In Medioriente.“Israele continuerà a mettere in sicurezza i suoi interessi vitali anche di fronte alla pressione internazionale”. Così il governo del premier Netanyahu replicando alle proteste internazionali sulla decisione di costruire 3.000 alloggi per coloni in Cisgiordania e Gerusalemme est.
La Casa Bianca chiede un ripensamento; Ue, Cina e Russia criticano la decisione e il segretario generale dell’Onu ne ribadisce l’illegalità. Molti paesi europei hanno richiamato gli ambasciatori in segno di dissenso. Dopo il voto dell’Onu che riconosce la Palestina come Stato osservatore non membro, Tel Aviv ha anche annunciato il blocco delle tasse riscosse per l’Anp. Fausta Speranza ha parlato di queste precise scelte politiche israeliane con Maurizio Simoncelli, membro del direttivo dell’Istituto Archivio Disarmo:
R. – Noi ci troviamo di fronte ad una situazione estremamente particolare, come purtroppo lo è tutta la vicenda del conflitto israelo-palestinese. Praticamente questi due pezzi di territorio – Cisgiordania da un lato e Striscia di Gaza dall’altro – sono all’interno del controllo dello Stato israeliano che ha anche alcune funzioni che non sono gestite dall’autorità palestinese: una di queste è, appunto, quella della questione delle tasse. La reazione di Israele di bloccare l’erogazione delle tasse, e quindi i soldi che vanno ridati ai palestinesi, è in realtà il segnale di una situazione difficilissima all’interno del governo israeliano. Probabilmente non si aspettavano una maggioranza così schiacciante nell’ambito delle Nazioni Unite per il voto sullo status della Palestina.
Soltanto 9 Paesi hanno votato contro e circa una quarantina si sono astenuti: Israele si è trovato quindi isolato a livello mondiale, a parte alcuni fedelissimi alleati. E’ una reazione che purtroppo mette anche in evidenza le difficoltà del governo di Israele a cercare un’altra soluzione: anche l’immediato annuncio di avviare nuovi insediamenti, in modo tale da tagliare addirittura una parte dei territori palestinesi, riaffermando poi – ancora una volta – Gerusalemme capitale dello Stato ebraico, mostra l’estrema difficoltà di questo governo israeliano che non riesce ad intravvedere altra politica nei confronti della questione, se non quella di mostrare i muscoli.
D. – Prof. Simoncelli, ricordiamo cosa può comportare praticamente quest’avanzamento di status riconosciuto dall’Onu per la Palestina. Innanzitutto il ricorso al Tribunale penale internazionale per alcune vicende …
R. – Certamente. Questo mette in estrema difficoltà Israele e, purtroppo, sappiamo che il comportamento del governo israeliano e delle forze armate dei coloni nei confronti della popolazione civile palestinese non è esente da eventuali interventi della Corte penale internazionale. Non a caso il governo italiano ha chiesto garanzia ad Abu Mazen, affinché non prenda iniziative di questo genere almeno riguardo al passato: questo vuol dire che l’Italia riconosce che ci sono stati dei comportamenti non adeguati da parte del governo israeliano. E’ anche un invito, però, a far sì che Israele rispetti questi standard. Il nervosismo che trapela da parte del governo di Tel Aviv è significativo: vuol dire essere coscienti che può andare a finire sotto la lente di osservazione del Tribunale penale internazionale.
D. – Guardando all’oggi, c’è la questione del muro: quali altre situazioni potrebbero essere oggetto di prese di posizione di questo tipo?
R. – Ce ne sono diverse. Purtroppo c’è anche la vicenda dei coloni, di questi insediamenti che ufficialmente Israele si era impegnata – soprattutto in alcune aree – a non fare più e che invece adesso ha dichiarato di voler fare; ci sono i comportamenti nei confronti degli agricoltori palestinesi, che spesso vengono fatti oggetto di attacchi e di soprusi o da parte dei coloni o da parte delle forze armate. Sono diversi i motivi per cui i palestinesi possono ricorrere in questo caso.
Certamente noi non dobbiamo guardare al passato, non dobbiamo guardare neppure l’immediata reazione da parte del governo israeliano: dobbiamo guardare al futuro nella speranza che, superate tra l’altro le prossime elezioni in Israele, ci si confronti con una prospettiva diversa. Continuare a dire che israeliani e palestinesi – solamente loro – si dovrebbero sedere al tavolo, cercando di riuscire a risolvere il problema significa dimenticare che non ci sono riusciti in 60 anni.
Inoltre c’è da dire che il riconoscimento dell’Onu alla Palestina, a mio avviso, è ugualmente importante per la figura di Abu Mazen, che all’interno della classe dirigente palestinese rappresenta l’ala moderata: non dimentichiamo, infatti, che quelli di Hamas parlano chiaramente della distruzione dello Stato di Israele. Questo riconoscimento è quindi un sostegno ad Abu Mazen e ad una politica palestinese più disponibile a trovare un accordo, a sedersi intorno ad un tavolo delle trattative.
Fonte: Radio Vaticana