Sì, certo, la Costituzione resta sempre la più bella del mondo, però sai com’è, col tempo invecchia, presenta qualche ruga, e allora un ritocchino non guasta, un po’ di maquillage ma anche un colpo di bisturi ci vogliono, perché quella bellissima Costituzione dopo tanti anni ha perso smalto e giovinezza, anzi non è più bella, sembra proprio una bruttina, una bruttina stagionata.
Così, con un contorcimento linguistico da applausi, Roberto Benigni in una sola intervista riesce a dire che la Costituzione è bellissima ma va modificata, che è stupenda, ineguagliabile, perfetta e perciò deve essere stravolta, che le sue forme saranno tanto più floride quanto più verranno soggette alle riforme.
Credi che abbia preso un colpo di sole e invece poi capisci che la sua retromarcia mista a supercazzola ha solo una ragione: anche Benigni ha aderito al Partito della Nazione del suo conterraneo Matteo.
Davanti al potente di turno anche i criteri estetici del comico d’improvviso vacillano: ciò che era fantastico diventa perfettibile, ciò che era scolpito nella pietra si può scalfire e ritoccare. Il Giudizio sul Bello – che pure secondo Kant era un a priori – si adegua al Giudizio e alla Volontà del capo di turno. E così anche l’immortale Costituzione può essere rottamata…
Perfino il linguaggio del comico, in questo capovolgimento di toni e temi, subisce contraccolpi. Quello che era un frasario deciso, netto, un “sì sì, no no” di evangelica memoria, diventa d’incanto un “sì ma anche”, un “no ma pure si”, un “sì per dire no” e “no per dire sì”.
Così, parlando del referendum sulla riforma costituzionale, Benigni riesce in una risposta a dire due volte sì due volte no, con un capolavoro di confusione retorica: “Col cuore mi viene da scegliere il no, ma con la mente scelgo il sì. E anche se capisco le ragioni di coloro che scelgono il no, voterò il sì”.
L’uomo che strillava contro il potere, che sbraitava contro il Berlusconi di turno, a suon di risata e satira e aveva la forza, come tutti gli istrioni “pazzi”, di gridare “Il re è nudo”, adesso è diventato un giullare di corte, che fa il burlone e racconta storie solo per compiacere il sovrano.
Saltimbanco normalizzato, privato della sua carica eversiva e trasformato nel cantore di colui che avrebbe dovuto dileggiare. Dalla Satira all’Apologia, con tanto di Epitaffio sulle sue capacità comiche.
Aveva già smesso di far ridere quando, preso da narcisismo e satira ad personam, si era accanito nei suoi monologhi sempre contro Uno, Lui, il Capo, il Grande Nemico: Berlusconi. Se ti fai prendere dall’ossessione, non sei più divertente. Il monologo si fa monotono.
Ora che canta le sorti magnifiche e progressive del governo Renzi e delle sue riforme fa addirittura pena e strappa una lacrima di commiserazione. E dicevano fosse il Comico più Bravo del mondo…
Fonte: L’Intraprendente