La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una coppia per risarcimento di danni da parte del medico che non aveva diagnosticato al loro figlio una malformazione fetale impedendo così di abortirlo nei tempi stabiliti dalla legge. La coppia, nel primo grado di giudizio, aveva ottenuto il riconoscimento del diritto ad un cospicuo risarcimento da parte del ginecologo che non si era accorto della malformazione.
Ma in sede di appello la sentenza era stata ribaltata con la motivazione che esisteva effettivamente l’inadempienza del medico ma, ai sensi della legge 194, «perché possa essere praticata l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni non è sufficiente che siano accertati processi patologici nel feto, ma è necessario che si determini un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».
La Corte di Cassazione ha dato invece ragione alla coppia affermando il diritto all’informazione su eventuali malformazioni del feto, anche ai fini del suo aborto.
Non ci permettiamo di mettere in dubbio la giustezza del pronunciamento della Corte di Cassazione, ma ci domandiamo: che differenza passa tra questa interpretazione della legge e la tacita legalizzazione dell’eugenetica?
Redazione La Madre della Chiesa
Fonte: Avvenire