Ormai si contano solo i numeri della recessione in atto e le previsioni diventano sempre più cupe. Dopo il Fmi, dopo l’Ocse, dopo l’Istat, dopo le previsioni fatte dallo stesso nostro governo (che ad aprile aveva sbagliato tutti i calcoli) nell’ultimo aggiornamento di settembre, che cosa resta da dire? L’impressione è che il famoso “fantasma della povertà” sia ormai a portata di mano. Guardiamo per un attimo la giornata di ieri.
I mercati infilano il terzo giorno di ribasso (questa volta limitato), ma intanto lo spread, che era una battaglia che doveva essere conclusa dopo gli interventi della Bce di Mario Draghi, ricomincia a risalire, ritornando sopra la quota dei 360 punti. Poi, come se non bastasse, arrivano i dati della produzione industriale fatti dall’Istat. Se la Germania, nel mese di settembre, è andata sotto dell’1,8%, l’Italia nello stesso mese tocca il -1,5%. Commento impietoso dell’Istat per l’Italia: sull’anno si registra il tredicesimo calo consecutivo, un -4,8%.
Cali significativi sono registrabili in tutti i settori della produzione industriale con punte che, in molti casi, fanno impressione, Per confortarci al contrario, l’Ocse fa anche uno studio con delle proiezioni per i prossimi cinquanta anni. Secondo questo studio, il Pil italiano dovrebbe crescere dell’1,4% all’anno, in media, appunto nei prossimi 50 anni, segnando in questo modo uno dei ritmi più lenti tra i Paesi industrializzati.
Ma peggio di noi faranno la Germania (ohibò!) e il Giappone, con una crescita rispettivamente dell’1,1% e dell’1,3%. L’invecchiamento della popolazione sarebbe una delle cause principali di questo trend dove, appunto, la ricchezza e il benessere sembrano quasi al tramonto.
Lasciamo pur perdere le previsioni a cinquant’anni, riguardano i nostri figli e i nostri nipotini. Forse saranno più intelligenti di noi e potrebbero avere una classe dirigente, anche quella finanziaria, più accorta di quella che abbiamo avuto noi. Concentriamoci un attimo sull’andamento attuale dell’economia. È un’economia in crisi, in recessione, in profonda recessione, nonostante tutte le manovre del “governo dei tecnici” e nonostante tutte le acrobazie dei famosi summit europei. Dove si possano vedere spiragli di luce in fondo al tunnel è sempre meno chiaro. C’è ancora qualcuno che può affermare che una semplice “politica di rigore” sia veramente la cura migliore per uscire da questa crisi ormai lunghissima e che la signora Angela Merkel prevede che durerà ancora per cinque anni ?
Francesco Forte è un grande economista, un docente di Scienza delle Finanze ed è stato anche un ministro delle Finanze. Dice: «È possibile attuare una politica di rigore. In linea di principio una politica di rigore non è sbagliata. Si può fare però una politica di rigore fiscale se è accompagnata da una politica di espansione monetaria. Invece, nel caso nostro, si fa, per un diktat dei tedeschi, un rigore assurdo su tutta la linea, sia quello fiscale che quello monetario. Il risultato è che la carenza monetaria genera solamente deflazione, quello appunto che stiamo vivendo in questo periodo».
Ma si fa fatica a sentire queste cose da parte del nostro presidente del Consiglio.
Appunto. È proprio questo che non si capisce bene. Perché non lo dica chiaramente durante gli incontri europei, perché non presenti i conti ai tedeschi. Anche perché bisogna distinguere l’Italia da altri paesi europei, come la Spagna, la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda. Non tutti i paesi hanno bisogno di ridurre artificiosamente la domanda: l’Italia di certo non ne ha proprio bisogno.
C’è chi pensa che il governo non capisca oppure che lo capisca troppo bene.
La mia sensazione è che Monti non percepisca bene questo fatto. Non mi sembra che abbia la percezione esatta di questo problema. In più, nonostante la sua credibilità internazionale, forse non ha la forza di ribattere ai tedeschi. Oppure è un po’ troppo ottimista. Faccio solamente notare che da quando è al governo ha sbagliato tutte le previsioni.
Si può anche aggiungere che le cosiddette liberalizzazioni non sono state affatto convincenti.
Certo. Hanno irrigidito tutto, soprattutto il mercato del lavoro, con un ministro che ha fatto molti errori. Si aggiunga l’ipoteca della sinistra su questo governo, il peso della Cgil. Alla fine il bilancio diventa veramente negativo e imbarazzante. Se oggi risale lo spread significa anche che i mercati pensano che le elezioni le vincerà la sinistra, che difficilmente potrà pure continuare nella politica del rigore.
Il problema è che la situazione rischia di diventare pericolosa anche sul piano sociale, per non parlare della confusione politica.
La situazione è veramente pericolosa e non so se ci sarà un’inversione di rotta prima di un anno. Non è impossibile che, in sede europea, dopo un simile periodo di deflazione, si possa arrivare a una sorta di confronto con i tedeschi dove si “mettono le carte in tavola”. Si può anche avere la forza di minacciare un’uscita dall’euro a queste condizioni di rigore fiscale unito al rigore monetario. Forse i tedeschi a quel punto possono anche ripensarci.
Ma intanto l’Italia deve andare a votare, con la prospettiva che dalle urne non esca una maggioranza.
Il rischio c’è ed è un rischio molto forte. Difficile a questo punto fare delle previsioni sul futuro della democrazia italiana.
(Gianluigi Da Rold)
Fonte: ilsussidiario.net