Oggi, nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del Messico, verrà beatificata Concepcion Cabrera de Armida (8 dicembre 1862 – 3 marzo 1937), chiamata semplicemente Conchita. La Messa di beatificazione di questa donna, la prima laica messicana a essere elevata agli onori degli altari, sarà celebrata dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi.
Giovanni Paolo II, nel 1999, ne riconobbe le virtù eroiche. Nel prosieguo della sua causa è stata poi riconosciuta come miracolosa la guarigione, avvenuta nel 2008, dell’allora cinquantasettenne Jorge Treviño Gutierrez, nativo di Monterrey, gravemente ammalato da 15 anni e praticamente paralizzato (soffriva di una forma di sclerosi multipla in fase avanzata), che aveva chiesto, insieme alla sua sposa, l’intercessione della venerabile.
Un mattino di quell’anno, al culmine di una catena di preghiere a cui avevano partecipato anche delle famiglie di religiosi e religiose nate dai carismi di Conchita, Jorge – che di notte aveva avuto un dialogo in sogno con lei – si risvegliò ritrovandosi improvvisamente capace di muoversi e pienamente guarito.
Una laica, dunque, molto conosciuta in Messico, al punto che nel giugno del 2018 – quando cioè è stato riconosciuto ufficialmente il miracolo accaduto 10 anni prima – la Conferenza episcopale messicana ha dichiarato: «Possiamo affermare senza alcun dubbio che la storia della Chiesa Cattolica in Messico, durante il XX secolo, non si può comprendere senza di lei. Sia le sue opere di apostolato che gli scritti teologici costituiscono una ricchezza spirituale per la fede cattolica».
Fede che Conchita si preoccupò di custodire anche a rischio della sua vita, come negli anni delle persecuzioni del governo massonico contro i cristiani (da cui originò la sollevazione dei cristeros), quando nascose in casa sua sacerdoti e religiosi.
LE 5 «OPERE DELLA CROCE»
Questa donna, sposa devota, casalinga e madre di nove figli, è stata una grandissima mistica che ci ha lasciato in eredità 66 volumi manoscritti e fondato quelle che sono chiamate «Opere della Croce», diffuse in più Paesi (Italia compresa) e ognuna delle quali centrata su un tratto particolare della vastissima missione che Dio le affidò. 1) l’Apostolato della Croce, opera aperta a laici, religiosi e sacerdoti, che si impegnano a santificare tutti gli atti della loro vita, in unione a Gesù crocifisso; 2) la Congregazione delle Religiose della Croce del Sacro Cuore di Gesù, ramo di contemplative, il cui fine principale è l’adorazione eucaristica perpetua e la riparazione alle offese al Sacro Cuore; 3) l’Alleanza di Amore con il Sacro Cuore di Gesù, fatta da laici che desiderano diffondere nel mondo lo spirito delle Religiose della Croce; 4) la Fraternità di Cristo Sacerdote, costituita da preti; 5) i Missionari dello Spirito Santo.
Proprio le rivelazioni sullo Spirito Santo, insieme alla maternità spirituale verso i sacerdoti, sono centrali nel messaggio che Conchita ha ricevuto da Gesù e consegnato alla Chiesa.
LA PRIMA ESPERIENZA MISTICA
Settima di 11 figli, era nata in una famiglia benestante ma semplice, profondamente cristiana, proprietaria di una fattoria.
Visse un’adolescenza comune a quella di molte altre fanciulle, amando i balli, le feste e altre distrazioni, ma conservò comunque una bella fede, che le faceva sentire «un vuoto» davanti ai piaceri mondani.
A 21 anni si sposò con Francisco, chiedendogli di lasciarla libera di accostarsi ogni giorno all’Eucaristia.
Grazie a tanta pazienza e alla preghiera in famiglia, Conchita riuscì a far sì che nel marito, all’inizio molto violento, si producesse «un tale cambiamento che la sua stessa mamma e le sue sorelle se ne stupirono», come lei scrisse nel suo diario.
Visse la prima esperienza mistica a 27 anni, quando Gesù, attraverso una chiarissima locuzione interiore, le disse: «La tua missione è di salvare le anime». Per adempiere questa missione, che il Signore le annunciò poi che sarebbe proseguita anche in Cielo, seguirà Gesù sulla via della Croce abbandonandosi totalmente alla divina Volontà.
LA PERDITA DEGLI AFFETTI
Di animo sensibile, la serenità di Conchita dipendeva molto all’inizio dagli affetti terreni: «Il mio cuore si affeziona facilmente alle persone e alle cose. Non soffrivo soltanto per la morte di una persona amata, bensì già per la lontananza temporanea. Quante lacrime ho versato per questo motivo».
Di lacrime dovette versarne molte per i lutti in famiglia. Quattro dei suoi nove figli non le sopravvissero (Carlos e Pedro le morirono nella prima infanzia, Pablo appena maggiorenne e Concha a 35 anni), e nel 1901 pianse la morte dell’amato marito, lutto che fu per lei, ancora trentottenne, come «un pugnale» che «attraversava la mia anima senza mitigazione».
In quei giorni Conchita andava «vicino al tabernacolo per attingervi sostegno e forza».
MATERNITÀ SPIRITUALE
Per compiere la sua trasformazione e indirizzarla verso i beni eterni, Gesù insegnò a Conchita a raccogliersi «nel santuario tutto interiore della tua anima, perché è lì che risiede lo Spirito Santo. Lì sono le tue delizie, le tue consolazioni, il tuo riposo. Non cercarlo altrove, non lo troverai!».
Il Signore le chiese inoltre di offrire le sue sofferenze a imitazione della Beata Vergine: «Ogni volta, quando la mia santissima Madre Maria provava il dolore della separazione da Me – veramente era continuo – lo presentava subito al Padre per il bene del mondo e per la Chiesa fiorente. Questo apostolato della sofferenza, l’apostolato della croce, della solitudine, era la tappa più feconda della Sua vita e indusse il cielo a versare fiumi di grazie».
Dal «sì» di Conchita all’opera di Dio in lei derivò la maternità spirituale verso «un gran numero di figli», come le aveva detto Gesù, e in particolare verso i sacerdoti.
«Io amo i ministri della mia Chiesa come la pupilla dei miei occhi e perciò mi danno dolore le offese fatte a ciò che amo di più e che loro dovrebbero amare», le rivelò il Figlio di Dio.
«Se il demonio ha guadagnato terreno nella mia vigna è per la mancanza di operai santi in questa vigna.
È a causa di preti tiepidi, dissipati, secolarizzati, che si sono lasciati trascinare dalla corrente e dall’ambiente attuale», è a causa di ciò «se è venuta meno la loro trasformazione in Me».
Perciò Nostro Signore chiese a Conchita di morire a sé stessa e aiutarlo a santificare i sacerdoti, da Lui chiamati «altri Gesù», confidandole che «attraverso di te, molti sacerdoti si infiammeranno dell’amore e del dolore».
LA NUOVA PENTECOSTE «STUPIRÀ IL MONDO»
A proposito del connubio tra dolore – accettato – e amore, Gesù spiegò a Conchita della necessità di una nuova venuta dello Spirito Santo, che «regnerà quando anche le Mie sofferenze e la croce regneranno nelle anime».
Le conseguenze del rifiuto di Dio da parte degli uomini sono evidenti: «Il mondo affonda perché si è allontanato dallo Spirito Santo: tutti i mali che lo affliggono hanno lì la loro origine. Il rimedio si trova in Lui: Egli è il Consolatore, l’autore di ogni grazia, il legame di unione tra il Padre e il Figlio, il supremo conciliatore poiché è carità, Amore increato ed eterno. Tutto il mondo ricorra allo Spirito Santo perché il tempo del suo regno è arrivato: quest’ultima tappa del mondo gli appartiene in modo speciale perché Egli sia onorato ed esaltato», le disse ancora Gesù.
Perciò raccomandò a Conchita (che più proseguiva nel suo cammino spirituale e più si accendeva di Amore divino e del desiderio di trasmetterlo) di pregare «per questa nuova Pentecoste» e di comunicare la necessità che ogni fedele invochi lo Spirito Santo «con preghiere, penitenze e lacrime».
A questa richiesta di Gesù è legata una promessa straordinaria: «Egli verrà, Io lo manderò una seconda volta, in modo evidente, nei suoi effetti, che stupirà il mondo e spingerà la Chiesa alla santità».
L’11 marzo 1928, Gesù consegnò a Conchita quest’altra profezia: «Un giorno non lontano, al centro della mia Chiesa, a San Pietro, avrà luogo la consacrazione del mondo allo Spirito Santo e le grazie di questo Spirito divino si riverseranno sul “felice” Papa che la farà».
Per saperne di più:
Diario di una madre di famiglia, a cura del teologo domenicano Marie-Michel Philipon