CITTÀ DEL VATICANO, 8 aprile 2013 – Oltre alla scelta inedita del nome Francesco, papa Jorge Mario Bergoglio sta imprimendo da subito al governo centrale della Chiesa innovazioni che in curia guardano con trepidazione, se non con terrore. La scelta di non abitare l’appartamento pontificio al terzo piano del Palazzo Apostolico ma di continuare a risiedere nella Domus Sanctae Marthae, che lo aveva ospitato da cardinale durante il conclave, è già di per sé un atto di rottura.
In pratica tale scelta consente al nuovo papa di sottrarsi fisicamente alla pressione burocratica che – se si fosse trasferito lassù – rischierebbe di sconvolgere la sua vita e di soffocare la sua effettiva capacità di governo.
Sarebbe interessante sapere se e quanto si siano già ridotti il volume e il peso delle valigie di documenti che ogni giorno la segreteria di Stato usa portare sulla scrivania del papa per sottoporgli testi da studiare, approvare, vistare, eccetera.
Non è fantasioso pensare che lo stile sobrio e austero del primo pontefice gesuita della storia costringa gli uffici della segreteria a ridurre al minimo le pratiche da sottoporre alla sua attenzione.
*
Lo stile innovativo di papa Francesco suscita poi alcune domande su come esso si esplicherà in alcuni settori specifici del governo della Chiesa universale.
Perché Bergoglio ama sì definirsi vescovo di Roma, ma intanto agisce e si muove come papa a tutti gli effetti.
Lo si è visto nella rapidità con cui ha scelto il suo successore a Buenos Aires, agendo, appunto, in qualità di pastore della Chiesa universale.
La nomina non è certamente passata al vaglio della congregazione per i vescovi e non sembra affatto essere arrivata dopo un’ampia consultazione tra i vescovi della relativa provincia ecclesiastica, come tra il clero e il popolo cristiano di Buenos Aires.
E lo stesso si può dire della seconda nomina episcopale del pontificato, quella del nuovo arcivescovo di Vilnius in Lituania.
Il 5 aprile al posto del dimissionario cardinale Audrys Backis, 76 anni, papa Bergoglio ha nominato il giovane Gintaras Grusas, 52 anni, dal 2010 ordinario militare del paese baltico e pupillo del cardinale. Anche questa nomina non risulta essere passata al vaglio della congregazione.
Dopo questi precedenti, sarà interessante verificare quale sarà la prassi del nuovo papa nelle nomine episcopali nel mondo e nelle creazioni di nuovi cardinali.
Continuerà a sentirsi vincolato al tetto dei 120 cardinali elettori stabilito cinquant’anni fa? Concederà più porpore alle Chiese locali a discapito della curia? Continuerà a premiare le sedi tradizionalmente cardinalizie o punterà più sulle persone che sulle diocesi? L’Italia continuerà ad avere nove diocesi cardinalizie e un peso preponderante nel sacro collegio?
Sempre riguardo all’Italia sarà interessante vedere se e come papa Francesco, che ha anche il titolo di primate d’Italia, continuerà a riservarsi il potere di nomina del presidente e del segretario della conferenza episcopale.
L’episcopato italiano, infatti, è l’unico al mondo nel quale entrambe queste cariche non sono elettive ma di nomina pontificia.
A questo proposito è utile ricordare che nel 1983 Giovanni Paolo II chiese ai vescovi italiani se volessero eleggere loro il presidente e il segretario, e la maggioranza in effetti votò a favore di questa possibilità, ma poi non se ne fece nulla.
Chissà se ora, in nome della collegialità, la questione verrà riesumata e in che modo: con una piena libertà di scelta accordata ai vescovi, oppure attribuendo ai vescovi l’indicazione di una terna di nomi tra i quali il papa decida.
*
Un’altra svolta potrebbe riguardare la congregazione per la dottrina della fede.
Con Joseph Ratzinger prima cardinale e poi papa la congregazione ha svolto un ruolo di grande peso nel governo della Chiesa universale:
– sia con l’elaborazione di documenti dedicati ai cosiddetti temi non negoziabili, come le istruzioni “Donum vitae” del 1987 e “Dignitas personae” del 2008 o le note dottrinali sui cattolici nella vita politica del 2002 e sulla legalizzazione delle unioni omosessuali del 2003;
– sia con censure adottate nei confronti di una ventina di opere teologiche, alcune delle quali scritte da gesuiti, e cioè da Anthony de Mello nel 1998, Jacques Dupuis nel 2001, Roger Haight nel 2004 e Jon Sobrino nel 2006;
– sia con una penetrante azione giudiziaria nei confronti dei cosiddetti “delicta graviora” tra i quali la pedofilia, con le severe norme approvate nel 2001 e aggiornate nel 2010.
Adesso con papa Francesco cosa accadrà?
Con una inusuale comunicato diffuso il 5 aprile dopo la prima udienza di tabella di papa Francesco col prefetto, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller (vedi foto), la congregazione per la dottrina della fede ha tenuto a sottolineare che nella lotta contro gli abusi sessuali commessi da chierici su dei minori saranno tenute ferme le linee intransigenti di Joseph Ratzinger.
Ma aldilà del comunicato – emesso probabilmente per fugare ogni possibile sospetto di discontinuità in materia, rispetto al precedente pontificato – adesso in concreto con papa Francesco cosa accadrà?
La congregazione insisterà a lavorare a pieno ritmo come tribunale ecclesiastico centralizzato per i “delicta graviora” o tornerà a delegare questo compito ai vescovi locali?
Continuerà a intervenire sulle questioni “non negoziabili” della vita e della famiglia o si riterrà paga dei documenti già pubblicati in passato?
Continuerà a censurare gli errori di teologi o teologhe o si limiterà a un ruolo esortativo?
E ancora, la congregazione continuerà a controllare preventivamente i testi di papa Francesco come faceva con i papi precedenti?
In poche parole, assisteremo – come alcuni segnali sembrano far capire – a un significativo ridimensionamento della congregazione per la dottrina della fede?
*
Sempre durante il pontificato di Benedetto XVI sono state intraprese in campo liturgico delle iniziative che hanno suscitato forti resistenze. Come il motu proprio “Summorum Pontificum” che ha ridato piena dignità nella Chiesa latina ai libri liturgici preconciliari. O come la fermezza nell’esigere traduzioni più fedeli all’originale latino nei messali in lingua corrente, con una particolare attenzione alla traduzione del “pro multis” nelle parole della consacrazione. Ora che succederà?
E poi che fine farà con papa Francesco – primo papa proveniente da un ordine religioso dalla metà del XIX secolo – la visita apostolica alle suore degli Stati Uniti promossa negli ultimi anni dalla congregazione vaticana per i religiosi?
In particolare, quale sarà la “mission” del nuovo segretario della congregazione, il francescano spagnolo José Rodríguez Carballo, nominato il 6 aprile?
Questa di Rodríguez Carballo è stata la prima nomina fatta in curia da papa Francesco, che con essa ha riempito il vuoto lasciato dal redentorista americano Joseph William Tobin, rispedito lo scorso ottobre negli Stati Uniti come arcivescovo di Indianapolis da Benedetto XVI, che pure lo aveva chiamato all’incarico, dopo che si era mostrato troppo tenero nei confronti delle suore sue connazionali.
La scelta di Rodríguez Carballo sembra essere dovuta non tanto al suo essere ministro generale dei frati minori quanto invece al fatto di essere stato eletto lo scorso anno presidente dell’Unione dei superiori generali, la massima espressione collegiale del vasto e variegato mondo dei religiosi.
Nominando lui, papa Francesco non ha quindi dato seguito all’istruttoria approntata nel corso degli ultimi mesi del pontificato di Benedetto XVI, nella quale era in “pole position” per la carica di segretario della congregazione dei religiosi un domenicano di origini statunitensi.
E ancora, cambiando tema, che ne sarà dei colloqui con la Fraternità San Pio X dei seguaci di monsignor Lefebvre? Papa Francesco ha finora citato solo sporadicamente il Concilio Vaticano II: nel suo primo messaggio alla comunità ebraica di Roma e nel discorso alle delegazioni delle Chiese e comunità cristiane che hanno assistito alla sua messa di inizio del pontificato. Non ha partecipato al Concilio ed è stato ordinato prete dopo il Concilio. Non sembra particolarmente assillato dal problema della sua ermeneutica, su cui invece Benedetto XVI si spese moltissimo. Nella sua diocesi di Buenos Aires si è mostrato piuttosto tollerante nei confronti dei preti tradizionalisti. Ora che cosa accadrà?
Queste sono solo alcune delle domande suscitate dallo stile di governo impresso da papa Francesco all’inizio del suo pontificato.
Altre ancora riguardano le attese nomine e riforme curiali. Quando prenderanno corpo? Prima o dopo l’estate? Verrà finalmente ridotta la smisurata produzione di documenti papali e curiali? In che modo saranno ristrutturati gli enti con competenze finanziarie, a iniziare dalla malfamata “banca” vaticana, l’Istituto per le Opere di Religione? Sarà ridotto il numero delle beatificazioni e canonizzazioni? La causa sul martirio di Oscar Arnulfo Romero – bloccata a suo tempo dalla congregazione per la dottrina della fede guidata da Ratzinger – verrà sbloccata?
Le risposte arriveranno col tempo. E non mancheranno le sorprese. C’è da scommetterci.
Fonte: www.chiesa.espressoonline.it