Papa Ratzinger pochi mesi dopo l’elezione aprì alla possibilità di rivedere la prassi della Chiesa nei confronti dei divorziati risposati, «ma subito qualcuno» si mosse «per fermare tutto». Lo sostiene il vaticanista Ignazio Ingrao, nel libro «Amore e sesso ai tempi di papa Francesco» (Piemme, pp. 198, 14,50 euro) un volume che arriva in questi giorni in libreria e racconta il Sinodo straordinario sulla famiglia appena concluso e i suoi retroscena.
Un capitolo è intitolato: «Chi ha fermato Ratzinger?». Ingrao ripropone l’intervento fatto a braccio da Benedetto XVI di fronte ai preti della Val d’Aosta, a Introd nel luglio 2005. Parole che esprimono vicinanza alle famiglie «ferite», e oggi suonano lontane dai toni di molti dei cosiddetti «ratzingeriani».
«Nessuno di noi ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse», aveva detto, aggiungendo: «Non oso dare adesso una risposta, in ogni caso mi sembrano molto importanti due aspetti.
Il primo: anche se non possono andare alla comunione sacramentale non sono esclusi dall’amore della Chiesa e dall’amore di Cristo. Una eucaristia senza la comunione sacramentale immediata non è certamente completa, manca una cosa essenziale.
Tuttavia è anche vero che partecipare all’eucaristia senza comunione eucaristica non è uguale a niente, è sempre essere coinvolti nel mistero della croce e della risurrezione di Cristo».
Ai parroci Benedetto XVI raccomandava di far «sentire a queste persone che, da una parte, dobbiamo rispettare l’inscindibilità del sacramento e, dall’altra parte, che amiamo queste persone che soffrono anche per noi. E dobbiamo anche soffrire con loro».
Papa Ratzinger citava il modello delle Chiese ortodosse, che consentono ai divorziati risposati di accostarsi alla comunione «in una situazione penitenziale», cioè «possono andare alla comunione ma sapendo che questo è concesso “in economia” – come dicono – per una misericordia».
Benedetto non indicava questa via come praticabile ma, osserva l’autore del libro, lasciava aperta una strada: «Da una parte, dunque, c’è il bene della comunità e il bene del sacramento che dobbiamo rispettare e dall’altra la sofferenza delle persone che dobbiamo aiutare».
Questa strada però non è stata «più percorsa» durante il pontificato, sebbene papa Ratzinger ripetesse parole significative durante l’incontro delle famiglie a Milano, nel giugno 2012, aggiungendo in forma dubitativa: «Forse, se non è possibile l’assoluzione nella confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati».
Perché non si sono approfondite queste indicazioni? Ingrao scrive che da una parte il «papa teologo e professore temeva di affrontare un problema senza avere chiare possibili soluzioni».
Dall’altra, «molti teologi e vescovi… hanno cercato in tutti i modi di frenare e di ostacolare le richieste di apertura di Ratzinger sui temi della famiglia» e ci sarebbe stata «una mobilitazione silenziosa e sotto traccia per bloccare ogni iniziativa su quel fronte».
Fonte: Vatican Insider