Che cosa si intende per evoluzionismo
Per “evoluzionismo” s’intende quell’ipotesi per cui lo sviluppo della vita sulla Terra avvenga per speciazioni successive, ovvero attraverso una lunga catena di apparizioni di specie viventi completamente nuove rispetto a quelle che le hanno precedute, da cui peraltro pure derivano essendo le nuove il prodotto di mutazioni genetiche intervenute nelle vecchie, il tutto in un quadro generale di “progresso” in cui solo i viventi più adatti sopravvivono, mentre i più deboli sono destinati alla scomparsa completa. I motori decisivi, e quindi i perni centrali, dell’intero meccanismo sarebbero del resto il caso e la selezione naturale, bisognosi peraltro di tempi lunghi di realizzazione, tempi lunghi al limite della comprensione umana: tanti ne occorrono infatti affinché la speciazione trovi l’uscita giusta al termine di un percorso irto di ostacoli e false partenze, errori e prove abortite, fallimenti e insuccessi. Ora, questa descrizione, sommaria nei suoi termini generali ma non superficiale nel criterio complessivo, è quella che, grazie alle osservazioni e alle affermazioni del naturalista britannico Charles Robert Darwin (18091882) – soprattutto e anzitutto contenute ne L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita, del 1859, e ne L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, del 1871 – viene comunemente detta darwinismo. Nonostante alcune diversità interpretative dovute ad alcune differenze presenti nelle varie scuole di pensiero, i tratti teoretici comuni a tutti i loro fautori permettono del resto serenamente di considerare come sinonimi – soprattutto in sede divulgativa – evoluzionismo e darwinismo.
Macro e micro-evoluzione
Peraltro, i processi naturali ipotizzati dal darwinismo vanno riportati al loro vero nome, vale a dire “macroevoluzione”, cioè, appunto, quella teoria generale della nascita e dello sviluppo della vita sulla Terra descritta e “spiegata” in termini di derivazione dell’animato dall’inanimato, ossia la cosiddetta abiogenesi (più prosaicamente conosciuta come “generazione spontanea”), di casualità e di selezione naturale per tempi lunghissimi. Opposta è invece la “microevoluzione”: lo sviluppo, empiricamente constatabile, di un individuo di una determinata specie entro parametri dati e sostanzialmente noti, i parametri che del resto sono propri e unici della specie a cui quell’individuo appartiene, senz’alcun salto interspecifico, trasformazioni o comparse di organi esterni alla struttura specifica di tale individuo e dei suoi simili. Un esempio? L’essere umano, che è prima embrione, poi feto, quindi neonato, dunque bambino, di nuovo adolescente e infine adulto, rimanendo sempre e solo lo stesso essere umano, e senza poter divenire altro da sé, che so una giraffa o una felce. Ebbene, introdotta questa distinzione fondamentale, e detto che il darwinismo tratta sempre e solo di macroevoluzione anche quando utilizza, propagandisticamente ma indebitamente tanto quanto confusamente, esempi di microevoluzione citati fuori contesto e in modo strumentale, si constata che la macroevoluzione non regge né al vaglio dei fatti, né alla prova del metodo scientifico.
I fatti
Quanto ai primi – i fatti -, va sottolineato che l’abiogenesi è stata rigorosamente e sperimentalmente confutata da Francesco Redi (1626-1697), dal padre gesuita Lazzaro Spallanzani (1729-1799) e da Louis Pasteur (1822-1895). Che tutte le mutazioni genetiche, quelle a cui l’evoluzionismo attribuisce il processo di speciazione che genererebbe viventi nuovi, sono tutte degenerative e patologiche, al massimo infeconde. Che il tentativo di trasmettere geneticamente – chirurgicamente – caratteri acquisiti da un individuo di una specie a un altro della medesima specie è sempre fallito. Che la trasmissione dei caratteri ereditari da una generazione all’altra d’individui della medesima specie non è affatto casuale, come vorrebbe il darwinismo, bensì descritta da una legge matematica precisissima – dunque intelligibile, conoscibile e comunicabile -, scoperta e spiegata dal canonico agostiniano boemo Gregor Johann Mendel (1822-1884). Che se la comparsa di organi decisivi per la sopravvivenza in un individuo di una specie e quindi dell’intera specie a cui esso appartiene avvenisse secondo le sequenze temporali prescritte dall’evoluzionismo, la morte colpirebbe tutti e le specie viventi si estinguerebbero senza distinzione, peraltro in tempi immaginabilmente piuttosto rapidi (come si nutrirebbero, infatti, e come si riprodurrebbero, dunque, gli animali e le piante mentre attendono il trascorrere di milioni di anni affinché spuntino loro gli organi utili e adatti?). E infine che testimonianze né dirette né indirette di quegli stadi intermedi di sviluppo dei viventi, magari pure negativi, che sono necessariamente postulati dal criterio evoluzionistico, non esistono.
Il metodo scientifico
Quanto al secondo elemento – il metodo scientifico -, va ricordato anzitutto che quello canonico e universalmente accettato ovunque dalla comunità internazionale degli specialisti è sostanzialmente stato messo a suo tempo a punto per via induttiva e sperimentale dal fisico, astronomo e matematico pisano Galileo Galilei (1564-1642). Fondamentalmente di spirito realista, in base a esso, i fatti precedono sempre le idee, e i suoi criteri principali sono: il fare esperienza diretta dell’esistenza di un oggetto o dell’accadere di un fenomeno; la loro osservabilità altrettanto diretta o mediata, avendo però la massima cura, nel secondo caso, di non introdurre, nel procedimento, elementi estranei che disturbino l’osservazione; la descrivibilità e quindi pure le comunicabilità delle osservazioni dell’oggetto o del fenomeno; la riproducibilità o ripetibilità in laboratorio dell’oggetto o del fenomeno in questione per un numero congruo o sufficiente di volte tale da poter lecitamente avallare poi una ipotesi esplicativa di lavoro, la quale infine, venendo verificata a certe condizioni (resa cioè il più possibile prossima all’evidenza, la quale non si spiega ma si constata), entro dette condizioni vale sempre, ed è allora espressa in termini generali mediante una teoria descritta in una legge. Ebbene, l’evoluzionismo si sottrae a tutto ciò. La macroevoluzione, infatti, cioè l’oggetto primo e proprio dell’ipotesi darwinista, non si vede affatto, né direttamente né indirettamente: nessuno ha mai veduto sperimentalmente sorgere una specie vivente nuova sulla Terra oppure una vecchia specie trasformarsi in qualcosa di altro e diverso da sé. La macroevoluzione del darwinismo è quindi descritta solo attraverso affermazioni non comprovate; e per di più non è mai replicabile sinteticamente in laboratorio.
Il caso
Del resto, gli stessi perni “scientifici”, in realtà filosofici, su cui l’evoluzionismo si regge sono contraddittori, oltre che per nulla attestati. Il caso è infatti molto più un concetto astratto che una esperienza sensibile, e su di esso la teoria delle probabilità dice cose più interessanti del darwinismo. Il caso, cioè, non si osserva, non si constata per definizione, sfugge sempre e comunque a qualsiasi analisi empirica e non è affatto, mai, riproducibile sinteticamente. Com’è dunque possibile farne il postulato inamovibile e certo di una descrizione di fatti e fenomeni che pretenda di essere scientifica?
La selezione naturale Quanto alla selezione naturale, essa è postulata sempre e solo a valle e non a monte di ciò che le si vorrebbe far spiegare: si pretende cioè di “vederla” in azione nelle cose del mondo, ma non se n’è mai accertata la natura. Cosa essa sia, non si sa. Si dice solo ci sia. Inoltre, va notato che chi dice “selezione”, dice sempre ”scelta”, ovvero dice il contrario di ”caso”, oltre che in questo modo consegnare, indebitamente e piuttosto irrazionalmente, alla natura una facoltà fondamentale che prima era di Dio, con il risultato di avere però semplicemente spostato e non risolto il problema. Anzi, semmai contraddetto proprio la casualità dell’evoluzionismo con una forma, per quanto rozza, di causalità.
I tempi enormemente lunghi
Quanto al terzo postulato dell’ipotesi evoluzionistica, i tempi enormemente lunghi che il darwinismo ritiene necessari per il continuo processo di speciazione, pure essi sfuggono completamente e continuamente all’osservabilità diretta, ancor più alla riproducibilità empirica in laboratorio, ovvero ancora una volta eludono i soliti, ineliminabili canoni richiesti universalmente e internazionalmente dal metodo scientifico. Nessuno ha mai infatti potuto assistere ai processi che l’evoluzionismo suppone, senza prove, essere avvenuti milioni di anni fa, nessuno potrà mai vedere nemmeno quelli che accadranno fra altri milioni di anni, e soprattutto e anzitutto nessuno può osservare quelli che sarebbero in corso “adesso”, impiegando milioni e milioni di anni per verificarsi, un piede nel passato e il capo nel futuro. E così questi tempi enormi di realizzazione servono, per necessità meramente logica, esclusivamente a sottrarre una volta in più l’ipotesi darwinista all’evidenza. A sfuggire alle esigenze del metodo scientifico.
Solo una ipotesi
A conti fatti, insomma, l’evoluzionismo rimane solo una mera ipotesi non suffragata da fatti sperimentalmente evidenti: non è una teoria, né tanto meno una scienza. E, ipotesi fra le ipotesi, l’evoluzionismo darwinista è pure l’ipotesi meno plausibile di tutte, giacché domanda alla mente umana sforzi di fantasia enormi, nonché l’abbandono di ogni criterio razionale di analisi e tutto il buon senso di cui l’uomo è capace.
Marco Respinti
Fonte: IL TIMONE N. 89 – ANNO X II – Gennaio 2010 – pag. 36 – 38