Una delle figure più interessanti, poliedriche e controverse della scena contemporanea è sicuramente quella di David Bowie: musicista, attore, artista multimediale, dandy innamorato di sé stesso e del proprio mito. Comparso sulla tribuna musicale britannica alla fine degli anni ’60, non raggiunge la piena notorietà che all’inizio del decennio successivo come protagonista del glamour, quel carnevale di lustrini, belletto, travestitismo e ambiguità sessuale che attraversò come una cometa il mondo del rock di quegli anni.
Insieme a Marc Bolan, Gary Glitter, New York Dolls, Roxy Music e – almeno per una stagione, anche Lou Reed e Iggy Pop – David Robert Jones , in arte Bowie, più geniale e attraente degli altri, entra nel novero dei fondatori del genere inventandosi (con alle spalle qualche anno di esperienza come mimo e ballerino nella compagnia en travesti del regista-coreografo Lindsey Kemp) il personaggio di un pierrot bisessuale ed extraterreste.
Sarà solo l’inizio del successo e dell’avventura, un singolo episodio della sua istrionica carriera, perché il camaleontico Dorian Gray del rock – come la fenice – sempre rinascerà dalle proprie ceneri cambiando look, personaggio, stile e genere musicale, riuscendo ogni volta a sorprendere il proprio pubblico e ad anticiparne e assecondarne gusti e umori, creando mode, stravolgendo tradizioni, provocando e seducendo. Solo negli ultimi anni – dalla seconda metà degli ’80 ad oggi – la sua figura e la sua creatività sembrano leggermente appannate, per la prima volta l’inossidabile primadonna si ritira dietro le quinte: forse il magico ritratto di Dorian comincia a rivelare finalmente tutte le rughe di un ultracinquantenne miliardario.
Meno nota e meno appariscente invece è la centralità nell’opera del musicista del suo costante coinvolgimento con il mondo dell’occulto: se altri rockers hanno reso questa fonte di ispirazione intellettuale fin troppo evidente e ostentata, Bowie ha preferito piuttosto nasconderla e sminuirla, limitandone l’espressione a sobri accenni in canzoni e interviste.
Questo non significa affatto – come egli preferirebbe forse far apparire – che la tradizione magica ed esoterica sia meno importante per lui, anzi: tutta la sua carriera artistica può essere interpretata come una sorta di vero e proprio mito gnostico.
Già in una canzone del 1971, Quicksand (Sabbie mobili), Bowie dichiara esplicitamente in un verso: “I’m closer to the Golden Dawn/Immersed in Crowley’s uniform of imagery” (Sono più vicino all’Alba Dorata/ Immerso nell’immaginario crowleyano): l’Alba Dorata è naturalmente la Golden Dawn, l’ordine magico paramassonico fiorito in Inghilterra alla fine del 19° secolo e il cui insegnamento era basato sulla cabala ebraica, il viaggio astrale e lo yoga: Aleister Crowley in gioventù ne fece parte.
Più tardi nel 1976 anche la canzone Station to Station allude apertamente nel titolo e nei versi all’Albero della Vita della cabala e al viaggio magico attraverso i canali da un Sephirah all’altro (da una stazione all’altra: questo il senso del titolo): “Here we are/one magical movement from Kether to Malkuth/There are you/you drive like a demon from station to station/… lost in my circle” (Eccoci/un solo magico movimento da Kether a Malkuth/Ci sei tu/che viaggi come un demone da stazione a stazione/….persa nel mio cerchio magico): Kether e Malkuth sono nella cabala, la Corona e il Regno, cioè il Sephirah più alto e quello più basso dell’Albero della Vita.
Nella stessa canzone c’è un altro verso significativo in cui si dice: “I was flashing no colour” (non facevo balenare alcun colore), un accenno alla pratica di viaggio astrale attraverso i piani dei 5 elementi con il sistema indù dei Tattva, sperimentato dai membri della Golden Dawn e chiamato anche colour-flashing (balenamento del colore).
In un’intervista del 1995 commentando questi brani Bowie ammetteva che nel 1976 “il mio interesse principale risiedeva nella cabala e nel crowleyanesimo. Quel non-mondo oscuro e talvolta spaventoso dalla parte sbagliata del cervello… poi mi interessavano anche gli Gnostici”.
In un’altra intervista del 1997 si contraddice: – “Così si è interessato al culto del diavolo ?” – chiede l’intervistatore – “No, non il culto del diavolo; era pura e semplice magia vecchio stile” – “Al modo di Aleister Crowley ?” – “No, ho sempre pensato che Crowley fosse un ciarlatano.
Preferivo Edward Waite o Dion Fortune e il suo libro “Autodifesa psichica”: bisogna correre intorno alla stanza tirando pezzi di spago e vecchie calze e disegnando buffe cose sul muro, prendevo la cosa molto seriamente, ah, ah, ah ! Tracciavo porte su altre dimensioni: sono sicuro che, per quel che mi riguarda, ho davvero viaggiato in altri mondi: tracciavo segni sui muri e vi passavo attraverso e vedevo davvero quello che c’era dall’altra parte !”.
Come attesta l’apparente frivolezza di queste dichiarazioni, Bowie ha sempre preferito smentire o deprezzare i propri interessi magici; ma le recenti biografie di Angie Bowie (la prima moglie), di Marianne Faithfull (una delle numerose compagne di Mick Jagger, leader dei Rolling Stones e suo grande amico) e di Amanda Lear (per un certo tempo androgina girlfriend dell’efebico cantante), hanno sufficientemente provato la non superficialità del suo interesse per l’argomento.
Nel 1975 Bowie e Jagger furono coinvolti per un certo tempo nei progetti cinematografici di Kenneth Anger, adepto del IX° grado dell’Ordo Templi Orientis americano – chiamato il “Califfato” – e cofondatore della “Chiesa di Satana” di Anton La Vey.
Un membro della “Famiglia” di Charlie Manson, Robert Beausoleil, fu per qualche tempo l’amante di Anger e, poco prima di partecipare ad uno degli omicidi collaterali all’eccidio di Bel Air (dove fu assassinata Sharon Tate, moglie del regista Roman Polansky che aveva diretto Rosemary’s Baby, film di argomento satanico in cui il ruolo di Satana era interpretato proprio da La Vey, l’amico di Anger) aveva interpretato il ruolo di Lucifero nel film di Anger Lucifer Rising e, dalla prigione dove era stato rinchiuso dopo il delitto, ne aveva composto anche la colonna sonora.
Nel 1993 Bowie ammise finalmente che l’atmosfera che circondava i crimini di Manson e il groviglio inestricabile di relazioni occulte ad essi collegate, gli aveva ispirato una forte ossessione per la “magia nera”.
Angie Bowie, la prima moglie del cantante e madre del figlio Zowie, racconta che il marito era assai vulnerabile all’influenza di sicofanti e calunniatori e tendenzialmente paranoico nel periodo della sua forte dipendenza dalla cocaina.
Vergava febbrili calcoli di geomatria cabalistica sulla sua corrispondenza, conservava la propria urina nel frigorifero e non permetteva che nessuno fosse presente quando si tagliava unghie e capelli.
A questo proposito si racconta un curioso aneddoto: nel 1984 il regista Derek Jarman – morto poi di aids al principio degli anni ’90 – tentava di realizzare il progetto di un film intitolato Neutron e aveva contattato Bowie per proporgli il ruolo di protagonista.
Ci fu un incontro nell’appartamento del cineasta e tutto sembrava andare per il meglio. All’improvviso Bowie smise di fumare una sigaretta dietro l’altra come aveva fatto fino a quel momento ed iniziò a mostrarsi nervoso gettando furtive occhiate agli scaffali della biblioteca e ad alcuni disegni appesi alle pareti.
Interrompendo bruscamente la conversazione Bowie chiese scusa, si alzò e se ne andò precipitosamente. Venti minuti dopo, il suo autista e guardia del corpo tornò su dicendo che il maestro aveva dimenticato qualcosa e recuperò tutti i mozziconi di sigaretta dal portacenere.
Nei giorni seguenti Bowie si ritirò dal progetto dell’incredulo Jarman che così naufragò. Cosa lo aveva terrorizzato ? I libri di John Dee in biblioteca ed i quadrati enochiani incorniciati alle pareti, ricordi del film di Jarman Jubilee, di cui il Dottor John Dee, astrologo personale della Regina Elisabetta Prima, era stato il personaggio principale.
Il sistema di magia enochiana inventato da Dee, con i suoi complessi diagrammi magici, è parte fondamentale dell’insegnamento della Golden Dawn e della Magick crowleyana.
L’atteggiamento così sfuggente e poco incline a manifestarsi nella propria reale essenza, i ripetuti tentativi di nascondere uno stile di vita così profondamente segnato da certe pratiche e credenze, non dovrebbe stupire in una personalità, come quella di Bowie, fortemente incline al mascheramento e allo scambio di identità.
I molteplici frammenti e personae che compongono il mosaico Bowie corrispondono alle varie stazioni e fasi della sua carriera professionale: una fase giovanile Mod e ispirata da Bob Dylan (1964-1968); il personaggio del cosmonauta disperso Major Tom di Space Oddity (1969-1970); il divo androgino ed extraterrestre Ziggy Stardust (1971-1972); il pierrot ambiguo Aladdin Sane (1973); il mutante postatomico Halloween Jack di Diamond Dog (1974); l’alieno naufragato sul nostro pianeta del suo primo film L’uomo che cadde sulla terra di Nicholas Roeg (1975); the Thin White Duke, il clown bianco dandy di Station to Station (1976); la fase del superomismo nietzscheano degli anni berlinesi di Low e Heroes (1977-1979); la fase sound and vision di Ashes to Ashes (1980); la sua interpretazione nei teatri britannici del mostruoso Elephant Man (1981); il Dorian Gray disco di Look back in Anger o di Let’s Dance (1983-1984); la sua apparizione come “Impiccato” dei tarocchi nelle esibizioni dal vivo (1987); il tentativo di scomparire eclissandosi in un trio di musicisti di Tin Machine (1989); il suo allontanamento fisico dalle scene con riapparizione virtuale su internet degli anni ’90 ; ecc.
Tutte queste maschere e molteplici alter ego ci riportano alla figura archetipica del Mago, del Bagatto dei tarocchi, del giocoliere, del trickster sciamanico o forse, usando una definizione che Bowie stesso ha dato di sé, di un buddhista postmoderno. Il suo mito di fondazione è però un mito gnostico: l’uomo che cadde sulla terra, l’alieno disperso nel mondo, il messianico Ziggy Stardust, ermafrodita dai capelli verdi che con il gruppo degli Spiders from Mars (I Ragni Marziani) si conquista la venerazione delle folle profetizzando la prossima discesa degli Starmen (si ricordi il celeberrimo brano) e che finisce cristicamente per essere fatto a pezzi sul palcoscenico dai suoi discepoli/fans durante una performance (nel brano Rock’n’Roll Suicide).
Anche la sua seconda incarnazione principale, incrocio fra il clown bianco e le maschere del teatro kabuki giapponese, il Thin White Duke (il Sottile Duca Bianco), superuomo ariano e privo di emozioni, riporta a quella forma particolare di gnosticismo – di tradizione manichea e càtara – tipica del misticismo voelkisch praticato negli ambienti nazisti.
Bowie in quegli anni, forse per effetto dell’abuso di cocaina, salutava romanamente il pubblico e – ossessionato dal mito di Glastonbury e del Santo Graal in versione SS, faceva dichiarazioni politicamente assai scorrette come le seguenti: “Hitler era uno stratega militare terribile ma il suo obbiettivo generale era molto buono”; “ Sono l’unica alternativa ad un Premier in Inghilterra. Credo che la Gran Bretagna possa trarre vantaggio da un capo fascista. Dopo tutto il fascismo è il vero nazionalismo”.
In pieno stile faustiano e con appropriate coreografie nibelungiche, Bowie avrebbe, secondo alcuni esegeti improbabili ma fantasiosi, sottoscritto un vero e proprio patto con qualche potenza tenebrosa: per tutti gli anni ’70 sarebbe stato trascinato inarrestabilmente dalla sua creatività vulcanica lungo una splendente traiettoria luciferica che però lo avrebbe alla fine consumato e fatto precipitare come Jim Morrison o Jimi Hendrix in una immatura e rovinosa goetterdaemmerung; ma Bowie non era Lizard King nè Voodoo Chile, piuttosto The Man Who Sold the World, e avrebbe avuto il tempo di rinegoziare prudenzialmente l’accordo, preferendo ritirarsi, dagli anni ’80 ad oggi, nel dorato dimenticatoio dei non-morti, con Richards, Jagger, Clapton, Page, Townshend, Osborne e altri plastificati fossili del rock’n’roll.
Fonte: Musicalnews