Due assessori comunali alla manifestazione per dare del razzista al Vescovo

Sabato 12 gennaio, davanti alla sede del Vescovado di Trieste, si è tenuta una manifestazione organizzata dall’Arcigay contro il Vescovo Giampaolo Crepaldi accusato di “razzismo e omofobia”, tra cartelli con scritte, “Dio è amore, Crepaldi e il Papa no”.  Riportiamo l’intervista integrale del direttore del settimanale diocesano Vita Nuova a Mons. Crepaldi.

 

Eccellenza, dove era sabato scorso durante la manifestazione promossa dall’Arcigay sotto il Palazzo della Curia?

Confinato in casa…

Che cosa ha fatto?

Prima sono stato in Cappella per la preghiera del Vespro e poi ho ripreso a leggere un libro voluminoso di  Rodney Stark, un grande sociologo americano, intitolato The Triumph of Christianity, che analizza, tra l’altro, le tante persecuzioni subite dai cristiani in duemila anni di storia. Il libro dimostra, con dovizia di dati, che, alla fine, i persecutori passano e i cristiani continuano, poiché le persecuzioni li purificano e li rendono più forti. E’ un libro che consiglio.

Quella di sabato fu una manifestazione contro di Lei…

Sì, veicolata dall’accusa, falsa e gravissima, che il sottoscritto sia intollerante e razzista. Si è dato del razzista a uno che ha dedicato una vita a combattere il razzismo e che ha contribuito, con un pool internazionale di grandissimi giuristi, a riscrivere il documento della Santa Sede contro il razzismo. A uno che ha guidato la Delegazione della Santa Sede alle Nazioni Unite per una sessione speciale di lavori sul razzismo dove ha avuto l’onore di parlare dal podio del Palazzo di Vetro. Stranezze della vita, caro direttore. Tuttavia, il ricordo di New York non mi ha impedito il confronto con la realtà tergestina, trovandola miope e di bassa lega.

La questione ruota attorno all’omofobia…

No, Direttore, la questione è un’altra ed è precisamente quella indicata dagli organizzatori della manifestazione: far passare attraverso il pretesto dell’omofobia il diritto alla famiglia e al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tutti lo hanno capito. La campagna natalizia contro l’omofobia sugli autobus della città era veicolata da immagini di rassicuranti scenette familiari. Il punto è questo.

Si spieghi meglio…

Bisogna considerare due aspetti, entrambi molto delicati. Il primo. L’obiettivo finale di queste campagne è quello di minare quello che è un caposaldo della civiltà, la concezione della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, equiparandola ad altre forme di convivenza.

E il secondo?

Dare vigore giuridico e valenza penale all’omofobia per cui chi sostiene pubblicamente – come fa la Chiesa Cattolica da sempre – che la famiglia vera è solo quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna viene dichiarato omofobo, intollerante e razzista e, quindi, soggetto da perseguire penalmente. Se si percorrerà questa strada uno che appartiene alla Chiesa Cattolica e ne professa la dottrina, ma non solo, diventerà un soggetto criminale da punire, anche con la galera. Questo insidioso programma, spacciato per progressista e libertario, metterà la museruola a tutti, privandoci della libertà. E’ paradossale che la Chiesa  che ha dato al mondo la concezione più alta del valore impareggiabile della persona umana e gli ha insegnato il dovere del rispetto, dell’uguaglianza e della fraternità, venga descritta come soggetto razzista e che discrimina. Si tratta delle stranezze della storia. Comunque, i miei amici di Vienna dell’Observatory on Intolerance and Discrimination against Christians in Europe, che ogni tanto interpello per un parere o per far monitorare la situazione di Trieste, mi dicono che è iniziata in grande stile la Gender-persecution contro il cristianesimo e che sarà durissima. Ci saranno i militanti, coloro che cercheranno il compromesso, coloro che tradiranno, ci saranno i fedeli e ci saranno anche i martiri. Sono tutti problemi che affronto anche nel mio ultimo libro, appena uscito in libreria, Il IV Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo.

Alla manifestazione ha partecipato un prete della Diocesi di Gorizia…

Sono andato a visitare il sito della Diocesi di Gorizia e nell’elenco dei preti il nome del sig. Bellavite non c’è.

In Comune e in Provincia erano consapevoli di questi complessi risvolti connessi con l’ideologia del gender quando hanno dato il Patrocinio alla campagna?

Di loro si può dire tutto, ma non che siano sprovveduti…

La Presidente della Provincia ha affermato che c’è “bisogno di una Chiesa aperta”…

E’ stato un invito poco appropriato da parte di un’Autorità istituzionale che si è sempre fatta apprezzare per la misura e per la capacità di stare al suo posto. Alla Presidente della Provincia dico che l’unica cosa che deve fare la Chiesa è quella di essere fedele agli inviti di Gesù, suo Sposo e suo Signore. Le basta Lui.

E del Sindaco cosa mi dice?

Il Sindaco Cosolini, nel merito della mia intervista a Vita Nuova, affermò che era «Legittima la critica della diocesi»: una dichiarazione seria, responsabile ed equilibrata.

Ma, alla manifestazione ha partecipato un Assessore comunale…

Mi è stato riferito che gli Assessori erano due. Spero che non tirino fuori la storiella che erano lì a titolo personale. La partecipazione alla manifestazione davanti al Palazzo della Curia di componenti la Giunta comunale che, con la loro presenza hanno avallato l’accusa di razzista al Vescovo, ha, di fatto, cambiato radicalmente lo scenario delineato saggiamente dal Sindaco. Personalmente ritengo che la partecipazione sia stata una cosa inquietante che si è tradotta in una pagina nera per la democrazia e per l’onore delle Istituzioni cittadine. Una Giunta comunale è a garanzia di tutti, al servizio del bene di tutti e deve operare nel rispetto dei diritti di tutti. Che credibilità può accampare un Governo cittadino quando due suoi componenti se ne vanno in giro con gaia spensieratezza a manifestare contro il Vescovo e la Chiesa cattolica che, è bene che lo sappiano, in questa Città è presente fin dai primi secoli di storia del cristianesimo ed è protetta da un martire, San Giusto? La Chiesa cattolica di Trieste è stata umiliata e il sottoscritto trattato da cittadino di serie C. Mi rivolgo al Sindaco, che è uomo di lunga e onorata esperienza politica: faccia chiarezza e ritessi i fili indispensabili della fiducia civile.

Eccellenza, è molto amareggiato…

Sì, molto. La Chiesa e la nostra Città non si meritano questi scivoloni istituzionali. Ma è una cosa che viene da lontano, caro direttore, ed è ben documentata con nomi e cognomi. Campagne di stampa, articoli, segnalazioni dove sono stato chiamato Torquemada e talebano, lettere minatorie, interruzione violenta dell’incontro della Cattedra di San Giusto dello scorso dicembre dove mi è stato detto di tutto e di più, e via cantando di questo passo  fino all’ultima puntata quando mi hanno  marchiato dandomi del razzista.  Non so se a Trieste sia così diffusa l’omofobia – che condanno evidentemente e fermamente – e non so dire quanto sia proporzionato lo zelo delle nostre Istituzioni in materia. Quello che i fatti stanno dimostrando è che a Trieste, da un po’ di tempo ormai, si va delineando uno scenario di cristianofobia.

Impressionante…

Non c’è nulla di impressionante, ma c’è molto di cui preoccuparsi per questo degrado.

Questo in una Città che si definisce mitteleuropea, laica e tollerante…

Speriamo che la Città ce la faccia a restare tale. Personalmente  vedo questo suo patrimonio etico-culturale in grande affanno, per un deficit di magnanimità, cioè di capacità – capacità che si raggiunge attraverso l’esercizio rigoroso e critico dell’intelligenza – di essere e di pensare in grande e in maniera nobile, senza lasciarsi irretire da prassi che stanno erodendo questo patrimonio in maniera pericolosa.

Cosa consiglia?

La Città ha tante sfide davanti: smetta i panni dei furori e dei conformismi ideologici e ritorni a parlare in maniera civile e costruttiva, a dialogare con il senso del rispetto dell’altro e a valorizzare tutte le risorse. Solo i mentecatti – che anche a Trieste non mancano – possono ritenere che il nemico da combattere sia la Chiesa cattolica che, invece, ogni giorno produce nella nostra Città, per il bene di tutto e di tutti, il miracolo della preghiera, quello dell’annuncio della verità che salva, quello dell’apertura a un serio confronto culturale e quello della consolazione e della carità a favore di un numero enorme di infelici e di poveri.

Vorrei toccare adesso un tema che è rimasto sempre sospeso: il ruolo del giornale locale in tutto questo.

Direttore, non può pretendere che Il Piccolo sia un giornalino parrocchiale. E’ un giornale che appartiene al Gruppo Espresso-La Repubblica che si ispira fedelmente al vangelo di Scalfari. Fa il suo mestiere e lo fa bene. I problemi non nascono dall’intraprendenza del giornale locale, ma da un gruppetto che continua a usarlo con qualche forma di spavalderia. Ritengo che sia un errore di valutazione ritenere Il Piccolo il peccato originale di tutto. Alla fine, le dirò, anzi, che quando il quotidiano locale mi tratta troppo bene comincio a preoccuparmi e a domandarmi in che cosa sto sbagliando.

E del Direttore Possamai che mi dice?

Che, fatte le debite proporzioni, è come Lei chiamato a dirigere un’impresa assai complicata con i tempi che corrono. Peccato che scriva poco, perché i suoi articoli di analisi economica e politica sono sempre acuti e stimolanti e una spanna sopra quelli di altri suoi colleghi.

Ci sono però due giornalisti che non le danno tregua, Giampaolo Sarti e Fabio Dorigo

Il dott. Sarti lavorava a Vita Nuova che, se ricordo bene, lasciò quando arrivò Lei. Non mi consta che qualcuno abbia versato lacrime di rimpianto quando se ne andò.

Il dott. Dorigo è velenosetto…

Lasci stare il veleno. Diciamo che, quando scrive della Chiesa di Trieste, calca la mano con il pepe che è condimento che non mi piace. Ma è intelligente e i suoi articoli sono generalmente seri, ben documentati e assai utili. E poi scrive un italiano corretto e godibile.

Tra Il Piccolo e Vita Nuova mi pare ci sia una dinamica fortemente dialettica…

Sì, ed è un bene. La Chiesa è stata sempre contro la lotta di classe di marxiana memoria, ma non è mai stata contro una sana dialettica anche sul piano culturale, se esercitata nel rispetto del buona creanza e del galateo. E’ una cosa che fa bene alla fisiologia culturale del vivere sociale e civile. E Trieste ne ha bisogno.

Grazie dell’intervista. Un’ultima domanda: solo amarezze in questo periodo?

No, Direttore. Il sabato, quello della manifestazione, sono venuti a trovarmi tre uomini maturi della nostra Diocesi per parlarmi della loro vocazione e del loro proposito di intraprendere la strada formativa per il Diaconato permanente. La cosa mi commosse e ringraziai il Signore che mi mandava il suo consolante raggio di luce a confortarmi e ad assicurarmi che la Chiesa di Trieste e il suo futuro erano e sono in buone mani, le Sue, quelle del Signore. Lui fa la differenza, sempre.

 

Fonte: Vita Nuova Trieste