Marthe Robin nacque a Châteauneuf-de-Galaure (Drôme), nel sud-est della Francia, il 13 marzo 1902, era sestogenita di Joseph Robin e Amélie-Célestine Chosson, modesti contadini, che la fecero battezzare il 5 aprile a Saint-Bonnet-de-Galaure. La sua vita, fino ai 16 anni, scorre serena nella campagna. Ma, nel mese di novembre del 1918, mentre erano in atto i festeggiamenti per l’armistizio tra Francia e Germania, Marthe cadde a terra e non riuscì più ad alzarsi: fu l’inizio della sua misteriosa patologia, che venne diagnosticata come encefalite letargica, ma alcuni la definiranno «coma mistico».
Il coma durò fino al marzo-aprile del 1921, poi Marthe tornò lentamente a camminare, a lavorare all’uncinetto e, con l’aiuto del bastone, a sorvegliare gli animali della fattoria. Dopo qualche mese, tornò a peggiorare, perdendo la deambulazione, accusando forti dolori alla schiena e avendo pesanti problemi alla vista.
Dal 3 ottobre del 1926 si aggrava: ha continue emorragie e non ritiene più nulla nello stomaco. Riceve l’estrema unzione. Ma, proprio quando le speranze sembravano ormai finite, Marthe riceve l’apparizione di santa Teresina di Lisieux che le rivela di non essere giunta alla fine della sua vita, ma di dover assumere una precisa missione nel mondo.
Da questo momento Marthe Robin diventa pegno d’amore immolato per Gesù. Dal 1928 la paralisi colpisce tutto il corpo. Per 50 anni consecutivi non mangerà più e non berrà più; le verranno inumidite le labbra con acqua o caffè e nutrirà soltanto più l’anima con l’Eucaristia; tuttavia l’Ostia non veniva inghiottita, ma spariva letteralmente e inspiegabilmente tra le sue labbra e molte persone furono testimoni di questo inspiegabile fenomeno.
Il 2 febbraio 1929 perse anche l’uso delle mani e dovette imparare a scrivere servendosi della bocca.
Su di lei il filosofo cattolico Jean Guitton, accademico di Francia, scrisse il suo ultimo libro, Ritratto di Marthe Robin. Una mistica del nostro tempo (Paoline). Nell’Introduzione del libro di Jean-Jacques Antier (San Paolo) Guitton scrive: «Rassomigliava a una bambina, perfino nella voce. Era gaia più che gioiosa, la sua voce esile e bassa, il suo canto quello di un uccello. I suoi modi esprimevano l’essenza indefinibile della poesia».
Inoltre: «Non aveva nessun talento, salvo, nella sua giovinezza, quello del ricamo. Al di là di qualsiasi cultura, al di là della povertà, si nutriva dell’aria, del tempo e dell’eternità. Perfino al di là del dolore. E tuttavia, subito presente a tutto e a tutti». «Mia moglie diceva: ”Altrove non ci sono che problemi, ma da lei non ci sono che soluzioni, perché si mette allo stesso tempo al centro del cielo e al centro della terra».
Nel 1930 Marthe vide Cristo, che le chiese: «Vuoi essere come me? ». Ed ella rispose: «Il mio io sei tu. La mia vita sia la riproduzione perfetta e incessante della tua vita».
Il 1° ottobre, festa di santa Teresina di Lisieux, fu come una preparazione della passione in un vero tormento di sofferenze, di cui lascerà questa testimonianza: «Quanto mi avete fatto male. mio Dio! Vi amo! Abbiate pietà di me! ho male nell’anima, nel cuore, nel corpo; la mia povera testa sembra rotta.
Non so più niente, se non soffrire. Sento in me una tale stanchezza; il dolore grida così forte. E non c’è nessuno, nessuno per aiutarmi! Sono all’estremo delle mie forze. Non finirà dunque mai il dolore quaggiù? Quando ha straziato il corpo e il cuore, strazia l’anima.
Oh, mio Amore crocifisso! Voi m’insegnate giorno per giorno a dimenticarmi. Mio Dio, vi amo; abbiate pietà di me! Quando verrò, Dio mio, nella terra dei viventi? Gesù, sostenetemi!
Ma io so. Per vincere bisogna saper soffrire. Il dolore è la leva che solleva la terra. [Perchè] il Dio che affligge è anche il Dio che consola.
Non è un peso, ma piuttosto un altare. Niente è più bello davanti a Dio che l’oblazione di se stessi quando si soffre.
Con tutta la mia anima dolente, con tutto il mio cuore straziato, il mio corpo torturato dalle sofferenze, gli occhi accecati dalle lacrime, bacio amorosamente la vostra mano, mio Dio».
Sempre nell’ottobre del 1930 Marthe riceve una nuova visione, questa volta di Cristo crocifisso. Egli prende le sue braccia paralizzate e gliele apre.
Poi lei sente di nuovo: «Marthe, vuoi essere come me?». «Allora sentii un fuoco bruciante, talora esteriore, ma soprattutto interiore. Era un fuoco che usciva da Gesù. Esteriormente, lo vedevo come una luce che mi bruciava.
Gesù mi chiese prima di tutto di offrire le mie mani. Mi sembrò che un dardo uscisse dal suo cuore e si dividesse in due raggi per trapassare uno la mano destra e l’altro la sinistra.
Ma, nello stesso tempo, le mie mani erano trapassate, per così dire, dall’interno.
Gesù m’invitò ancora a offrire i miei piedi. Lo feci all’istante, come, come per le mani, mettendo le gambe come Gesù sulla croce. Restarono in parte piegate, come quelle di Gesù.
Come per le mani, un dardo, che partiva dal cuore di Gesù, dardo di fuoco dello stesso colore che per le mani, si divise in due a una certa distanza dal cuore di Gesù, pur restando unico nello sprigionarsi dal cuore.
Quindi questo dardo era unico verso il cuore di Gesù e si divideva per colpire e attraversare nello stesso tempo i due piedi. La durata non si può precisare. Questo si verificò senza interruzioni ».
In seguito riceverà anche le ferite della corona di spine.
Da quel giorno Marthe rivivrà ogni venerdì la passione di Gesù.
Il Signore promise di inviarle un sacerdote illuminato per aiutarla a realizzare la missione alla quale era destinata: creare dei luoghi di preghiera e carità destinati a diffondersi in tutto il mondo.
Venne, tra gli altri, a visitarla il giovane abate Finet, che Marthe riconosce per averlo visto nelle sue visioni.
Insieme a lui realizzerà i Foyers de charité, oggi presenti in tutto il mondo.
Marthe aveva il dono del consiglio e quello di leggere nei cuori, grazie ai quali aiutò molte persone, laici e religiosi, a risolvere difficili questioni spirituali. Diede importanti consigli al Presidente de Gaulle, a cardinali, vescovi, filosofi e scienziati. Marthe riuscì a curare, attraverso l’intercessione della Madonna, molte persone.
Quando ricevette le stigmate la gente iniziò ad arrivare numerosa da ogni parte della Francia per vederla. Talvolta incontrava più di 60 persone al giorno e nonostante le sue sofferenze manteneva la sua abituale giovialità e il suo sorriso mentre ascoltava, rasserenava, convertiva.
Riceveva lettere da tutto il mondo, erano tutte richieste di aiuto da parte di persone di ogni età. Nel 1940, dopo un’offerta fatta al Signore, autorizzata da Padre Finet, sopraggiunse una quasi totale cecità, unita a una ipersensibilità alla luce che obbligava Marthe a vivere al buio. «Gesù mi ha chiesto gli occhi», diceva la mistica.
Jean Guitton andò da lei ben quaranta volte. Rimase colpito da questa umile contadina che malgrado non fosse mai uscita dalla sua fattoria sapeva illuminare e aiutare gente semplice e dotti uomini di cultura e di scienza.
Marthe aveva il dono della veggenza, conosceva le cose lontane e quelle future, aveva una infinita capacità di donare amore e prendere su di sé i mali altrui.
Vide per decenni, ogni settimana, la Madonna e tutti i venerdì, prima della fine della passione di Gesù che viveva sulla sua carne, la Santa Vergine le appariva ai piedi del divano. Inoltre versava lacrime di sangue ogni notte, una moltiplicazione misteriosa che accompagnerà la martire fino alla fine dei suoi giorni.
La morte la colse, completamente sola, il 6 febbraio 1981, il primo venerdì del mese. Venne trovata sdraiata per terra, in mezzo a tanti oggetti sparsi.
Dopo sette anni dalla sua morte iniziò il suo processo di beatificazione, conclusosi a livello diocesano nel 1996.
Cristina Siccardi
Fonte: ilTimone