16).

Oggi poi alla forzatura di certi media che attribuiscono arbitrariamente a Francesco un profilo “sovversivo”, fanno da sponda – come dicevo – certi fondamentalisti che alimentano all’interno della cristianità la stessa idea. Il disorientamento che si produce così non va sottovalutato.

Anche un sociologo attento come Massimo Introvigne ha lanciato l’allarme, mettendo in guardia dal rischio di imboccare la via che porta allo scisma.

Perché la sofferenza è manifestata soprattutto da buoni cattolici ed ecclesiastici finora fedeli al papa che dicono di sentirsi orfani di Benedetto XVI.

 

IL VERO RATZINGER

Fedeli che però, spesso, hanno male interpretato il magistero di papa Benedetto, si son sentiti una minoranza dalla parte della ragione, contro una maggioranza dalla parte del torto.

Sia pure in buona fede ne hanno dato un’interpretazione politica, quella che divide anche la Chiesa fra progressisti e conservatori. Non capendo che Ratzinger, come papa Francesco, trascendeva del tutto questa logica.

Sono buoni cattolici che hanno ideologizzato arbitrariamente certi sacrosanti contenuti del magistero di Ratzinger, come le cose importanti e preziose che egli ha insegnando sulla liturgia.

Papa Francesco ha detto che non ha nessuna intenzione di cancellare il “motu proprio” di papa Benedetto che liberalizza la liturgia tradizionale, quindi dovrebbe essere esente dalle loro critiche, ma viene bersagliato egualmente, accusato di dare poca importanza alla liturgia, fino a contestazioni ridicole, come quella di chi lo rimprovera di non portare le scarpe rosse che sarebbero simbolo dei piedi piagati di Cristo crocifisso.

Questi sedicenti ratzingeriani infine dimenticano che papa Benedetto ha proclamato fin dall’inizio la sua affettuosa sequela al nuovo papa e ha ricordato a tutti – alla vigilia del Conclave – il fondamento del cattolicesimo: “Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura”.

Se non si crede questo, come ci si può dire cattolici?

Antonio Socci

Da “Libero”, 27 ottobre 2013

 

Fonte: il blog di Antonio Socci