Dopo aver portato a termine il rastrellamento e la deportazione ad Auschwitz di 1.022 ebrei romani, i nazisti risalirono rapidamente la penisola per effettuare analoghe retate a sorpresa nelle principali città italiane. Fu subito presa di mira Firenze che pagò il suo atroce tributo alla Shoah subendo due rastrellamenti, il 6 e 26 novembre 1943.
Con l’incalzare delle persecuzioni, saputo che i tedeschi avevano richiesto gli elenchi di tutti gli ebrei fiorentini, il Comitato di assistenza ebraico, allestito dal giovane rabbino capo di Firenze Nathan Cassuto, d’intesa con Matilde Cassin, decise di rivolgersi alla curia fiorentina. I primi contatti avvennero tramite Giorgio La Pira. L’arcivescovo di Firenze, il cardinale Elia Dalla Costa, subito incaricò il parroco di Varlungo don Leto Casini e il padre domenicano Cipriano Ricotti di coadiuvare il Comitato di assistenza ebraico per mettere al sicuro i profughi ebrei nei vari monasteri e istituti religiosi della diocesi.
Seguendo le direttive del cardinale, oltre ventuno conventi e istituti religiosi (senza contare le parrocchie) aprirono le porte offrendo rifugio a oltre 110 ebrei italiani e 220 stranieri. Grazie alla sofisticata rete clandestina, molti furono nascosti in conventi e istituti ecclesiastici come la Casa Madre delle Francescane Ancelle di Maria di Quadalto, che fin dal settembre 1943 compariva nella lunga lista da consegnare agli ebrei che chiedevano asilo.
Non mancarono però gli esiti tragici. Ad esempio, nella notte del 27 novembre 1943, una pattuglia di circa trenta SS, coadiuvati dai miliziani fascisti, diedero libero sfogo alla violenza non risparmiando neanche i luoghi sacri, dove erano convinti di scovare gli ebrei nascosti con la complicità delle religiose. La razzia più efferata fu quella perpetrata nel convento delle Suore Francescane Missionarie di Maria di piazza del Carmine, la cui giovane madre superiora suor Sandra aveva accolto una cinquantina di donne, quasi tutte profughe ebree, con i loro bimbi. Tra loro la moglie del rabbino capo di Genova, Wanda Abenaim Pacifici, e i due figli. «Le Ebree nel salone sono prese come topolini nella trappola – scrive la cronista – e non sanno riaversi dalla sorpresa. (…)
Una ragazza (Lea Lowenwirth-Reuveni) tenta di fuggire saltando dalla finestra ma è subito raggiunta da un SS. Difatti, nel frattempo, la responsabile del pensionato, suor Emma Luisa, appena sentiti i rintocchi di campana, aveva tentato «di farne fuggire parecchie [di loro] per una porta segreta di clausura, che esse già conoscevano. Sfortunatamente non arrivano in tempo e sono prese». Dapprima recluse nelle carceri fiorentine e poi trasferite a Verona, vennero infine istradate verso il campo di Auschwitz-Birkenau da dove non fecero più ritorno.
Giovanni Preziosi
Fonte: L’Osservatore Romano