Perché la Madonna, per metterci in guardia contro i perversi disegni satanici che minacciano l’umanità e offrirci gli strumenti più efficaci per vincere il male, ha scelto di apparire proprio a Fatima, in Portogallo, all’inizio di un periodo storico travagliato come il XX secolo? Per giunta, nel cruciale anno 1917 – quando tre pastorelli affermano che la beata Vergine si è loro manifestata più volte visibilmente – in quel Paese spira gagliardo il vento dell’ateismo e del più accanito anticlericalismo, in odio alla fede.
Terra di antica evangelizzazione ma dalla storia sofferta, in Portogallo la fede cristiana ha sempre avuto un ruolo decisivo: dalla crociata contro il Marocco nel XIV secolo alla reazione contro le persecuzioni anticattoliche dei primi decenni del Novecento.
Il fatto che Maria abbia individuato il Portogallo come il luogo privilegiato per manifestare la sua protezione materna verso l’umanità, ha una spiegazione. Si trova nelle parole riportate dalla veggente Lucia dos Santos nella sua quarta Memoria e che sarebbero state pronunciate dalla Vergine: «In Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede». Quasi fosse uno scrigno prezioso.
A cavallo tra XIX e XX secolo, privato del suo vasto impero coloniale e costretto a una umiliante dipendenza economica dall’impero britannico, il Portogallo conosce un lungo periodo d’instabilità politica e civile, che culmina nel 1910. La rivolta congiunta dell’esercito e della marina rovescia la monarchia.
Il 5 ottobre viene proclamata la repubblica, e dopo la vittoria nel 1911 del Partito democratico si assesta al potere una classe politica composta principalmente da massoni di alto rango, con una marcata impronta anticlericale e una manifesta ostilità verso la Chiesa cattolica.
L’avversione verso la presenza cristiana data in realtà già dalla fine del XVIII secolo, quando le idee illuministe contagiano anche il Portogallo, al punto che il primo ministro di allora, il marchese di Pombal – così come avevano fatto altri regimi assolutistici e “illuminati” -, prende nel 1759 la drastica decisione di cacciare i Gesuiti da tutto l’impero. In ritardo rispetto alle rivoluzioni dell’Ottocento, solo nei primi anni del XX secolo il Portogallo si adegua pienamente alle dominanti ideologie repubblicane e laiciste anticristiane.
Il fascino dell’esempio inglese e americano porta un certo numero d’intellettuali, uomini di cultura e politici, la classe colta del Paese, a convincersi che la causa dell’arretratezza dei Paesi latini – Portogallo in prima fila – sia da ricercarsi in quello che vien definito con disprezzo “papismo”, a indicare il principio dell’autorità assoluta del Papa ma anche, per estensione, la fedeltà allo stesso Pontefice e la sequela dei precetti della Chiesa cattolica.
A causa dell’instabilità politica e delle lotte intestine tra i partiti, agli inizi del XX secolo la situazione in Portogallo è parecchio agitata, pericolosamente aggravata dalla recente entrata in guerra.
La devastante crisi economica produce disordini, caos e anarchia: scioperi, disoccupazione, violenza nelle strade, omicidi e miseria dilagano, specialmente nei grandi e affollati sobborghi urbani.
Senza più le colonie, il Paese è povero di risorse, le casse dello Stato languono. Il nuovo regime laico-massonico cerca di combattere la crisi mandando gli uomini al massacro al fronte a fianco degli inglesi, sperando in tal modo di ricevere un riconoscimento dagli alleati britannici in caso di vittoria.
Alla ricerca di un capro espiatorio, tutta la colpa della situazione che si è creata viene scaricata, come abbiamo visto, sulla Chiesa cattolica e i suoi fedeli: sono loro ad aver causato l’arretratezza culturale, civile, sociale ed economica in cui versa la nazione portoghese. Il governo repubblicano, nella sua opera persecutoria. non fa nulla per impedire, anzi incoraggia il saccheggio delle chiese, l’attacco ai conventi ancora aperti, la persecuzione dei religiosi.
Per “laicizzare” il Portogallo a marce forzate passano una serie di leggi e decreti che hanno lo scopo di distruggere la moralità e la cultura tradizionale del popolo: sono introdotti il divorzio e la cremazione dei defunti (procedura che la Chiesa allora non approvava).
Gli stessi cimiteri sono secolarizzati, con la proibizione di simboli religiosi sulle nuove tombe, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole è soppresso ed è vietato prendere i voti per diventare religiosi.
A preti e vescovi viene proibito l’uso dell’abito clericale ed è vietata la celebrazione pubblica delle feste religiose.
Persino il suono delle campane delle chiese è soggetto a precise restrizioni. I seminari non vengono chiusi, ma il governo si riserva la nomina degli insegnanti e il controllo dei programmi di studio al loro interno.
La stampa cattolica è sottoposta a censura e ridotta a pochi settimanali pubblicati in provincia.
Le misure restrittive, già pesanti, vengono drasticamente inasprite con la Legge di Separazione tra Stato e Chiesa promulgata nel 1911. Il primo ministro Alfonso Costa, intervenendo il 26 marzo 1911 al Congresso del Libero Pensiero (in pratica una seduta generale della massoneria), si dice sicuro che, grazie alle nuove norme, in un paio di generazioni il cattolicesimo («causa principale della triste situazione in cui si dibatte il Paese») non potrà che scomparire per sempre.
Empio auspicio, che verrà clamorosamente smentito. Il Papa di allora, Pio X (Giuseppe Sarto), futuro santo, dopo avere cercato a lungo con «pazienza e moderazione» un accordo ragionevole con il governo lusitano perché desse «soddisfazione alla Chiesa riguardo alle offese perpetrate», riconosce che non è più possibile «sopportare con rassegnazione e lasciar correre nel silenzio una ferita così grave».
Perciò, nell’enciclica Iamdudum (Già da tempo), datata 24 maggio 1911, festa di Maria Ausiliatrice, riferendosi ai «nuovi governanti del Portogallo», denuncia l’«odio implacabile verso la religione cattolica.
Alla ferma denuncia di Pio X si aggiunge pochi anni dopo, decisiva, l’irruzione inattesa e sorprendente sulla scena portoghese delle apparizioni di Fatima, che ridaranno nuovo slancio a una religiosità indebolita.
Ancor oggi, in un’Europa fortemente laicizzata e dimentica delle proprie radici cristiane, in Portogallo la fede cattolica “resiste”.
Secondo gli ultimi dati disponibili si dichiarano cattolici 88 portoghesi su 100 (da noi, secondo il rapporto Eurispes 2016, si dichiarano cattolici 71 italiani su 100; ma di questi, solo il 20 per cento va regolarmente a messa).
La stampa di regime aizza di continuo il popolino contro i preti. Si arriva addirittura al punto che gli studenti delle scuole (statali, perché quelle “dei preti” sono state tutte chiuse) vengono fatti sfilare portando cartelli che incitano all’odio, con scritte del tipo «Né Dio né religione!».
Gli slogan che, con qualche anno di anticipo, esprimeranno il volto della modernità. Pio X protesta vivacemente, ma il governo per dispetto stringe ancora di più la morsa sulla Chiesa. Quasi tutti i vescovi finiscono in esilio e molti sacerdoti e religiosi sono arrestati.
I seminari si svuotano. Lo scarso clero rimasto in circolazione, ridotto in miseria e praticamente imbavagliato, è irriso e vilipeso dai militanti dell’ideologia al potere. Ciò accade soprattutto negli agglomerati urbani.
In campagna la situazione è diversa. Proprio il sottosviluppo e la cronica scarsità di vie e mezzi di comunicazione efficaci mette al riparo i paesini e i villaggi dalla virulenza ideologica laicista.
Qui alla povertà si è abituati e pochi sono in grado di leggere i giornali: lo Stato è un’entità astratta e lontana, poco attenta, come invece dovrebbe, al bene comune, e che porta via i giovani dai campi, dalle reti da pesca e dalle greggi, per inviarli a morire in prima linea. Peraltro, come sempre è la cultura contadina con le sue tradizioni secolari a sbarrare la strada alla scristianizzazione.
Così, in queste drammatiche e desolanti circostanze, forse il punto più basso della millenaria storia lusitana, un numero crescente di portoghesi comincia a rendersi conto che l’unica salvezza possibile sta nella misericordia divina. Memori di vivere nella «Terra Santa di Maria», ci si rivolge con fiducia alla Vergine Immacolata, “sterminatrice” di tutte le eresie, implorandola di salvare il Portogallo.
La richiesta massiccia di aiuto avviene attraverso quella che è ricordata come la Crociata del rosario, la cui recita è indetta in tutto il Paese.
La Crociata trova un terreno fertile, perché tale devozione era già ampiamente radicata nel popolo: cento anni fa a stento si sarebbe trovata una famiglia, in ogni paese o borgata, che non recitasse la Corona tutti i giorni, spesso riunendosi con i vicini.
L’invocazione va a segno: la Vergine “risponde” apparendo nel 1917 a Fatima; preceduta l’anno prima, il 1916, dal suo araldo, l’Angelo del Portogallo (così si presentò ai tre pastorelli).
La frase profetica «in Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede» è confermata dai fatti. L’élite di matrice massonica cade nel 1926.
Il Paese iberico, a lungo sospinto verso una deriva anticlericale, riacquista la sua devozione alla Vergine; il 13 maggio 1931 i vescovi consacrano al Cuore Immacolato la loro nazione, rinnovando poi la consacrazione nel 1938 e nel 1946. Grazie al Cuore Immacolato di Maria il Portogallo è miracolosamente preservato dall’instaurazione di un regime comunista, come accade alla vicina Spagna, e viene risparmiato dai massacri della Seconda guerra mondiale.
Dopo il drastico ridimensionamento dell’egemonia massonica, il Portogallo recupera una discreta stabilità economica e politica. Conosce un periodo di rinascita del cattolicesimo: a milioni si convertono, con uno straordinario rifiorire delle vocazioni sacerdotali e degli istituti religiosi.
Il Paese mantiene la fede, proprio come la Madonna aveva promesso. Ma da questa profezia si può trarre anche un’altra, amara considerazione: se la Vergine fa speciale menzione del fatto che in Portogallo «si conserverà il dogma della fede», significa implicitamente che la fede in altre parti del mondo sta scomparendo.
E in effetti questo è accaduto progressivamente in tutto il XX secolo, che ha visto la decisa affermazione di una cultura relativista, cioè la visione del mondo che nega l’esistenza di verità assolute e si oppone a ogni verità di fede in cui la Chiesa invita a credere.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana