Avete presente la foto della scrutatrice milanese che si volta dall’altra parte e si copre la frangettina per fingere ripugnanza al Cavaliere che infila la scheda nell’urna? Ecco, come da copione Saviano (quello che twitta troppo in fretta: «Per ora prevale la certezza: Berlusconi è stato sconfitto»), il sorprendente risultato delle elezioni italiane è tutto in quell’istantanea.
Da una parte le bellurie della ragazzina supponente, che ha in tasca Repubblica e in testa le cose più belle del mondo (il we can di Obama, i matrimoni e le adozioni gay di Elton John, la pulizia nella Chiesa secondo il cardinale Martini, i finanziamenti alla scuola pubblica di rito Cgil, i romanzi di Erri De Luca, i social network della primavera araba…).
Dall’altra un italiano ricco sfondato che porta la sua fortuna tra la gente, ne fa simbolo di un certo reame, incarna l’idea che anche a ottant’anni si può essere più allegri, veloci e svegli di tutta la schiera dei nemici avari, epperò un sacco perbene. Insomma, da una parte, titolo dell’istantanea, “recita dell’indignata”. Dall’altra, uno di noi. E perciò: «Signorina, lei deve imparare a sorridere».
E l’Italia sorrise della presunzione dei giusti. Così, in un modo (Grillo) o nell’altro (Silvio), ha deluso i professori e i direttori di giornali, i sondaggisti e tutti gli intelligentoni che questa volta ci credevano sul serio che per la sinistra era fatta e che sarebbe andata al governo e che addio una volta per tutte a quel “pifferaio” di Berlusconi.
E, invece, questo della sinistra “egemone nel Paese” si è rivelato ancora una volta un sogno uggioso, palloccoloso. E fighetta. Che vince a Milano, a Roma e nelle solite capitali della borghesia rosso-noiosa. Ma non tra il popolo. E perciò, di nuovo, eccoci all’ennesimo segretario democrat che gli tocca rosicare. E portare la croce.
Come che sia andata (questa la rubo a una chiacchiera fatta con Giuliano Ferrara, è andata che «contro la simpatia non c’è niente da fare, loro sono così tristi»), i risultati sono lì: un pareggio che ha del miracoloso tra i due poli, quando non c’è stato un solo Mannheimer che potesse prevedere il recupero del centrodestra sulla coalizione di Bersani. È andata con l’esplosione grillante (da noi per altro prevista con largo anticipo). Con il grigio scalpore che ha fatto il basso score della Lista Monti. E con la scomparsa dalla scena dei vari Fini, Di Pietro e Ingroia.
Ci fosse qui Gianni Baget Bozzo, sorriderebbe ancora sornione e ironico, «avete visto?» – direbbe Baget – «il popolo è ancora Sovrano e Silvio ne è ancora la provvidenza».
Bene, e adesso che si fa? Che ci fa Grillo col suo primato e che ci fanno gli altri tre con il resto dei voti? Intanto è succulento registrare come Mario Monti abbia incassato un risultato modesto con una solitudine vecchia di cent’anni. Cloppete cloppete, dice il Professore del latte alle ginocchia, «è stato un risultato soddisfacente, da alcuni ipotizzato superiore, ma io sono molto soddisfatto alla luce di alcuni elementi, a cominciare dai tempi, appena 50 giorni da quando abbiamo deciso di presentarci, partendo da zero». Risultato politico di cotanta soddisfazione? L’irrilevanza.
Ma ecco la vera questione. Che farà il Pd, a cui in qualità di partito di maggioranza spetta il compito di smazzare le carte e decidere a che gioco giocare? Ci fosse un capo con la memoria viva e un comando di partito con il senso volitivo della responsabilità nei confronti del Paese, il pensiero di Bersani&C. correrebbe subito agli anni Settanta. Quando a causa dell’emergenza Brigate Rosse, accadde l’impensabile.
Ovvero accadde che comunisti e democristiani si stringessero a coorte e con un “compromesso storico” davvero epocale tagliassero la testa al terrore rimettendo l’Italia nella carreggiata dei paesi non sudamericani. Adesso l’emergenza si chiama economia a rotoli e sistema dei poteri scassato fino all’anarchia per cui pezzi di magistratura possono permettersi di fermare tutto ciò che vive, respira e dà lavoro alla gente in un momento in cui di lavoro non c’è e i consumi languono.
Domanda: ci proverà Bersani a battere la strada del governissimo (magari Renzi-Alfano), ben sapendo che Berlusconi è uomo pratico che vuole mantenere la promessa di restituire l’Imu agli italiani e desidera, come ogni italiano di buon senso desidera, una riforma della giustizia?
Ci proverà il Pd a stringersi intorno a Bersani e a convincersi che lavorare a un accordo di legislatura anche breve, ma d’acciaio, sulla base di un programma minimo emergenziale, diciamo tre anni di sosta dal cicisbeismo antiberluscone e dall’anticomunismo caciarone, per fare riforme istituzionali, del lavoro e dell’economia, così, tanto per mettere in sicurezza il sistema-paese, ridare speranza agli italiani e riassorbire il “vaffa” grillante?
Purtroppo, visto i precedenti, c’è da crederci poco. Però, mai dire mai. Queste elezioni portano infatti anche questa lezione: che bisogna imparare a sorprendersi, altrimenti uno poi magari finisce ricco sfondato, ma imbesuito come il celebre Fondatore.
L’alternativa al governissimo? È l’alleanza Pd-Grillo. Ma questo presumerebbe l’harakiri di uno che ha teorizzato la discesa a Roma «per aprire il Parlamento come una scatola di pelati». Ergo, perché mai Grillo dovrebbe allearsi con Bersani e perdere così l’aura dell’apriscatole?
Davvero difficile che i grillini ci sorprendano con un fidanzamento Pd. Se fanno una roba del genere tra sei mesi non solo si torna al voto, ma finisce che Berlusconi fa cappotto alla Camera e in Senato.
Dunque? Dunque il presidente Giorgio Napolitano questa volta è con le spalle al muro. Inventarsi un altro Monti non esiste nemmeno dipinto sul muro merkeliano. Candidare Bersani alla presidenza del consiglio con una maggioranza di scopo che faccia la riforma elettorale e tenga botta sull’asta dei Bot e dello spread puntando a maggioranze ottenute con l’astensione pidiellina o grillina, è un’ipotesi da coprifuoco.
Riportare l’Italia al voto subito? Ovvio, ci sta. Ma ci sta anche il rischio che salti per aria tutto. Sì, perché l’ipotesi di nuove elezioni prevede l’attesa delle condanne a raffica per Berlusconi e, nel frattempo, il caldo rovente sui mercati. Prevede un Cavaliere di nuovo scatenato e il caso che Grillo schizzi al trenta, quaranta per cento. A quel punto saremmo pronti per il Caucaso.
Luigi Amicone
Fonte: Tempi