Un piccolo raggio di sole nel gelo che attanaglia in questi giorni la Capitale. Un raggio che emanava un calore simile a quello di un focolare domestico, simile all’abbraccio di una madre al proprio figlio. D’altronde, quale aria se non questa si sarebbe potuta respirare al Premio per la vita “Madre Teresa di Calcutta” dedicato alle madri d’Europa?
Ieri, lunedì 10 dicembre, nel giorno in cui il mondo ha celebrato i Diritti umani, il Movimento Per la Vita italiano ha consegnato in Campidoglio il prestigioso riconoscimento a tre donne, tre madri, che davanti alla propria vita hanno anteposto quella dei loro figli o addirittura dei figli degli altri: Chiara Corbella; Sabrina Paluzzi, presidente della Quercia Millenaria, e “mamma Irene” della comunità Nomadelfia.
Della storia di Chiara Corbella si sa già tanto. Forse troppo. I media hanno dedicato grande attenzione alla sua vicenda, e il marito Enrico non ha mai mancato di regalare a chiunque lo chiedesse, una garbata e spontanea testimonianza della straordinarietà di sua moglie.
Chiara è scomparsa lo scorso giugno, a soli 28 anni, a causa di un carcinoma alla lingua di cui ha ritardato le cure pur di far nascere suo figlio Francesco. Una “battaglia” a favore della vita che questa giovane madre romana, si era già trovata a dover affrontare sin dai primi tempi del matrimonio quando per ben due volte portò a termine la gravidanza di due bambini rivelatisi poi “incompatibili alla vita” e deceduti poco tempo dopo il parto.
Quella di Chiara Corbella è una “storia paradigmatica” che però “può insegnare tanto a tutti noi e alla nostra città”. Così l’assessore alle Politiche familiari della Capitale, Gianluigi De Palo, amico personale di Chiara ed Enrico, ha introdotto la premiazione.
A ritirare il riconoscimento, suo marito Enrico Petrillo che, con sincera commozione, ha condiviso con i presenti alcuni personali ricordi della struggente storia della sua giovane sposa. “Sono commosso dalla risonanza che questa storia ha avuto – ha esordito Enrico -. Provo ancora meraviglia per tutto quello che ho vissuto e che sto vivendo. La storia di Chiara ha diffuso tanta luce in Italia e in Europa”.
“E’ una storia – ha aggiunto – che si è costruita da sola. Fondamentalmente io e Chiara abbiamo detto solo si a ciò che Dio ci domandava. È una vicenda sicuramente dolorosa agli occhi di chi non crede, ma io credo che in realtà sia un vero inno alla vita”.
Dopo il racconto dell’amore per Chiara, del matrimonio celebrato da giovanissimi, delle difficoltà delle gravidanze e della morte dei primi due bambini, Enrico ha ricordato il momento cruciale che ha cambiato la vita della sua famiglia: la scoperta della malattia di Chiara e la nascita del piccolo Francesco.
A quel punto del racconto si è fermato, per versare qualche lacrima e, in un momento di toccante spontaneità, ha dichiarato: “Quando diagnosticarono il tumore a Chiara, avevo pensato di trovare un modo per far nascere il bambino prima, in modo da fare in tempo a intervenire per le cure”. “Avrei preferito rischiare la vita di mio figlio – ha proseguito – ma lei non aveva proprio preso in considerazione questa ipotesi, pensando già ad un bene più grande”.
“La morte – ha concluso Enrico – è la meta ultima di tutti gli essere umani. Chiara si era preparata bene ad accettare questa eventualità. Non si aspettava che succedesse a 28 anni, ma ha accettato la volontà di Dio e la cosa più straordinaria è stata che credeva veramente che fosse un bene per il marito e per il figlio. Mi diceva forse il Signore ha pensato ad una mamma per Francesco migliore di me. Per questo è riuscita a donare la vita: sapeva cosa c’era dall’altra parte”.
Sincero e commovente anche il “fuori programma” del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che prendendo spunto dalla storia di Chiara, ha rivelato: “Anche io non dovevo nascere. I medici dicevano a mia madre che sarebbe morta dopo il parto. I miei genitori reagirono come Chiara ed Enrico. Io ora sono qua, e penso che ogni giorno della mia vita sia un giorno guadagnato. Chissà quanti ce ne sono come me”.
Intervenendo, il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha aggiunto: “Non so bene quale sia l’iter che segue la Chiesa, ma credo che ci troviamo di fonte a quella virtù eroica che rendono una persona Santa. Vi invito a guardare già da ora con grande attenzione alla storia di Chiara”.
A sorpresa dei familiari e dei partecipanti, il primo cittadino ha poi preannunciato l’intenzione di voler intitolare una strada o una scuola a Chiara Corbella. “Vorrei che rimanesse traccia nella nostra città – ha detto – Il suo nome merita di essere inserito tra i grandi nomi di Roma, così che anche i più piccoli conoscano la sua storia. Magari attraverso il passaparola, perché la cosa brutta fa notizia, ma la gente fra loro parla di storie belle”.
A ritirare il premio c’era poi Mamma Irene, 90 anni di cui 70 impegnati nella cura dei bambini poveri, malati, abbandonati, affidati alla comunità di Nomadelfia. Mamma Irene ha raccontato della sua fuga da casa a circa 18 anni per entrare nella comunità fondata da don Zeno e del successivo rientro a casa, dove poi decise di dedicare la sua intera vita alla cura dei bimbi senza nessun punto di riferimento.
“Volevo fare qualcosa per questi figli. – ha spiegato – All’inizio della comunità questi bambini erano in condizioni pietose. Allora mi sono detta: dedicherò tutta la mia vita ai figli abbandonati”. I figli, infatti, “hanno bisogno di una colonna, di un punto di riferimento – ha affermato – soprattutto della mamma. Nomadelfia ha accudito e cresciuto oltre 6000 bambini che non avevano davvero niente e nessuno”.
Secondo Mamma Irene la famiglia di oggi vive una situazione difficile. Per questo, ha esortato, “ciascuno di noi che è cristiano e vuole fare del bene deve aiutarsi a vicenda. Bisogna colmare quei vuoti nella famiglia: crescendo bene la famiglia, cresce bene la società”. “Dio è presente – ha concluso – non dobbiamo avere paura, ma collaboriamo insieme ognuno nel proprio campo”.
A ricevere il premio, infine, Sabrina Paluzzi, moglie di Carlo, insieme al quale è presidente della “Quercia millenaria”, associazione nata nel 2004 in seguito ad una esperienza personale dei coniugi il cui terzo figlio Giona, era destinato a morire dentro al grembo materno o subito dopo la nascita, a causa di una gravissima malformazione delle vie urinarie.
Dopo qualche tentativo di intervento in chirurgia fetale, vista la mancanza di miglioramento e la totale assenza di speranze, Sabrina a Carlo scelsero di accompagnare il bimbo fino all’esito naturale. Giona, invece, risolse spontaneamente la sua ostruzione urinaria, in un modo “scientificamente inspiegabile”, continuando la sua vita intrauterina normalmente fino alla nascita.
Le mamme sono state premiate con opere in legno realizzate dall’artista Stefania Giglio della comunità Nuovi Orizzonti che raffigurano madri che stringono a se ciò che hanno di più caro – il bambino dentro il grembo – rivolgono la testa verso l’infinito e sono attorniate dalle stelle dell’Europa.
Fonte: Zenit